Le ragioni del no
“Quando avverrà il tempo in cui la cristianità dirà la parola giusta al momento giusto?”, si chiedeva Bonhoeffer, alla vigilia della seconda guerra mondiale, auspicando che le Chiese si schierassero, una volta per sempre, in maniera forte, decisiva, vincolante, in favore della pace. Ma il tempo per proclamare e far udire al mondo quella parola chiara, assoluta e priva di ambiguità ancora non è arrivato. Perché? L’annuncio cristiano sulla pace è da secoli segnato dalla cosiddetta “dottrina della guerra giusta”, che se per la maggioranza dei cristiani è accettata come soluzione estrema, per altri rappresenta la fonte di una contraddizione inaccettabile con l’annuncio di Gesù Cristo, il tradimento più grande perché ne ha deturpato il cuore. L’elaborazione dottrinale della guerra giusta ha così creato all’interno del mondo cristiano due visioni di pace molto differenti, perché, se da un lato è potuta servire storicamente a contenere il dilagare della violenza cieca, dall’altro ha però legittimato ufficialmente il raggiungimento della “pace” anche con il mezzo della guerra.
Il Punto Pace di Bologna si è voluto confrontare seriamente con tale questione, promovendo, nello scorso autunno, un convegno dal titolo Chiesa, tra guerra giusta e Vangelo: il tempo della scelta. Il convegno rappresenta la seconda tappa di un percorso iniziato un anno fa, sempre a Bologna, in cui, riflettendo su pace e guerra al Concilio Vaticano II, se ne erano evidenziate le due differenti “anime”. Il Concilio, pur rappresentando un tempo speciale (kairos) segnato dalla presenza dello Spirito, su questo punto non è stato in grado di fare il passo decisivo che tanti si attendevano, e pur non riferendosi mai esplicitamente alla dottrina della guerra giusta, resta in una ambiguità di fondo e non arriva a pronunciare la condanna ufficiale di ogni tipo di guerra.
Il Dio nonviolento
Con le parole di Gesù in mano, il biblista Giuseppe Barbaglio, primo relatore al convegno, affronta il tema per ricordare che Gesù si è preoccupato, prima di ogni altra cosa, di rimuovere l’“inimicizia” tra gli uomini. A tale scopo era necessario rivelare un’immagine di Dio nonviolento, non aggressivo, non dominante, accogliente in modo indiscriminato, che “fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45), che tratta dunque con la stessa benevolenza amici e nemici. In quest’ottica, se Dio ama anche i nemici, la violenza è tagliata alla radice, anche per l’esperienza umana: per diventare figli di questo padre
V’è un punto in cui i due movimenti, quello razionale, che sale dal basso, e quello evangelico, che scende dall’alto, si possono incontrare in concreto, pur con motivazioni e impulsi differenti. L’impulso della ragione, man mano che si sviluppa e si determina, esige sempre più razionalità nei rapporti umani, e quindi l’esclusione della guerra – perché ormai ne sa, per lunghissima esperienza, tutti i danni e la nulla positività – e in modo radicale, sì da non poter fare alcuna distinzione, come si faceva un tempo, tra guerra giusta e guerra ingiusta. Oggi molti sono giunti a escludere sul piano razionale la possibilità di una guerra giusta. Già un tempo si ammettevano tali condizioni che, a dire il vero, di fatto escludevano la possibilità della guerra giusta; oggi però tutte queste condizioni sono di fatto, sul piano naturale, trascese dal carattere totale della guerra.
