Il motore della pace
Ci riempie di commozione un testo che questo grande testimone del Risorto scrisse nel 1934 e che è divenuto monito per noi (Bonhoeffer, ndr): “Una via alla pace che passi dalla sicurezza non c’è. La pace infatti deve essere osata. È un grande rischio e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare e questa diffidenza genera di nuovo guerre. Cercare sicurezze significa volersi mettere al riparo. Pace significa affidarsi interamente al comandamento di Dio, non volere alcuna garanzia ma porre nelle mani di Dio onnipotente, in un atto di fede e di obbedienza, la storia dei popoli...” [...]
Carissimi amici, come per la ricerca di Dio abbiamo detto che non intendiamo svilire lo sforzo della fatica razionale, anzi la incoraggiamo e la sosteniamo, ma sentiamo an¬che il dovere di indicare il totalmente Oltre e il totalmente Altro di Dio, [...], per quanto riguarda il mistero della pace, col più grande rispetto per lo sforzo che il mondo laico sta compiendo e con la gioia più grande nel vederci accomunati come credenti accanto a tanti camminatori di ogni fede, sentiamo il dovere di dare il nostro contributo specifico, originale, coraggioso! E il nostro contributo è quello di essere segno dell’inquietudine, richiamo del ‘non ancora’, stimolo dell’ulteriorità.
Spina dell’inappagamento, insomma, conficcata nel fianco del mondo.
Don Tonino Bello
Ulteriorità indica un movimento inarrestabile e una ricerca ininterrotta. È il cercare sempre al di là di ciò che ci è noto ed è andare sempre oltre l’obiettivo già raggiunto. Non in un senso astratto, ma a partire dalla e in relazione alla persona umana e alle situazioni esistenziali che questa attraversa. L’Ulteriorità (che qui preferisco indicare con la maiuscola) è intesa nel testo di Bonhoeffer come rischio e come affidamento radicale a Dio; in don Tonino è intesa in maniera ancora più ampia e riguarda da un lato l’Ulteriorità e l’Alterità di Dio e dall’altra l’inarrivabile profondità dell’animo umano e l’infinito valore di ogni uomo, a partire dai poveri e dagli oppressi.
Con questa premessa, in un pensiero come quello di don Tonino, sempre magmaticamente creativo e pertanto al di fuori di ogni schematismo, possiamo, didatticamente, distinguere due grandi sottotemi: il valore infinitamente trascendente dell’Ulteriorità e il suo valore illimitatamente immanente, il suo valore, per così dire teologico e quello antropologico. Ciò non allo scopo di separare questi due aspetti, ma per mostrarne la loro inscindibile connessione e così compiere quel grande atto che è teologico e teologale, atto d’affidamento a Dio e atto d’amore dell’umanità nello stesso tempo, che proprio Bonhoeffer indicava con queste parole: “Chi guarda Gesù Cristo vede realmente Dio e il mondo con un solo sguardo, e d’ora innanzi non può più vedere Dio senza il mondo, né il mondo senza Dio” (D. Bonhoeffer, Etica, Milano 1969).
Si tratta di un’affermazione importante, che ben esprime una sintesi determinante anche per l’intera impostazione del pensare e dell’agire di don Tonino. Nella storia ha un precedente fondamentale nella teologia di San Tommaso d’Aquino, il quale asseriva con determinazione che non si può parlare del mondo senza parlare di Dio, né parlare di Dio senza parlare del mondo.
Quest’affermazione fa giustizia di alcuni pregiudizi relativi anche a importanti teologi evangelici, dai quali Bonhoeffer sicuramente dipendeva, come Karl Barth. Questi, pur polemizzando con quel pensiero cristiano in cui Dio sembrava somigliare più al Dio dei filosofi deisti che a quello di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, riteneva anche lui che, data la rivelazione e il suo compimento in Cristo, non si potesse più parlare di Dio senza parlare dell’uomo. L’“Ulteriorità” di cui parlava don Tonino era in Barth la “diversità del Dio vivente”, diversità e irriducibilità ad ogni nostro preteso incapsulamento della Sua realtà, sempre “altra” da noi.
