NONVIOLENZA

4 aprile 1968: ho un sogno

A quarant’anni dall’assassinio di Martin Luter King il messaggio del leader nero assume ancora più pregnanza e attualità.
Cristina Mattiello

In una fase in cui è caduta la barriera, anche teorica, della condanna della guerra come risoluzione dei conflitti internazionali, le grandi figure dei leader nonviolenti vedono rivitalizzata la loro attualità. È a loro, infatti, alle loro lotte, alle loro parole, alle loro speranze che dobbiamo rivolgerci per trovare argomenti e spinte in grado di fermare la spirale di violenza in cui in questi ultimi anni sembra caduto il mondo occidentale.

Oltre la tensione razziale

A quarant’anni dal suo assassinio a Memphis, Tennessee (4 aprile 1968), la figura di Martin Luther King in particolare può rivelarsi preziosa da ricordare e riscoprire: protagonista di una lotta nonviolenta con al centro uno dei grandi nodi contemporanei, la tensione interetnica, apre la riflessione sull’opportunità di reagire con la violenza all’oppressione e all’ingiustizia.
Martin Luter King, inoltre, ha cambiato in modo radicale la vita degli afroamericani, pur lasciando aperti problemi più ampi.
Quando, nel 1955, ebbe avvio la lotta nonviolenta per i diritti civili, nel Sud degli Stati Uniti vigeva un sistema di rigida “segregazione” per legge, in base alla quale tutti gli spazi pubblici, dagli autobus ai ristoranti, dalle scuole alle chiese, erano rigidamente o per bianchi o per neri, o divisi in due settori incomunicabili. Ogni elemento della vita quotidiana e il clima umano generale sanciva una supposta “inferiorità” dei neri. Erano negati loro i diritti basilari, tra cui quello del voto.
Il movimento nonviolento, sotto la guida di King, seppe trovare la strada per superare almeno gli squilibri formali più gravi: Stato per Stato, e poi a livello nazionale, ottenne la cancellazione delle leggi della segregazione e la parità formale. Ogni tappa, ogni conquista doveva essere difesa sul campo, perché il Sud bianco non voleva cedere e rinunciare ai suoi privilegi.
Fu una lotta rigorosamente e dichiaratamente nonviolenta, secondo una scelta consapevole fatta da King nei primi giorni e mai tradita. Le preghiere, i canti – soprattutto alcuni Spirituals recuperati nella memoria storica e riadattati – le assemblee, i raduni, le marce di protesta, gli scioperi, i sit-ins, i “viaggi della libertà” (bianchi e neri sullo stesso pullman gli uni accanto agli altri), i sermoni: queste furono le “armi” del movimento, nonostante il crescendo della violenza con cui veniva attaccato – gli insulti, le minacce, i linciaggi, gli attentati, la repressione, la brutalità delle istituzioni e delle forze dell’ordine locali, gli arresti, i feriti, i morti. E nonostante l’affermazione sempre forte delle correnti radicali e del carisma di Malcolm X nella comunità afromericana, le lacerazioni e le contestazioni interne, proprio sul tema della nonviolenza.
Fino alla fine King considerò un momento centrale della lotta la presa di coscienza: tenne a lungo “scuola di nonviolenza” e nei suoi discorsi in ogni occasione ribadiva i principi essenziali della sua posizione teorica.
Le premesse sono nel messaggio cristiano, ma anche nel pensiero di Gandhi, approfondito con un viaggio in India, e in alcune linee della cultura americana: il Vangelo sociale, i teologi radicali e anche scrittori come Emerson e Thoreau.

La scelta nonviolenta

Se a un primo livello la scelta nonviolenta è una scelta tattica, perché una minoranza quale è quella afroamericana, non riuscirebbe mai a imporsi con la forza nel Paese, a un livello più autentico è una scelta di vita consapevole e totale. Non è certo un metodo dettato dalla vigliaccheria e dalla paura e non è accettazione passiva del male. Tutt’altro. “Resistenza passiva” vuole dire nessuna reazione fisica, ma il metodo è fortemente attivo sul piano spirituale: si risponde al male e si combatte la violenza materiale con la forza dell’anima. Si può, quindi, anzi si deve, arrivare anche alla “disobbedienza civile”, purché sempre

