Con lo sguardo nonviolento
Il primo di alcuni articoli che presentano ai lettori alcuni teniche basilari e nuovi alcuni linguaggi.
Da quando la pace è cominciata a essere un termine ambiguo, strumentalizzato dai militari e dalle cosiddette “ operazioni umanitarie”, ho iniziato a persuadermi dell’importanza della nonviolenza, soprattutto nella mia vita. Si badi bene che non si tratta di un semplice cambio di vestiti: prima indossavi l’abito del pacifista, ora quello del nonviolento. La nonviolenza così non funziona.
Aldo Capitini, l’antesignano della nonviolenza in Italia, affermava che invece di definirci nonviolenti, è più opportuno considerarsi persuasi della nonviolenza. Questi ultimi ritengono, a differenza dei pacifisti, che la nonviolenza sia un’unità della propria vita, perché in cuor loro sanno, a prescindere dalle convinzioni etiche, ideologiche e filosofiche sulla nonviolenza, di non essere in grado di adottare sempre comportamenti, linguaggi e strategie coerenti con le proprie convinzioni, ma si sforzano di farlo.
Da ciò mi verrebbe da dedurre una prima considerazione: non basta convincersi della nonviolenza per dirsi nonviolenti. A parole tutti possiamo definirci tali. Il nocciolo delle questione è proprio qui: di quanto di quella convinzione è permeato il mio corpo, fatto di sguardi, di voce, di gesti, di portamenti, di espressioni verbali e non verbali, in modo da compiere dentro di me quella espressione tutta gandhiana della coerenza tra mezzi e fini?
Mi rendo conto che così dicendo la nonviolenza può essere vissuta da tutti come un’opportunità, da una parte azzerando diritti di primogenitura di chi si è sempre sentito nel ruolo dei pionieri storici della nonviolenza in Italia e dall’altra la possibilità per quanti interessati di sperimentarsi in un percorso formativo.
Capace di cambiare
Nei tanti laboratori che vado conducendo in Italia sulla nonviolenza affermo sempre, in premessa, che i nonviolenti, al pari dei militari, hanno bisogno di allenarsi, i primi per praticarla nella propria vita, i secondi per la difesa armata. A tal riguardo trovo interessante l’ultimo quaderno di “Mosaico di Pace” sul training nonviolento, curato da Antonio Lombardi, e prendo spunto da questo lavoro per asserire che, per conferire alla nonviolenza tutta la sua carica trasformativa, a mio avviso, c’è bisogno di osservare tre condizioni:
1. avere voglia di fare questo percorso non solo dentro di noi;
2. sapere come farlo ovvero, concretamente, quali strumenti e tecniche posso usare per rendere più efficace questo percorso;
3. attivare l’energia in termini di propria e altrui mobilità, perché all’azione praticata corrisponda una strategia appropriata.
I punti 1 e 3, essendo interattivi, implicano una corrispondente gestione dei conflitti in termini creativi e per fare ciò è necessario affinare delle competenze di tipo comunicativo e cooperativo oppure sulla fiducia/autostima.
Ritengo di iniziare, con un breve percorso a puntate, dall’acquisire competenze comunicative nella gestione dei conflitti, attraverso la somministrazione di strumenti pratici per la vita quotidiana. Non costituiranno il toccasana del problemi legati alla violenza, ma sicuramente una possibilità di confronto e di verifica e, contemporaneamente, una dimostrazione che la nonviolenza consente di effettuare il passaggio dal livello degli enunciati di principio a quello della prassi.