Ma quale miracolo?
Rischi, costi, scorie, etica di una via senza ritorno.
Se c’è un paese al mondo assolutamente impreparato oggi ad avviare la costruzione di centrali nucleari, questo è l’Italia!
Negli ultimi 20 anni, dopo il risultato del referendum del 1987, sono state smantellate, con italica meticolosità, tutte le (non indifferenti) competenze sul nucleare, che si erano accumulate nei sia pur fallimentari programmi sviluppati nei 30 anni precedenti. Credo che si possano assicurare tutti i nostri concittadini che le roboanti dichiarazioni di Scajola non porteranno per un buon numero di anni alla costruzione di nessuna centrale nel loro “giardino”, né in quelli dei vicini.
Scajola non sa di cosa parla, e non lo sanno nemmeno molti di coloro che l’ascoltano. È vero che alla sconsideratezza e all’improvvisazione non vi sono limiti, e che sull’altare del dio denaro non si esita a sacrificare milioni di vite umane, ma sembra davvero impensabile che si possano costruire e gestire centrali nucleari senza tecnici.
Perfino una rivista smaccatamente filo nucleare come Le Scienze riconosceva onestamente, in un articolo di Ugo Spezia del giugno 2005, che: “…È difficile pensare a una riapertura dell’opzione nucleare nel breve termine”; e più recentemente, ritornando alla carica (E. Perugini, Le Scienze, gennaio 2008, pp. 86-91), rivendica più modestamente un rilancio della ricerca in campo nucleare (in un periodo in cui la ricerca è per tutta la nostra classe politica e imprenditoriale la “Cenerentola” assoluta), almeno per non rimanere tagliati fuori dai progetti internazionali, e supportare anche le rinascenti ambizioni in campo industriale, come quelle dell’Ansaldo.
Il nostro misero paese fa solo il verso a quelli più forti, i quali invece preoccupano molto di più.
Il mito francese?
La prima cosa da fare è demistificare il refrain molto comune: “Tanto siamo costretti a comprare energia elettrica dalla Francia, che la produce a basso prezzo, con reattori nucleari vicini ai nostri confini”. Che quei reattori siano vicini è vero, ma non possiamo farci nulla: sempre meglio di là dai confini che in casa! In primo luogo non siamo affatto costretti a importare energia dalla Francia: la capacità elettrica installata in Italia eccede ampiamente la domanda (88.300 MW contro 55.600 MW, dati 2006). È vero che la privatizzazione dell’industria elettrica ha portato a un aumento delle tariffe, particolarmente alto in Italia, mentre il sistema elettrico francese è largamente pubblico e ha mantenuto tariffe minori (finché anche l’industria italiana era pubblica le tariffe erano simili a quelle della Francia).
L’energia, comunque, non si compera direttamente da un altro Stato, ma in aste internazionali periodiche.
Ma anche il “miracolo nucleare” francese è una grandissima balla! Negli USA, ribattendo ai progetti nucleari di McCain, il Financial Post lo qualificava invece come un “disastro nucleare” (Financial Post, 13 maggio 2008)!
In ogni caso, la Francia costituisce un caso unico e non ripetibile (né appetibile!). In primo luogo perché in Francia l’industria energetica è dello Stato (che non si è nemmeno sognato di nazionalizzare Edf), e lo Stato ha gestito il nucleare civile nel contesto dell’ambizioso programma della force de frappe, che ha costi maggiori (comprende lanciatori, sommergibili, sistemi di allarme e controllo, ecc.), e ha assorbito sicuramente molto costi: sfiderei chiunque a valutare il costo vero del solo programma civile francese! Per la cronaca, la situazione è completamente diversa negli Usa, dove invece l’industria energetica è privata e infatti da 30 anni non ordina nuove centrali nucleari. Il massiccio sistema elettronucleare francese è estremamente rigido: non si possono accendere e spegnere i reattori nucleari come fossero accendini, per cui per coprire la richiesta di punta il sistema produce nelle ore notturne grandi eccessi di energia, che viene quindi venduta a prezzi stracciati; mentre in altri momenti Parigi deve acquistare energia dall’estero, a costi molto alti! Tanto che la Francia ha deciso di riattivare le obsolete centrali termoelettriche, alcune delle quali risalgono al 1968.
Costi sicurezza scorie
Veniamo a qualche ulteriore dettaglio generale, che aggiorna il dossier già pubblicato da Mosaico di pace nel dicembre 2006. I sostenitori del nucleare continuano a proporci questa scelta come la più economica e sicura, per di più libera da emissioni di CO2.