Giuseppe Dossetti, 11 giugno 1995
Il nuovo mondo sarà invece abitato dai nonviolenti: saranno loro, i miti, i mansueti, a ereditare la terra, secondo la beatitudine di Mt 5,3; e i facitori di pace, coloro cioè che si impegnano nella difficile costruzione della pace, diventeranno figli di Dio: Dio Padre, dunque, riconosce come suoi figli i nonviolenti. Secondo le parole di Gesù, l’inconciliabilità di Dio con la violenza è radicale: non solo Dio rifiuta ogni tipo di omicidio, ma l’uomo deve controllarsi anche nella collera verso gli altri (Mt 5,21-22), che è fonte di nuova violenza. Su questa linea, la non opposizione al malvagio espressa nell’antitesi di Mt 5,38-41 significa spezzare la spirale di azione-reazione uguale e contraria (l’antica legge “occhio per occhio, dente per dente”) che non ha mai fine, che non ferma la violenza e porta alla distruzione totale. Gesù vuole che i suoi interrompano questa spirale, e l’unico modo per farlo è quello di non rispondere alla violenza con la violenza. Occorre, però, fugare ogni equivoco che Gesù insegni la passività: egli, al contrario, chiede l’azione, esorta ad agire in modo nonviolento, a porgere l’altra guancia, a lasciare anche il mantello a chi ci prende la veste (Mt 5,39-40; Lc 6,29): alla violenza occorre reagire con una provocazione che sorprenda il violento, nella speranza che comprenda il suo peccato e si converta.
Un mondo di armi
Riferendosi all’enorme capacità distruttiva delle armi moderne, Marco Deriu rileva una drammatica e diffusa assuefazione alla violenza, al punto che l’attuale potenzialità distruttiva delle armi ci pare quasi “normale”. La Chiesa stessa, oggi come in passato, non è immune da questo tipo di assuefazione. Ma la guerra – anche quella giusta – è assurda, secondo Deriu, dal punto di vista prettamente razionale, così come è assurdo che i Paesi destinino una parte spropositata delle proprie risorse alla progettazione, costruzione, mantenimento, sperimentazione e commercio di un immenso arsenale di distruzione. Questo apre tre questioni: - il costo sociale pagato a fronte delle spese militari e le risorse sottratte al sociale, all’educazione e alla sanità; - il condizionamento culturale che questo orientamento economico determina, nei centri di ricerca, nelle università, nelle imprese; - l’enorme impatto ambientale, in termini di inquinamento, produzione di scorie ecc., che le armi (produzione, sperimentazione) e le attività di tipo militare in genere producono.
Già queste premesse dovrebbero indurci a porre in dubbio la ragionevolezza del progetto bellico. Il numero di morti e di feriti in una guerra moderna è talmente spropositato che basterebbe il senso comune per comprendere quanto sia avulsa da qualsiasi senso della giustizia ogni guerra. Se in passato si accusavano le posizioni pacifiste di utopia, di peccare di idealismo, di mancanza di responsabilità, oggi invece si può argomentare contro la guerra proprio sulla base di valutazioni di tipo realistico. È compito dei cristiani portare alla luce e sconfessare l’adorazione idolatrica dell’idea di una violenza che può essere controllata e indirizzata al bene. È giunto il tempo di denunciarla per quello che è: una menzogna diabolica, che sta portando l’umanità alla distruzione. La Chiesa è disposta a prendersi questa responsabilità che fa parte del suo essere? È in grado, come Cristo, di annunciare la verità della pace, ma fino in fondo?
Una guerra dentro di noi
Massimo Toschi non esita a riconoscere che la guerra è purtroppo la dominante culturale del nostro tempo; ma il grosso problema è che attraversa la stessa prassi delle Chiese, la teologia, i gesti spirituali. La cultura di guerra è dentro di noi, è diventata un idolo, al punto che la nostra stessa esperienza religiosa è pensata dentro la cultura della guerra, entro una cornice di scontro di civiltà. Le tensioni con l’islam, il difficilissimo assetto mediorientale, l’essere ormai in guerra da sei anni, sono realtà, anche per la Chiesa italiana, non certo secondarie... Eppure al Convegno Ecclesiale di Verona, di tutto questo, che doveva essere “la” questione, c’è stato il silenzio quasi assoluto: una totale assenza di discernimento, una cecità verso i “segni dei tempi”. La Chiesa è consapevole che le sue scelte o non-scelte, soprattutto le parole pronunciate dai vescovi, possono avere un peso enorme per favorire o ostacolare i processi di pace? Il Vangelo della pace è il cuore della parola di Dio, incarnata e affidata alla Chiesa per la salvezza del mondo, che però da secoli ha imbavagliato questa pace – dono di Dio, con la dottrina della guerra giusta e l’ha rinnegata nella corsa agli armamenti, l’ha sepolta nelle vittime di tante guerre ingiuste. È tempo che le Chiese ascoltino il magistero muto delle vittime della storia e del mondo di oggi.