L’altra guancia
“Io
non faccio commenti omicidi sulla gente che non ha cercato di uccidermi. Non
offro la guancia per essere schiaffeggiato. Se qualcuno mi colpisce, io lo
colpisco tre volte”.
Sono
alcune delle affermazioni fatte dal barone della moda Karl Lagerfeld in
un’intervista, reiterando un atteggiamento ampiamente diffuso in Germania e
nei Paesi occidentali. Trovo impressionanti le tre affermazioni contenute nella
frase. Primo, una persona non si comporta male se la lasciano in pace. Poi, una
persona restituisce esattamente quello che ha ricevuto da altri. Infine, ci si
spinge perfino al di là della massima ebraica occhio per occhio – che
in una prospettiva storica voleva essere una limitazione – e si risponde
colpendo tre volte tanto. In una conferenza delle Chiese storiche per la pace,
tenutasi a Chicago a gennaio 1994, ho assistito al tentativo di Gene Stotzfus,
coordinatore dei gruppi di operatori di pace cristiani, di presentare la nonviolenza
di Gesù facendo la dimostrazione con un partecipante al gruppo di lavoro su
come si dovrebbe colpire un’altra persona sulla guancia sinistra con il dorso
della mano destra. Dimostrazione semplicemente ridicola.
È
stato per me come se avessero acceso una luce. E deve essere stato lo stesso per
i contemporanei di Gesù, altrimenti non avrebbero inserito tale decisivo
insegnamento politico di Gesù nei Vangeli: “Avete sentito che è stato detto Occhio
per occhio, dente per dente. Ma io vi dico: Non opponete resistenza a
Il
Decennio per superare la violenza, avviato per il periodo 2001-2010 dal
Consiglio Mondiale delle Chiese (CMC) in occasione dell’assemblea di Harare
nel 1998, si svolge parallelamente al Decennio delle Nazioni Unite su Cultura
di Pace e Nonviolenza per i Bambini nel Mondo, che è stato proclamato
grazie agli sforzi di numerosi premi Nobel per la pace, movimenti affiliati alla
Comunità Internazionale per la Riconciliazione e altre ONG. La risoluzione del
Consiglio Mondiale delle Chiese affonda le sue radici nei primi programmi dello
stesso CMC. Prosecuzione del programma CMC per combattere il razzismo duramente
contestato negli anni ‘80, il Programma per superare la violenza si è
ispirato ai suggerimenti di un vescovo sudafricano della Commissione centrale
del Consiglio. Nel suo documento di base per il Decennio, il Consiglio Mondiale
ha stabilito un’ampia gamma di questioni di cui occuparsi: •
Superare la violenza tra le nazioni •
Superare la violenza all’interno delle nazioni •
Superare la violenza nelle comunità locali •
Superare la violenza all’interno delle case e delle famiglie •
Superare la violenza all’interno della chiesa •
Superare la violenza sessuale •
Superare la violenza socio-economica •
Superare la violenza derivante dagli embargo economici e politici •
Superare la violenza tra i giovani •
Superare la violenza connessa alle pratiche religiose e culturali •
Superare la violenza all’interno dei sistemi giudiziari •
Superare la violenza contro la creazione •
Superare la violenza derivante dal razzismo e dall’odio razziale.
Per
citare Walter Wink, “la persona che porge l’altra guancia dice: provaci
ancora. Il primo colpo che mi hai dato non ha raggiunto l’effetto desiderato.
Non ti riconosco il potere di umiliarmi. I poveri sono coloro che
ascoltano Gesù; essi sono divorati dall’odio di un sistema che li umilia
sottraendo loro la terra e tutti i loro beni fino all’ultima camicia”. (La terza via di Gesù,
New Society Publishers, Philadelphia, 1987).
Walter
Wink illustra in maniera sorprendente in che cosa consista la “terza via” e
come tale via si ponga tra la fuga codarda e la lotta violenta, tra la
sottomissione e la resistenza armata, tra la passività e la reazione violenta,
tra la ritirata e la rappresaglia diretta, tra la resa e la vendetta. Si tratta
di una via di iniziativa morale, una via che affronta la violenza bruta
con arguzia, immaginazione e umorismo, una via che presenta con auto-stima la
dignità umana dell’oppresso e che assale la coscienza dell’oppressore o il
sistema corrotto con il “potere della verità”, Satyagraha.
In
sostanza, ciò significa scegliere di soffrire volontariamente anziché
arrendersi, e fare l’esperienza della violenza anziché usare la
violenza. Tuttavia (e ciò deve essere messo in pratica nell’educazione alla
nonviolenza in questo decennio, dedicato dal Consiglio Mondiale delle Chiese al
Programma per superare la violenza) una rigida applicazione della
volontarietà della sofferenza deve andare di pari passo con l’insegnamento
dell’atteggiamento e dell’attitudine a “intervenire in maniera utile in
conflitti, crisi e dispute violente” (come alcuni membri di “Chiesa e
Pace” hanno solennemente dichiarato nell’Assemblea Ecumenica del 1989 a Basilea
e nell’Assemblea mondiale di GPSC nel 1990 a Seul). Credo che
un’importante sfida per i cristiani e le Chiese in questi dieci anni sia
quella di sviluppare il più ampiamente possibile l’atteggiamento e
l’attitudine alla nonviolenza attiva.
Traduzione
di Tina Ammendola