TESTIMONI

Il Giano bifronte

Missionari oggi in ascolto dei gemiti dei poveri e vocati profondamente a una vita nonviolenta. Sulle orme di suor Leonella per riscoprire contraddizioni, ritardi, speranze e paure dei religiosi di oggi.
Giovanni Scudiero

Domenica, 17 settembre 2006. Stava per realizzare il suo ultimo “crossing over” (‘passaggio dall’altra parte), il suo ultimo atto di integrazione fra popoli di credo differente: percorrendo la strada che la conduceva dal luogo del “servizio” – la scuola per infermieri che lei aveva fondato pochi anni prima – al luogo in cui avrebbe condiviso il pasto con la sua comunità religiosa. Leonella, una mia cara amica e suora missionaria della Consolata, fu uccisa insieme con la sua guardia del corpo, il musulmano Mohamed Mahamud, che aveva cercato di proteggerla facendole scudo con il suo corpo. Le parole che lei disse morendo furono: “Perdono, perdono, perdono”. Il circolo di violenza e morte spezzato da un atto di donazione totale di se stesso da parte di un musulmano, marito e padre di quattro figli, e dalle parole finali di una donna cristiana, che ha dedicato la vita intera al “servizio” e alla “condivisione” come religiosa missionaria. La proclamazione del “regno della pace”, il regno in cui la pace “è” giustizia, richiede un continuo “crossing over”, un “passare” che dura una vita intera dalla sponda della cultura e prassi di violenza e di morte a quella di una profonda spiritualità e prassi di nonviolenza e di vita. Leonella era già martire (testimone) di vita molto prima che lo dimostrasse la sua morte.

Impegno di giustizia

Un paio di mesi prima, un altro religioso, missionario della Consolata, aveva scritto una lettera a The Tablet portando il suo personale contributo al dibattito sulla questione del piano di difesa nucleare Trident in Gran Bretagna. “A meno che ‘voi pacifisti’ non veniate fuori con una idea migliore, non c’è alternativa, in casi estremi, al ricorso alla violenza delle armi nucleari: infatti, sarebbe immorale farsi cogliere impreparati da un potenziale nemico.” Il tono generale della lettera era una esplicita dichiarazione di fede nel “dio nucleare” come nostra estrema àncora di salvezza! Suor Leonella da un lato e il nostro fratello religioso “pro-nucleare” dall’altro: come fossero due facce della stessa medaglia. Come membro della stessa congregazione religiosa e come coordinatore nazionale della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza degli Istituti Missionari in Italia (CIMI), io mi trovo quotidianamente a confrontarmi, come se si trattasse di un Giano bifronte, con queste contrastanti opinioni di missionari e religiosi in generale quando si tratta di questioni di pace, giustizia e nonviolenza.

Si rivela spesso una profonda ambivalenza nella stridente dissonanza tra la testimonianza davvero splendida di alcuni, sostenuta da una altrettanto mirabile posizione ufficiale assunta da quasi tutte le costituzioni e le regole di vita dei religiosi che recentemente sono state riformate, e il sostanziale rifiuto, da parte di altri, di accettare che “nel nostro servizio missionario ascoltiamo il gemito del creato e d’intere popolazioni che subiscono violenze, corruzioni, oppressioni, guerre, ingiustizie. Questo c’impegna per la giustizia, la pace e l’integrità del creato come parte costitutiva della predicazione del Vangelo e del nostro carisma”. (Missionari della Consolata, XI Capitolo Generale, n. 29). Si possono trovare facilmente enunciazioni simili in documenti di molte altre congregazioni. La sfida per noi religiosi è chiara, ed è esattamente la stessa per ogni cristiano, cioè come passare, sulle orme di suor Leonella, dall’assunto indotto culturalmente che l’altro è mio nemico, all’abbraccio dell’altro come mio fratello o sorella. Questo richiede una vera conversione che, nel mio caso almeno, avverrà lentamente ma, ormai ne sono sicuro, è possibile... Certo, aver capito e chiaramente enunciato che l’impegno per costruire la pace e la giustizia è un elemento essenziale della nostra testimonianza religiosa è un grande passo in avanti. A volte sono stati fatti anche altri passi concreti, tuttavia molti di noi religiosi non sono ancora riusciti a intuire quale ruolo cruciale i laici possano giocare nella nostra conversione. La mia stessa formazione religiosa e i miei studi teologici mi hanno aiutato poco a comprendere che il Vangelo della pace e della nonviolenza costituisce il nocciolo della missione. Di fatto, tale concetto era totalmente assente. Io l’ho scoperto, con molta gratitudine, attraverso l’ispirato impegno di tante donne e tanti uomini laici che osano mettere in pratica ciò che io, ancora troppo sovente, mi limito a predicare. E questo, purtroppo, continua ad essere vero ancora oggi.

 

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