POPOLI DIMENTICATI

Il muro nel deserto

Voluto dal Marocco è difeso da radar e da mitragliatori, disseminato di mine è un baluardo di ingiustizia per condannare i sahrawi al silenzio e all’oppressione.
Anna Contessini

Da Rabuni, “capitale” della Repubblica sahrawi in esilio, a ovest di Tindouf nel deserto algerino, il terreno è sabbioso e piatto. È l’hammada, il più ostile alla vita tra tutti i tipi di deserto. Il muro che compare all’orizzonte è alto circa il doppio di un uomo ed è plumbeo e desolato. Il Marocco l’ha costruito dal 1982 al 1987 per proteggere il territorio che aveva occupato dalle incursioni dei legittimi proprietari sahrawi. Il muro, difeso da radar, da mitragliatrici e cannoni, è un baluardo di sconfinata ingiustizia e persecuzione. Dal cessate il fuoco del 1991 il muro è sotto la sorveglianza dei caschi blu dell’ONU.
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