EDITORIALE

Una Chiesa tenera e coraggiosa

La redazione

È primavera. Stagione che risveglia la vita, i colori, i fiori... Eppure avvertiamo che sono tempi “cattivi”.
Anche in questi ‘giorni cattivi’ – scrive Enzo Bianchi in un articolo pubblicato su “La Stampa” del 18 febbraio scorso – i cattolici ricordino che il futuro della fede non dipende mai da leggi dello Stato ma dalla fedeltà al Vangelo e dall’attenzione agli uomini in mezzo ai quali vivono, e dunque ai segni dei tempi”.
Sì, anche noi siamo convinti di vivere “tempi cattivi”, tempi faticosi. A volte segnati da tanta amarezza. Quando vediamo, per esempio, la nostra Chiesa incapace di dar segnali di amore, timorosa nel donare tenerezza, avara nell’accoglienza e chiusa al vento della profezia. Sono tempi cattivi quelli in cui il legalismo prevale sull’amore.
La difesa strenua e ostinata dei propri principi trionfa sulla capacità di ascolto. Il caso Welby è significativo di un atteggiamento che ha lasciato molti senza parole. Proprio la vigilia di Natale si chiudevano le porte della Chiesa... Cosa abbiamo da difendere di fronte a un uomo che ha sofferto così tanto? Possiamo affermare la verità solo nell’accoglienza. E la Chiesa è chiamata, oggi più che mai, a vivere questo atteggiamento di apertura della mente e del cuore perché tutti i nostri fratelli siano accolti. In questa luce vogliamo ripensare al Convegno Ecclesiale dello scorso ottobre a Verona. Al dibattito sulla famiglia, sui “DICO”. Agli stimoli che ci arrivano dal Social Forum appena concluso a Nairobi, all’appuntamento ecumenico di Sibiu, alle grandi sfide per la pace, come Vicenza e gli F35 a Cameri (Novara). Sono tempi difficili in cui la violenza e la guerra pretendono di imporsi come stile e cultura e di contagiare anche la Chiesa, al punto che la gerarchia sembra oggi molto più sensibile ai temi della bioetica, della famiglia tradizionale e della scuola cattolica che non ai valori della giustizia, della legalità, del disarmo e della pace.
C’è bisogno di primavera, anche nella Chiesa.
Sono tempi di cambiamenti, per la Chiesa italiana, di sguardi al futuro.
Tempi di parole chiare, profetiche, in difesa della dignità di ogni essere umano. Nell’attesa di questo nuovo vento di primavera vogliamo ricordare, al suo quarantesimo anniversario, la Populorum Progressio del 1967 in cui si legge al n. 53 “Quando tanti popoli hanno fame, [...] ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia troppo tardi”. Parole profetiche, da far risuonare ancora oggi. Parole che hanno richiesto la testimonianza di profeti coraggiosi della nostra Chiesa, come don Lorenzo Milani, di cui ricordiamo i 40 anni dalla morte.
Padri della nonviolenza che portiamo nel cuore e nella mente.
È primavera. Tempo in cui sognare è gridare quello che abbiamo nel cuore.
Consapevoli dell’affetto e dell’appartenenza alla comunità cristiana, desideriamo riconoscere la Chiesa sempre più capace di dialogo e di ascolto, di rispetto delle diversità e di accoglienza profonda, di una parola che nasca dal cuore e al cuore sia rivolta. Sempre più rispettosa della dignità e della coscienza di ogni persona.
Sempre più capace di vivere la fede con sacrosanta laicità.
Una Chiesa capace di vivere pienamente il Concilio e, con esso, il valore del rispetto delle attività terrene e delle loro legittime autonomie: “Fondata per porre fin da quaggiù le basi del regno dei cieli e non per conquistare un potere terreno, essa afferma chiaramente che i due domìni sono distinti, così come sono sovrani i due poteri, ecclesiastico e civile, ciascuno nel suo ordine” (Populorum Progressio, 12).
Una Chiesa coraggiosa, ma sempre tenera, capace anche di commuoversi, rispettosa dell’umanità, di ogni donna e di ogni uomo. Una Chiesa capace di “scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce dell’Evangelo” (Populorum Progressio, 13).
È questa la primavera che attendiamo.

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