Un NO che viene da lontano
Uno dei punti di partenza per dimostrare l’impegno alla pace della chiesa primitiva è di appurare se, di fatto, vi erano cristiani nell’esercito prima di Costantino e in quale misura. Dalla fine del periodo neotestamentario fino al decennio 170180 d.C., non vi è alcuna testimonianza diretta o indiretta riguardo la presenza dei cristiani nelle file dell’esercito. Nel dare una spiegazione a questa mancanza di prove gli studiosi adducono diverse ragioni. Innanzi tutto la chiesa, assorbita dai problemi inerenti alla sua teologia nascente e dalla organizzazione interna, sembra subordinare certi problemi di natura più strettamente morale a quelli pastorali e liturgici. Un’altra ragione per cui non si posseggono testimonianze di cristiani che militassero nelle legioni, durante questo primo periodo, è costituita dal fatto che i Padri non avvertivano tale problema, poiché era ritenuta imminente la parusia del Cristo e, quindi, non ci si preoccupava eccessivamente dei rapporti tra religione cristiana e struttura civile. Inoltre con ogni probabilità, in tale epoca i cristiani evitavano il servizio militare essendo possibile l’esenzione.
Comportamenti diversi
Nell’Apologeticus, scritto nel 197 d.C., Tertulliano, confutando l’accusa di misantropia rivolta ai cristiani, segnala la loro presenza nel palazzo, nel senato, nel foro e persino nell’esercito anche se il suo severo rimprovero, espresso nel De corona (211 d.C.), contro l’arruolamento volontario è una prova importante del rifiuto di tale pratica. Tenendo conto di ulteriori testimonianze è possibile anche una minima classificazione geografica del fenomeno dell’astensione militare: esso ha prosperato soprattutto all’interno della pax romana, mentre era meno diffuso nelle province di frontiera più minacciate dai barbari. In particolar modo, il settore più alieno dal servizio militare sembra essere stato l’Oriente ellenistico. La frontiera orientale è, invece, il luogo in cui vi è la maggiore partecipazione alla guerra anche se, allo stesso tempo, è anche la regione in cui è più vivace la protesta contro di essa tra i gruppi che tendono a ideali ascetici e monastici.
Nell’Africa settentrionale, nel forum di Tebessa presso Cartagine, il 12 marzo 295, avvenne il martirio di Massimiliano che, adducendo motivazioni etico-religiose, rifiutò di prestare il servizio militare. Questo episodio può essere assunto a simbolo di un atteggiamento generale dei cristiani nei confronti della struttura militare. L’uccisione del giovane “obiettore” manifesta la portata rivoluzionaria dell’antimilitarismo cristiano in termini politico-religiosi: nessun documento testimonia che prima dell’avvento del cristianesimo qualcuno abbia subito la pena di morte per aver rifiutato di espletare il servizio militare.
Il posto della nonviolenza
Le dichiarazioni dei Padri fino al 180 d.C. sono di carattere generale, tuttavia in esse sono presenti echi di una tensione alla pace che non si riferiscono esclusivamente a una società escatologica, ma vogliono sottolineare come la chiesa, già nella sua dinamica terrena, miri alla realizzazione di quel regno messianico e di pace annunciato dai profeti e iniziato in Cristo. Giustino martire è più specifico. Nell’Apologia pone l’accento sulla nonviolenza cristiana, che non comporta passività, poiché è intessuta di amore attivo verso tutti i nemici. Essa, derivando dalla metànoia, tende al superamento di ogni barriera razziale e di ogni divisione religiosa, e mira all’annullamento delle inimicizie per mezzo della persuasione e della conversione. L’idea della preghiera e della comunione che diventano strumento di persuasione verso coloro che “odiano ingiustamente” è forse paragonabile all’idea moderna di “resistenza attiva”: la vera conversione del nemico si può ottenere solo con la nonviolenza.
Anche per Ireneo, al pari di Giustino, Cristo si manifesta come colui che pacifica e rende pacifici, non solo a livello individuale, ma anche sociale, perché ha il potere di far disimparare l’arte della guerra. Tale atteggiamento diventa una connotazione essenziale e determinante dei cristiani di fronte a Dio e agli uomini. In complesso, dall’età apostolica fino al termine del II secolo risultano poche le prese di posizione nei confronti del servizio militare, e nessuna esplicita. Rimane comunque chiara la posizione globale della chiesa: essa tende ad avvalorare il messaggio evangelico sul tema dell’amore verso i nemici e a mostrare il compimento delle profezie di Michea e di Isaia circa l’attuazione della pace nel mondo. Se ancora non è presente l’idea di un’obiezione di coscienza al servizio militare, è ben viva un’obiezione a tutta l’etica pagana nel suo insieme.
