Prima che l’amore finisca
“D’ora in avanti la mia vita avrà un solo scopo: raccontare ai giovani la storia degli eventi e degli uomini che compaiono in questo libro. Dopo l’alba di pace e di giustizia che è scaturita dai roghi della seconda guerra mondiale, siamo piombati nella notte della guerra infinita e permanente. Ma io voglio dirlo alle generazioni future, voglio raccontarlo ai viventi che c’è stato un momento in cui abbiamo sognato che si potessero affermare per tutte le persone e per tutte le nazioni diritti inviolabili, inalienabili, universali; un momento in cui è sembrato davvero che la storia del diritto e della pace arrivasse a uno dei suoi apici. Lo voglio raccontare, prima che l’amore finisca”. Mi chiama al telefono Raniero La Valle per annunciarmi l’uscita del suo ultimo libro, “Prima che l’amore finisca. Testimoni per un’altra storia possibile” (Ponte delle Grazie, Milano pp. 348). Mi telefona da una sala affollatissima di Bologna dove a breve iniziano le commemorazioni per i quarant’anni dalla morte di papa Giovanni. Ha la voce giovane di chi ancora s’appassiona al ricordo di un papa che ha fatto uscire la Chiesa dall’èra glaciale in cui si trovava immersa per farla camminare sulle spianate assolate della nuova primavera.
Nel libro di La Valle il capitolo dedicato a papa Giovanni ha un titolo breve: “La pace”. Dice tutto, sintetizza tutto. La Pacem in Terris, ha affermato più volte Giorgio La Pira, è “il manifesto del mondo nuovo”. E fino alla fine dei suoi giorni, papa Giovanni disse: “Per la Pacem in Terris anche le pietre, lo si potrebbe affermare, si sono scosse e sollevate”.
Gli anni del Concilio
Perché Giovanni XXIII era la pace e la pace si era fissata nel suo cuore. La Valle fu uno spettatore privilegiato di questo evento. Quando esplose, in tutta la sua forza, il Concilio, La Valle era direttore dell’ “Avvenire d’Italia”, il quotidiano che leggeva dal di dentro l’importante cammino di rinnovamento ecclesiale. Erano gli anni in cui a Bologna, dove aveva sede l’ “Avvenire d’Italia” di La Valle, si parlava molto del cardinal Lercaro, di Alberigo, di Montini che sarebbe presto divenuto Paolo VI, e di Dossetti. E come poteva mancare Dossetti? Il capitolo dedicato a uno dei grandi padri della Costituente è forse il più struggente, il più commovente, il più appassionato – dopo quello dedicato alla mamma di Raniero, Mercedes, morta a 102 anni e dopo quello della moglie Cettina conosciuta alla Fuci di Vittorio Bachelet.
Con Dossetti La Valle aveva fatto l’ultima battaglia per la creazione di un movimento politico nazionale che avesse come nucleo tematico il tema della pace e dei diritti.
Maestri e testimoni
Il capitolo su Dossetti non poteva non inserirsi in quello spazio ultimo della testimonianza di fede, che fra il ‘92 e il ‘96 ci ha portato via i testimoni più grandi del cattolicesimo italiano: padre David Maria Turoldo, il frate poeta, che con l’ar pa fra le mani voleva “destare l’aurora”; padre Ernesto Balducci, l’homo absconditus, il predicatore saggio, il frate planetario, che vedeva la pace alzarsi sulle ali della ragione finalmente libera dall’assillo dell’onnipotenza, una “presenza messianica”, che voleva una umanità in grado di “forzare l’aurora e rinascere”; don Tonino Bello, il vescovo fanciullo, presidente di Pax Christi, capace di trasformare l’arco della guerra in arca della pace; don Italo Mancini, il prete filosofo che chiedeva una “doppia e insonne fedeltà”, a Dio e al mondo e che vedeva negli altri una “coesistenza di volti”.
Il libro si chiude con il ricordo di Ivan Illich, morto improvvisamente il 2 dicembre scorso.
C’ero anch’io a Città di Castello due mesi prima, quando Illich apparve inaspettatamente al convegno dal titolo “Il ritorno della guerra”, organizzato dall’Altrapagina. E si sedette accanto a La Valle per dire che la contraddizione più grande della guerra era proprio questa: “Presumere di estirpare il male dalla terra”. Una cosa inaudita, anche biologicamente insulsa: “Il male c’è – disse – e dobbiamo conviverci”.
Il libro di Raniero La Valle, “Prima che l’amore finisca”, è un grande libro, forse un libro d’addio, il racconto ultimo di una vicenda umana piena di vita e di saggezza. Perché l’amore bisogna raccontarlo. E bisogna fare in fretta perché la notte avanza e potrebbe essere che ad aspettare ancora arrivi l’onda lunga della tenebra totale: sull’amore, su noi e sulla Madre Terra.