Quanto ai costi, basti citare un paio di fatti. L’autorevole Wall Street Journal del 12 maggio esprimeva tutta la sua preoccupazione per la lievitazione dei costi di una centrale da 5 miliardi di dollari a ben 12 miliardi! Significativo è l’andamento della costruzione del primo nuovo reattore francese EPR in Finlandia (Olkiluoto-3), che ha accumulato un ritardo complessivo di 2 anni e mezzo (estate 2011) e un aumento dei costi previsti probabilmente di 3 miliardi di euro. Il governo finlandese è diviso sull’energia nucleare. Ma è eloquente anche l’atteggiamento delle banche statunitensi che – di fronte a questa “pacchia” – sono disposte a fornire i prestiti necessari solo se il Governo Federale li garantisce! Provate a cercare con un motore di ricerca “guaranteed loans” e vedrete che valanga di notizie. Dunque, sono i privati a considerare gli investimenti nel nucleare rischiosi e non convenienti, checché ne dicano le sue mosche cocchiere!
Quanto alla sicurezza – oltre al fatto che il rilancio del nucleare pretende di cancellare Chernobyl, per il quale il picco dei tumori è atteso nel prossimo paio di decenni – si possono ricordare un grave incidente in un reattore nell’Ohio nel 2002 e un’impressionate serie di gravi incidenti alle centrali giapponesi. Vi è poi un gioco sporco che l’industria nucleare sta facendo: mentre vanta i bassi costi, li abbassa diminuendo le strutture di sicurezza (come l’involucro esterno), perché i nuovi reattori sarebbero già abbastanza sicuri!
La diminuzione delle emissioni di CO2 è un’ulteriore mistificazione. Tenendo conto che dai reattori nucleari si produce solo energia elettrica, e che questa è meno del 20 % dei consumi mondiali, è facile rendersi conto che anche costruendo centinaia di nuovi reattori, con costi colossali, le emissioni di CO2 verrebbero ridotte appena di qualche punto percentuale. Molti reattori, tra l’altro, andrebbero semplicemente a sostituire quelli esistenti, in gran parte vecchissimi.
Quanto alle scorie, ricordiamo che nessun paese al mondo ha ancora trovato una soluzione per gli enormi quantitativi prodotti, sicuramente soggetti ai peggiori traffici illeciti. E quanto alla proliferazione militare, non bastano le attuali 1.800 tonnellate sia di plutonio che di uranio altamente arricchito, nonché le 140 tonnellate di attinidi?
I mitici reattori di quarta generazione?
Di fronte a questi problemi gli alfieri del nucleare ci propongono dei reattori di nuova generazione, che risolveranno tutti i problemi: dovrebbero generare al loro interno nuovo combustibile nucleare (altrimenti l’uranio si esaurirà tra pochi decenni), “fertilizzando” determinati nuclei (l’uranio-238 e il torio-232 non subiscono la fissione, ma sono “fertili” perché, se bombardati con neutroni veloci, trasmutano rispettivamente in plutonio-239 e in uranio-233, che sono fissili); dovrebbero ridurre la produzione di scorie nucleari, e “bruciare” le scorie prodotte fino a oggi; dovrebbero basarsi su un ciclo del combustibile resistente alla proliferazione. “Dovrebbero”, appunto: perché i reattori di 4a generazione non esistono, ve ne sono molti (troppi, per non sollevare almeno qualche perplessità!) che si cerca di realizzare, e la loro commercializzazione si prospetta nientemeno che per il 2040! È veramente disonesto promettere miracolose proprietà di progetti che dovrebbero essere disponibili fra 30 anni, per una tecnologia come quella nucleare che è maledettamente complessa, e può riservare lungo il cammino le peggiori sorprese: come è avvenuto in passato per il programma dei reattori francesi veloci “autofertilizzanti”, che si è arrestato proprio quando era stato realizzato quello che doveva essere il prototipo della filiera commerciale (Superphoenix)!
Ritornando al nostro paese, c’è da chiedersi, anziché vaneggiare di improbabili centrali nucleari, quali risparmi di soldi, di energia, di risorse ambientali, e anche di produzione di CO2, sarebbero stati possibili rinunciando alla costruzione di qualche autostrada, dell’Alta Velocità ferroviaria, e si fosse invece ridotto consistentemente il trasporto su gomma valorizzando una delle reti ferroviarie migliori del mondo.