La strada dell’esodo
Più che con la spada, San Paolo bisognerebbe raffigurarlo con la bisaccia, teso com’era a raccogliere i valori della cultura che aveva attorno. In tal senso egli orientava i cristiani: “Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie. Esaminate ogni cosa: ritenete ciò che è buono” (1Tess 5,19-21). E lo dice anche a noi: esaminate ogni cosa e poi mettete nella bisaccia ciò che è buono; disponetevi cioè all’analisi critica di tutto ciò che il mondo vi offre, e poi mettete nella bisaccia del pellegrino tutto ciò che trovate di buono, anzi, tutto ciò che trovate di bello. […] Il cristiano del terzo millennio, che muove verso i crocevia della storia, ha sulle spalle una bisaccia come quella dei mendicanti: una bisaccia da riempire, non da svuotare.
(don Tonino, La bisaccia del cercatore, la meridiana, Molfetta 2007, pp. 20-1)
Mica facile partire senza portarsi nulla. Nulla di nulla. Mica facile, nel momento del di¬stacco, sottrarsi al lungo elenco di oggetti che, come protesi, dilatano nello spazio le funzioni della nostra esistenza. E poi nessuna protezione, nessuna assicurazione, nemmeno uno straccio di polizza a garantire sugli eventi. Niente di niente.
Un viaggio che è il viaggio. Scoperta e, soprattutto, affidamento. Intrapreso per ricevere non per dare. Per raccogliere non rilasciare. L’attrezzatura consigliata è quella del cammino, il bastone e una bisaccia. Da riempire, appunto. Come mendicanti. Che raccattano tutto ciò che trovano di buono, anzi di bello, che è la stessa cosa.
Spogli di tutto
Strano viaggio quello indicato da don Tonino per andare incontro al futuro. Suggerisce di spogliarsi invece che rivestirsi. Di sgravarsi invece che caricarsi. Di liberarsi invece che legarsi. Di esporsi invece che di proteggersi. Un viaggio radicale. Paradossale. Estremo.
Il cammino verso il futuro indicato da don Tonino è, infatti, estremo. Per andare più rapidamente incontro al futuro, suggerisce di prendere l’indispensabile, meglio l’essenziale. Poche cose strettamente ridotte al simbolico: “un ciottolo del lago, un ciuffo d’erba del monte, un frustolo di pane, magari di quello avanzato nelle dodici sporte nel giorno del miracolo, una scheggia della croce, un calcinaccio del sepolcro vuoto”.
Un mazzetto di simboli selezionati “non tanto come souvenir della mia esperienza con Cristo, quanto come segnalatori di un rapporto nuovo da instaurare con tutti gli abitanti, non solo della Giudea e della Samaria, non solo dell’Europa, ma di tutto il mondo: fino agli estremi confini della terra”.
Null’altro occorre per mettersi in cammino “fino agli estremi confini della terra” e istaurare “un nuovo rapporto con tutti gli abitanti”. Dunque, per aprire al futuro.
Basta disporsi con l’atteggiamento giusto, lasciarsi invadere dalla curiosità e non dalla nostalgia. Schiodare le certezze per “lasciare la staccionata della rassicurante masseria di famiglia e mettersi con coraggio sulle strade dell’esodo, verso gli incroci dove confluiscono le culture e le razze si rimescolano e le civiltà sembrano tornare all’antica placenta che le ha generate e i popoli ridefiniscono i tratti della loro anagrafe secolare”.
Smarriti cercatori di verità
Dove il senso comune diffuso vede solo apocalisse semplicemente don Tonino scorge germogli di un nuovo inizio. Mentre secondo lo spirito di questo tempo, la fine del nostro “evo” prefigura il tramonto delle civiltà e il crepuscolo della modernità annuncia l’epilogo dell’occidente, per don Tonino sta prendendo forma un inedito cominciamento per la coscienza. Per la prima volta, possiamo finalmente oltrepassare la staccionata della masseria, in cui le famiglie di appartenenza hanno racchiuso i simboli delle loro culture e religioni – elevandoli come assoluti – per andare verso un’unica dimensione planetaria che accomuni il destino della famiglia umana. Incuranti dei nostri abiti di origine, il dialogo può finalmente procedere tra le persone, non tra le categorie. Tra volti non tra schemi. Il senso di smarrimento, di incertezza, di confusione non è l’anticamera della catastrofe, ma la soglia imprescindibile che introduce al cambiamento profondo, al mutamento radicale che stiamo attraversando. Un nuovo senso sta prendendo forma e, co-me mendici, andiamo alla ricerca di nuove parole che lo riassumano. Siamo appena agli inizi, ma solo gli spiriti che si aprono con fiducia alla lingua dell’avvento possono interpretarne i segni.