Condanne del servizio militare
Il periodo che va dall’anno 180 d.C. fino all’epoca di Costantino presenta, sia in Oriente sia in Occidente, un certo numero di condanne, più o meno esplicite, del servizio militare. In Oriente le più importanti e abbondanti testimonianze sono quelle di Clemente di Alessandria e di Origene. L’avversione di Clemente nei confronti della mentalità guerriera si ricava dal suo Paedagogus in cui ricorda che non è degno di un cristiano nemmeno incidere sui sigilli figure di guerra come archi e spade e dove è ribadita l’essenza pacifica del cristianesimo nel quale l’autonomia di vita è concepita come legata ad una educazione alla pace. Per contro, la guerra manifesta una funzione antieducativa. Sebbene non sembri che Clemente elabori una teoria simile a quella che attualmente viene definita “obiezione fiscale”, tutta via il denunciare ufficialmente la sregolata dispendiosità dei preparativi di guerra, non doveva essere accetto a uno Stato come quello romano, che fondava la sua pax sul militarismo, imponendo alle finanze dell’impero notevoli sacrifici. L’Alessandrino mette in evidenza anche la vanità di questa “corsa agli armamenti” di fronte alla semplicità di una vita vissuta nella pace e nell’amore, concetti pertinenti non solo all’individuo, ma alla società nel suo insieme.
Ancora più numerose e incisive sono le testimonianze di Origene nel condannare il servizio militare e nel motivare la nonviolenza cristiana. Il rifiuto del servizio militare da parte dei cristiani è argomentato nel Contra Celsum: Origene presenta i seguaci di Cristo come un popolo sacerdotale, molto più efficace nel portare aiuto a chi regna di quanto non lo siano i soldati che combattono e uccidono. Origene fa uso di un’ardita analogia: se giustamente i sacerdoti pagani non vengono mai arruolati e restano esenti dal servizio militare altrettanto giustamente i cristiani, “sacerdoti e servitori di Dio”, rimarranno fuori dall’attività militare, impegnati a lottare con mani pure e con la preghiera per il bene dell’imperatore e della società.
È rilevante, anche per la successiva evoluzione teologica, il fatto che l’apologista equipari ai sacerdoti pagani la totalità dei cristiani. Non c’è alcun riferimento ai soli presbiteri, per i quali in seguito sarà previsto il divieto di militare, che sarà invece obbligatorio per gli altri cristiani. Inoltre viene posto in evidenza il valore attivo della preghiera, compito peculiare dei cristiani, contemporaneamente all’inutilità di ogni guerra, inefficace e generatrice di uccisioni. Al cristiano è, comunque, proibito uccidere. Anzi, la nonviolenza è presentata come caratteristica propria del cristiano.
Se dunque i Padri si mostrano contrari a questa professione, come mai alcuni cristiani sono presenti nelle file dell’esercito? Questo, probabilmente, perché l’etica dei simpliciores (Origene denomina così quei cristiani che si accontentano dei soli dati tradizionali della Rivelazione senza avvertire la necessità di approfondimento) ancora risentiva di influssi della vecchia cultura pagana, della quale rimaneva difficile svellere le secolari radici. La gerarchia della chiesa tollerava, quindi, la presenza di cristiani nella struttura militare perché, ponendo un rigoroso divieto, avrebbe potuto disorientare quei fedeli per i quali il servizio militare era un lavoro ben remunerato e l’unica fonte di guadagno. Inoltre, non aveva interesse a deteriorare ulteriormente i rapporti col potere civile. Essenziale rimaneva il non partecipare ai culti idolatrici e il non uccidere.
In Occidente vi è un gran numero di autori cristiani che in diversi modi hanno condannato il servizio militare elaborando, al contempo, una teologia della pace fondata sulla prassi di Gesù. Minucio Felice (II sec.), ad esempio, ricorda ai cristiani non solo il divieto di uccidere, ma anche di vedere e di sentir parlare di omicidio.
Di particolare interesse è l’atteggiamento di Tertulliano (11-111 sec.): il servizio militare è condannato per il pericolo di idolatria e per la violazione della legge dell’amore, fondamentale per il cristiano. Per esprimere l’impossibilità di una contemporanea appartenenza all’imperatore e a Dio, il teologo cartaginese fa perno sul termine sacramentum, che nel linguaggio del mondo latino rivestiva un duplice significato: poteva esprimere il signum di una cosa sacra in relazione misteriosa con la cosa stessa, oppure designava il giuramento militare. Per Tertulliano il sacramentum del battesimo rendeva miles Christi e implicava la rinunzia a tutte le professioni incompatibili con la vita cristiana, in special modo quelle connesse al sacramentum umano che esigevano un’assoluta sottomissione agli dèi e all’imperatore.
