Bush, sbagli. Parola di vescovo
Egregio
Signor Presidente, (…) un anno fa, il mio predecessore, il vescovo Joseph
Fiorenza, le scrisse riguardo alla risposta degli Stati Uniti ai terrificanti
attacchi che abbiamo commemorato la settimana scorsa. Le disse che, dal nostro
punto di vista, l’uso della forza contro l’Afghanistan poteva essere
giustificato, se si realizzava nel rispetto delle condizioni della guerra giusta
e come parte di un sforzo molto più ampio, in gran parte non militare, per
combattere il terrorismo. Crediamo che il caso dell’Iraq sia differente. (…)
Abbiamo concluso, basandoci sui fatti che conosciamo, che l’uso preventivo e
unilaterale della forza è difficile da giustificare in questo momento. Temiamo
che il ricorso alla forza, in queste circostanze, non sarebbe conforme alle
rigide condizioni poste dalla dottrina cattolica.
Giusta
causa.
Quale è il casus belli di un attacco militare contro l’Iraq? Il
Catechismo della Chiesa Cattolica, riflettendo i limiti morali e giuridici
ampiamente accettati sulle condizioni in cui sia possibile l’uso della forza,
limita la giusta causa ai casi in cui “il danno causato dall’aggressore alla
nazione o la comunità di nazioni sia duraturo, grave e certo” (n. 2309).
Esiste una prova chiara ed evidente di una connessione diretta tra Iraq e gli
attacchi dell’11 settembre, o una prova chiara e adeguata di un imminente
attacco di grave natura? È saggio ampliare drasticamente i tradizionali limiti
morali e giuridici alla giusta causa fino ad includere l’uso preventivo o
anticipato dell’uso della forza per il rovesciamento di regimi minacciosi o
per affrontare la proliferazione di armi di distruzione di massa? Non si
dovrebbe fare una distinzione tra gli sforzi per cambiare il comportamento
inaccettabile di un governo e gli sforzi per porre fine all’esistenza di
quello stesso governo?
Legittima
autorità.
La credibilità morale dell’uso della forza militare dipende anche, in larga
misura, dall’esistenza o meno di una autorità legittimata a utilizzare la
forza per far cadere il Governo iracheno. Dal nostro punto di vista, decisioni
di questa gravità richiedono che siano rispettati gli imperativi costituzionali
degli Stati Uniti, di raggiungere un ampio consenso nella nostra nazione, e
l’approvazione internazionale, di preferenza da parte del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU. (…) Con la Santa Sede, nutriremmo profondo scetticismo
davanti all’uso unilaterale della forza militare, soprattutto in presenza di
inquietanti precedenti.
Probabilità
di successo e proporzionalità. L’uso della forza deve avere “serie prospettive di
successo” e “non deve produrre mali e disordini maggiori del male che si
intende eliminare” (Catechismo, n. 2309). La guerra contro l’Iraq potrebbe
avere conseguenze imprevedibili non solo per l’Iraq bensì per la pace e la
stabilità in tutta l’area del Medio Oriente. Avrebbe successo l’uso
preventivo e anticipato della forza per eliminare serie minacce o non
provocherebbe piuttosto quegli attacchi che tenta di prevenire? Che impatto
avrebbe un’altra guerra in Iraq sulla popolazione civile, nel breve e nel
lungo periodo? Quanta gente innocente verrebbe a soffrire e morire, o rimanere
senza casa, senza beni di prima necessità, senza lavoro? Si impegnerebbero gli
Stati Uniti e la comunità internazionale nell’arduo e lungo compito di
assicurare una pace giusta, o l’Iraq del dopo Saddam continuerebbe a essere
afflitto dalla guerra civile, dalla repressione, e continuerebbe a operare come
forza destabilizzatrice nell’area? L’uso della forza militare provocherebbe
più conflitti e instabilità? La guerra contro l’Iraq ci sottrarrebbe alla
nostra responsabilità di contribuire a costruire un ordine giusto e stabile in
Afghanistan o minerebbe l’ampia coalizione contro il terrorismo?
Norme
di condotta in tempo di guerra. Anche se riconosciamo che vi sia stato un miglioramento nella
capacità e nello sforzo di evitare che si attacchino direttamente le
popolazioni civili in conflitti armati, l’uso massiccio della forza militare
per abbattere l’attuale governo dell’Iraq avrebbe conseguenze incalcolabili
per la popolazione civile che ha sofferto molto a causa della guerra, della
repressione, e dell’estenuante embargo. (…) La esortiamo rispettosamente
perché faccia un passo indietro dall’orlo della guerra e perché contribuisca
a guidare il mondo verso un’azione congiunta per trovare una risposta globale
alle minacce irachene, conformemente ai limiti morali tradizionali all’uso
della forza militare.
Traduzione
di Tina Ammendola