SCAFFALI
James H. Cone, Martin and Malcolm and America. A Dream or a Nightmare;
David J. Garrow, Bearing the Cross. Martin Luther King, Jr. and the Southern Christian Leadership Conference;
Cristina Mattiello, Le Chiese nere negli Stati Uniti. Dalla religione degli schiavi alla teologia nera della liberazione;
Paolo Naso, a cura di, L’“altro” Martin Luther King;
Paolo Naso, a cura di, Dove stiamo andando: verso il caos o la comunità?; Un testamento di speranza.
I testi di Martin Luther King in italiano:
Marcia verso la libertà; La forza di amare; Il fronte della coscienza; Perché non possiamo aspettare...; Oltre il Vietnam.
nell’ambito di un comportamento rigorosamente nonviolento. Una legge è giusta quando è “in piena armonia con una norma morale” e “contribuisce a innalzare la personalità umana”. Viceversa, una legge che non risponde a questi criteri e avvilisce la persona umana, come ad esempio le leggi che sanciscono la segregazione razziale, si pone al di fuori della legge morale dell’universo ed è contro la legge di Dio. Gli oppressi, secondo King, devono utilizzare sempre mezzi morali per raggiungere i loro giusti obiettivi e la libertà. Non è vero che il fine giustifica i mezzi o che, come dicevano i settori afroamericani radicali, bisogna agire “con ogni mezzo possibile”. Metodi immorali e distruttivi non possono produrre, alla lunga, effetti morali e costruttivi. Il percorso della nonviolenza non ammette deroghe: fini e mezzi sono sempre limpidi e puri, anche se ciò comporta rischi personali altissimi.
Chi ha compiuto la scelta nonviolenta è pronto ad accettare la sofferenza. Sa dal Vangelo che non c’è resurrezione senza la croce e non c’è libertà senza sofferenza. Ma la ferma convinzione di stare nel giusto fa superare la paura.

La Chiesa afroamericana

Giustizia, amore e speranza: su questi tre perni inscindibili è stata costruita la Chiesa afroamericana e se un nero è disposto a lottare per ripercorrere questa strada attualizzandola nel nome della nonviolenza, compie anche un fondamentale passo avanti nella ricostruzione della sua identità umiliata dal razzismo quotidiano. La superiorità morale acquisita attraverso la lotta nonviolenta è anche un modo per trovare l’autostima personale e la coscienza di essere parte di “un grande popolo – un popolo nero – che ha instillato un nuovo significato e una dignità nuova nelle vene della civiltà”.
Centrale è il tema del rapporto con il bianco oppressore, con il “nemico”. A Malcolm X che diceva che la noviolenza disarma l’oppresso, Martin Luther King rispondeva che disarma l’oppressore. Innanzi tutto perché “la sofferenza immeritata redime”: il suo valore educativo è tale che è capace di trasformare anche l’oppressore.
Questo è uno degli obiettivi della lotta nonviolenta. La violenza genera violenza: la spirale di odio, rancore, vendetta si può fermare solo con la forza morale.
Lottare per la giustizia vuol dire puntare al bene di tutti, non solo dell’oppresso liberato. E la lotta è sempre contro il male, non contro chi lo commette. La tensione, ripeteva King, non è tra bianchi e neri, ma “tra giustizia e ingiustizia, tra le forze della luce e le forze delle tenebre”. Affermare e praticare l’“etica dell’amore” è l’unico modo per lottare per la giustizia.
Per spiegare il concetto di “amore”, King ricordava che nella lingua greca esistono tre vocaboli diversi: l’eros, che è l’amore estetico e romantico, la philia, che è affetto reciproco, amicizia tra due persone e l’agape, che è quello di cui parla Gesù e che è il fondamento della nonviolenza. Più che sentimentale e affettivo l’agape è un amore “comprensivo, redentivo, creativo, una benevolenza verso tutte le persone”, che è “sempre dovuto e non chiede nulla in cambio”.
Un amore disinteressato, spontaneo, che non discrimina l’oggetto e che quindi si rivolge tanto ad amici che a nemici, cercando sempre il bene dell’altro: “è l’amore di Dio che opera nel cuore umano”. L’obiettivo non è attaccare chi compie il male, ma liberarsi del sistema malvagio, sconfiggere il sistema ingiusto per “creare all’interno della società” un equilibrio morale che coinvolga tutti, per cui anche l’oppressore sarà redento.
We Shall Overcome”, vinceremo: King citava spesso nei suoi discorsi l’antico canto degli schiavi neri che sognavano la liberazione. “Non abbiamo paura”, perché “un giorno cammineremo mano nella mano”. È di questo sogno di giustizia e di pace, oggi drammaticamente violato da forsennate politiche bellicistiche, che ci parla ancora Martin Luther King, nel quarantesimo anniversario del suo assassinio.

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