Accanto alla motivazione antidolatrica è presentata quella di carattere etico: il divieto che Gesù ha divulgato nel Getsemani, relativo all’uso della spada assume valore anche per chi milita nell’esercito. Il fiulius pacis non può fare la guerra, né svolgere funzioni connesse in qualche modo ad azioni di coercizione, né far parte di quei corpi speciali, accresciutisi maggiormente durante il regime militarista dei Severi, quali i beneficiarii e gli speculatores. Il cristiano che non conosce la vendetta non può nemmeno collaborare con lo Stato nell’uccisione di altri uomini, nemmeno se questi si rivelano colpevoli.
Anche Ippolito (II-III sec.) vede inconciliabile il mestiere di soldato con il cristianesimo e prevede che sia espulso dalla comunità ecclesiale. L’atteggiamento di Cipriano (III sec.) ha un’importanza particolare, in quanto esso è sintesi, in definitiva, del pensiero di tutta la chiesa sulla guerra: essa si mostrò sostanzialmente restia a prendere posizioni esplicite circa gli aspetti particolari, poiché sia i pagani sia gli stessi cristiani risentivano di retaggi secolari, che pesavano sulla loro mentalità. Perciò, più che porre come preliminari la non partecipazione alla guerra e al servizio militare, la chiesa mirava alla radice della situazione, e cioè al cambiamento di mentalità, che nella sua dinamica avrebbe condotto le coscienze dei cristiani ad affrontare individualmente e in maniera positiva la questione etica.
Di particolare interesse sono gli scritti di Arnobio (IV sec.) il quale, connotato il cristianesimo come nonviolento, esalta la ragione come virtuosa capacità di richiamare l’uomo alla coscienza delle proprie azioni e di indirizzarlo a Cristo, abbandonando l’istinto orgoglioso e arrogante, attraverso il cammino di pace sociale. Infine, anche l’atteggiamento di Lattanzio (III-IV sec.) è profondamente nonviolento: il divieto del servizio militare è collegabile non tanto a motivazioni idolatriche quanto piuttosto a un esplicito rifiuto della violenza. Anzi, nei suoi scritti la proibizione dell’omicidio è assoluta, sia a livello individuale che sociale, e comprende la stessa pena di morte e anche le responsabilità indirette e morali.
L ’antimilitarismo
I motivi che spingevano il cristiano ad abbandonare l’esercito potevano essere diversi. Essi sono riconducibili, prevalentemente, al rifiuto dell’idolatria e delle sue manifestazioni cultuali, intese come ingerenze del potere civile nella coscienza che dovrebbe appartenere all’unico Dio. Un’ulteriore ragione comunemente addotta per spiegare l’avversione dei cristiani al servizio militare, durante l’epoca della persecuzione, è la loro ostilità verso Roma quale potere persecutore. Ma in effetti i cristiani non desideravano vedere l’Impero distrutto. La loro opposizione alla guerra non può essere quindi spiegata, esclusivamente, sulla base di un’ostilità all’Impero. Alcuni interpreti moderni pensano invece che la base dell’antimilitarismo sia l’indifferenza dipendente dalla convinzione che l’Impero finirà con l’imminente ritorno del Signore. La base principale della loro avversione alla guerra sembra essere invece la convinzione che essa sia incompatibile col comandamento dell’amore.
La svolta
Con la cosiddetta “svolta costantiniana”, l’atteggiamento della chiesa nei confronti del servizio militare e della guerra, pur conservando tutto l’impegno per una pace profonda e incarnata in Cristo, cambierà sensibilmente. Nel contesto della risoluta attività politicoreligiosa di Costantino, si arriverà ad affermare la teoria eusebiana del basileus terreno come delegato di Dio, il basileus celeste. Di conseguenza, non sono più pensabili le scelte che i martiri cristiani avevano fatto solo qualche decennio prima. Le sorti dell’impero e della chiesa si sovrappongono e anzi le armi dell’esercito servono in qualche modo a espandere la fede. Ma anche la fede serve a garantire l’esercito imperiale.
Comunque, anche se si arriverà a teorizzare la “guerra giusta”, la frattura tra i primi tre secoli della chiesa e l’epoca post-costantiniana non è poi così profonda come può sembrare. Sono tanti i Padri della chiesa che, come Martino, decidono di abbandonare l’esercito per la militia Dei o lo stesso Paolino da Nola che invita ad abbandonare il servizio militare. Ma sono altrettanti anche quelli, come Ambrogio o Agostino, che pur entrando a compromesso con l’idea della guerra non smetteranno mai di testimoniare la profonda radice di pace intrinseca all’amore salvante di Cristo.
La voce profetica della chiesa non ha mai smesso di gridare l’illogicità della guerra, “avventura senza ritorno”. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace…” (Gv 14, 27).
È la voce di Cristo stesso che ai suoi discepoli e ai cristiani di ogni tempo e di ogni dove dona e lascia la sua pace.