Ucciso anche tu
Sabato 23 febbraio, alle ore 21 all’Auditorium Battisti di Bolzano, debutterà lo spettacolo teatrale prodotto dal centro per la pace del Comune di Bolzano “Le strade dell’acqua. Storie di predatori, migranti, amanti e sognatori”. Racconta alcune storie emblematiche legate all’acqua e denuncia i perfidi meccanismi che stanno all’origine dell’accaparramento delle risorse naturali.
In anteprima, presento ai lettori e alle lettrici di “Mosaico di pace” un frammento del copione da me ideato. È il brano che ricorda la storia di Chico Mendes, il Gandhi dell’Amazzonia, ucciso alla vigilia di Natale del 1988 e che quest’anno viene ricordato in tutto il mondo a vent’anni dalla morte.
La compagna di vita
Il giorno che lo vidi era li. Mi ero nascosta dietro la roccia per non farmi vedere. Guardavo il suo viso capovolto che sorrideva nello specchio d’acqua. Tutto era immobile. Il lago vibrava. Ricordo che era un sabato perché lui si riposava sempre il sabato. Ero totalmente catturata dai suoi lineamenti, dai suoi folti baffi girati all’insù, dai suoi capelli color carbone con la riga in parte. Rideva al vento che increspava il lago. E si guardava senza vedersi. Non mi sono mossa, ho lasciato che il tempo facesse spazio al tempo.
Quando si è alzato mi sono nascosta fra le pietre lasciando fuori solo l’occhio sinistro per ammirarlo fin che ho potuto, fin che è sparito nella foresta. Anche se avessi voluto non sarei riuscita a parlare. Mi sentivo fredda come la pietra a cui ero appoggiata. Ero ammutolita, incapace di pronunciare una parola, una vocale, un suono. Ero impedita, volevo urlare, ma la mia bocca non si apriva. Volevo cantare, ma il diaframma era paralizzato. Era come se la roccia fosse diventata una parte di me e il mio cuore, che batteva forte, fosse rimasto incastrato fra le pareti di pietra. Sentivo solo l’eco dei miei sospiri.
Quando andai dal vecchio del villaggio per sapere se l’uomo del lago sarebbe potuto diventare il mio compagno per sempre, mi mise una mano sulla testa e alzando gli occhi bianchi al cielo fece il suo orribile presagio. Alzò il bastone e cominciò a ruotarlo velocemente fino a cadere a terra esausto. E mi disse con una voce forte, profonda: “Lo ammazzeranno! Né troppo presto, né troppo tardi. Chico si batterà fino all’ultimo albero, difenderà la vita dei seringueiros, nuoterà nel rio, lo cavalcherà per giorni e giorni fino ad arrivare alla più estrema capanna dei contadini. Tenteranno di ammazzarlo dodici volte ma lui riuscirà sempre a fuggire, a scansare la pallottola assassina. La tredicesima volta cadrà sotto i colpi di pistola dei cacciatori d’alberi, uomini senza scrupoli che vogliono dominare la foresta, sfruttarla per fare soldi e svenderla agli stranieri. Devi essere pronta Ilzamar. Chico sarà ricordato in tutto il mondo come un eroe. Il suo sogno sopravvivrà, si dilaterà, camminerà sulle strade dell’acqua e tu sarai la metà di quel sogno”.
La morte
Sono passati vent’anni, l’eco del proiettile che me l’ha portato via brucia ancora come una fiamma che divora la memoria. Chico era sulla porta. Io ero in casa con i piccoli Sandino e Elenira. Ci stavamo preparando al Natale. A un certo punto abbiamo sentito uno sparo. Sapevamo che Chico era nel mirino dei fazendeiros, i proprietari di ampi terreni, che avevano assoldato oltre trenta pistoleros per farlo fuori. La guardia del corpo proprio in quell’attimo si era allontanato un poco. Il killer aveva studiato ogni minimo movimento. Quando è finito il trambusto, abbiamo trovato Chico disteso per terra in una pozza di sangue. Abbiamo urlato la nostra disperazione al mondo e il mondo è corso a raccontare la fine del sogno amazzonico.
Da allora vengo a ricordarlo tutti i giorni qui, in questo specchio d’acqua dove vidi il suo riflesso tanti anni fa nascosta dalla roccia senza poter pronunciare una sola parola.
I poveri lo amano quanto lo amai io. Sono sempre pronti a seguire i suoi insegnamenti. Lo hanno definito il Gandhi dell’Amazzonia. Gli assassini sono stati condannati, incarcerati e ben presto liberati, grazie alle leggi in vigore nel nostro Paese.
Ma il potere dei forti si è indurito ancora di più. Ora viene da lontano. Ha nomi stranieri, centrali in ogni parte del mondo. Le imprese transnazionali sono penetrate nell’Acre con la potenza e l’arroganza che nemmeno il più incallito latifondista aveva mai osato fare. Questi mostri finanziari uccidono la foresta per la pura brama di profitto, la trivellano per succhiare il petrolio, aprono buchi enormi fra gli alberi, mettono in subbuglio l’ecosistema, ammalano i contadini. E mettono le mani sul Rio, sul fiume sacro per tutti noi che lo abitiamo. L’ultima frontiera è l’accaparramento delle risorse idriche. Vogliono rubarci l’acqua, impossessarsi delle sorgenti, imporci la tassa per bere. Dichiarano una subdola guerra, quella per l’appropriazione dei beni essenziali.
E Dio dov’è? Dove si è nascosto? Chi lo tiene in silenzio?
Forse anche lui si è ritirato spaventato. Ci ha regalato Chico ma l’uomo violento e aggressivo, l’uomo che uccide la Pachamama senza aver timore nemmeno di Lui, l’ha condannato a morte.
“Ucciso anche tu, Chico Mendes / perché la terra non muoia di sete, / ucciso perché la foresta non sia uccisa / e tutti gli alberi stiano in piedi, verdi, / alti, imponenti e verdi, / e tutti i figli dell’uomo possano / respirare ancora / l’ultima aria pura: / tu, seringueiro, figlio del fango / figlio della baracca azzurra del fiume / figlio del fiume e della “mata” vergine / figlio dell’Alto-Acre da dove / un lontano giorno è venuto l’uomo / che doveva consacrarmi, e tu / cresciuto là per vestirti di una porpora / più sacra di ogni sacerdozio: / ucciso con tre pallottole di fuoco / come i tre chiodi roventi di Cristo, / sulla soglia della tua capanna e la notte / già stava invadendo tutta la foresta: / morte offerta sul vassoio / come una tortilla per l’ora di cena: / offerte per la grande festa / degli Indios di tutta la terra: festa / perché gente che muore come te / lava la terra: / novello Mahatma dell’Amazzonia, / è giunta la tua e nostra ora, / ed è questa…” (David Maria Turoldo).