Più che un modulo di addestramento tecnico, don Tonino suggerisce un percorso ancora più duro, un vero esodo “di purificazione interiore che ci impedisca la pietrificazione di Dio, che ci preservi dall’assolutizzare i nostri sguardi parziali puntati su di Lui, che ci allontani dalla tragedia di trasformare la fede religiosa – anziché in un elemento accelerante – in un elemento frenante la corsa degli uomini verso i traguardi della solidarietà planetaria”.
Insomma, il suo andare muove dall’interesse verso questo tempo di grazia. Il suo sguardo ultimo si sofferma proprio su questo istante come kairòs, come uscio da cui può irrompere la novitas.
E, al contrario, ciò che per lui è grazia, da noi viene percepito come minaccia. Invece che stimolare audacia genera paralisi. Piuttosto che suscitare protagonismo determina passività. La paura di perdere ciò che siamo, meglio ciò che abbiamo, prima che si trasformi in panico, agita atteggiamenti di chiusura, intolleranza, ma anche di violenza. L’occidente come area della paura, dicono gli osservatori della geopolitica. Ma cosa è la paura se non lo stimolo a riscoprire, con coraggio, energie ancora più riposte, cosa è se non la sfida a vincere il senso di impotenza?
Sa, don Tonino, di rivolgere il suo invito a una coscienza adulta che ha maturato una consapevole autonomia. L’uomo moderno è cresciuto e il Dio che don Tonino avverte, come quello di Bonhoeffer, non vuole interloquire con la sua parte infantile, col suo lato irrazionale, ma proprio con la sua dimensione critica, con i dilemmi della sua ragione. Nel superamento degli involucri religiosi non c’è il naufragio dell’uomo, non c’è l’abisso della perdizione, dice Don Tonino, ma una più autentica esperienza di fede che sgorga dalle irrisolte domande di senso. Nel cuore di queste domande, che abitano da sempre il cuore dell’uomo, si incrocerà ancora una volta la risposta di vita del Cristo della fede.
Oggi un nuovo senso etico comincia a maturare dal contatto con un’inedita dimensione planetaria e da una nuova coscienza del limite, del finito. La percezione di un destino comune dinanzi al quale dobbiamo elaborare una responsabilità comune comincia ad affrancarci, finalmente, dalla pulsione delirante di una modernità fondata sull’affermazione dell’individuo e, dunque, sulla frantumazione dei vincoli e delle relazioni.
Solo a piedi scalzi il cammino ora può iniziare, con leggerezza, persino con gioia. Fino a condurre a una diversa esperienza di Dio.
È dissonante il cammino di don Tonino. Non evoca i mondi generati dalla paura, dalla violenza e dalla guerra. Nemmeno li teme. Né si limita alla giaculatoria. Semplicemente descrive un’altra strada, quell’altra tracciata dall’onnidebolezza del Vangelo, dallo scandalo della croce. E scommette che solo ora, in questo attimo, mentre si spegne la civiltà della forza, può nascere una relazione sociale fondata su quella forma pregiata di riconoscimento reciproco che chiamiamo amore.
Il suo passo, anche quando ha calpestato il cornicione sottilissimo dell’estrema sofferenza, non è caduto nell’abisso della disperazione. Al contrario. La spoliazione del dolore, pur attraversando la notte del silenzio, del vuoto, dello smarrimento, lo ha elevato fino all’altezza in cui è possibile scrutare da vicino le gemme della primavera. Mentre spegneva la sua vista, il male ha affinato il suo sguardo interiore, il suo occhio spirituale. Più il drago rosicchiava il suo corpo, più la redenzione ingentiliva il suo spirito.
Così ridotta a un soffio, la sua parola si è spenta annunciando il futuro. Del quale ci ha chiesto di essere protagonisti… col passo lieve.