L’Ulteriorità è dunque Alterità e tuttavia ha senso e vigore nella storia concreta dell’uomo e nel dialogo che il “totalmente Altro” intreccia continuamente con lui.
Valore inviolabile dell’uomo
In forza di questo dialogo di Dio con l’umanità in generale (ciò che è chiamato Rivelazione) e con ogni essere umano (ciò che si chiama esperienza religiosa) è possibile reggere di fronte all’Alterità di Dio, ma in che maniera? Innanzi tutto stando sempre davanti a Dio come davanti al Mistero insuperabile e mai completamente abbracciabile. Farne l’esperienza significa fare quest’esperienza particolare: di essere di fronte a Colui che non possiamo capire fino in fondo, né prevedere in tutte le sue possibilità, soprattutto non possiamo afferrare nell’infinita e imprevedibile portata della sua misericordia.
Si tratta di una misericordia che nel pensiero di don Tonino viene declinata come tenerezza, cura amorevole, darsi pensiero degli uomini e della loro sorte. L’amore di Dio non è filantropia. È molto di più. È consumarsi per loro, per quella Sua immagine “trinitaria” che è negli uomini e nelle nostre realtà interumane, chiamate le “agenzie periferiche della comunione”, a cominciare dalla famiglia che “ha il compito di camminare nella storia come icona della SS. Trinità, collocandosi, cioè, nei confronti del mondo, come ‘parabola’ dell’archetipo trinitario, ed esprimendosi come sua ‘agenzia periferica di comunione’. Deve, quindi, vivere e far vivere le istanze etiche fondamentali del mistero della nostra fede, che così diventa anche il mistero principale della nostra morale” (A. Bello, Scritti, Luce e Vita 1993).
Ma si tratta di un “mistero”, incatturabile nella sua portata e nella sua profondità e che tuttavia, proprio per questo, deve esercitare il massimo influsso sul comportamento etico e sul rispetto della persona. Per don Tonino tutti gli esseri umani devono essere riconosciuti come espressione e attualizzazione di questo mistero, nella loro differenziazione e varietà (è ormai famosa la sua “convivialità delle differenze”).
Tuttavia sono i più poveri e i più bisognosi coloro nei quali il riverbero dell’Ulteriorità-Alterità di Dio si addensa e raggruma. Al punto di far di loro “i luoghi regali”, chiamati “basiliche maggiori”, in cui dimora il Re dei Re e il Signore dei Signori.
In questo contesto la grandezza divina ivi latente è da rispettare, fino a cercarla sempre e comunque come “Ulteriorità”, che ci sfugge a prima vista, anche nelle forme di depravazione morale e fisica nelle quali i suoi portatori possano essere incappati. L’immagine vivente del Dio bellezza suprema e del Dio trinitario-comunitario è sempre e comunque in loro, nonostante il deterioramento dell’involucro, che, appunto come in un’icona, è il supporto che ne costituisce la sua più greve materialità.
Su questo versante dell’Ulteriorità, don Tonino ha spesso indicato, con tristezza e nonostante ciò con un continuo appello a “cercare oltre” e ad “andare oltre”, le conseguenze aberranti di chi non sa riportare ogni essere umano alla sua Ulteriorità. Si tratta di tutte le forme di lacerazione e di violenza che solcano singoli individui e famiglie, persone che vivono da sole e persone che invece intrecciano il loro quotidiano con quello degli altri. In ogni caso, disattendere a questa spiritualità porta a tutte le varie forme di oppressione che affliggono la società. Dal disinteresse e dall’indifferenza allo sfruttamento sistematico degli altri e alla sopraffazione, dallo strozzinaggio e dalla violenza delle varie mafie a quelle più sottili del commercio delle armi e degli strangolamenti effettuati da realtà più grandi e inafferrabili, come le multinazionali e i loro corifei e laudatori.
Pertanto anche la pace, soprattutto la pace, è nel pensiero di don Tonino sempre da cercare oltre, nonostante tutto. Se essa affonda le sue radici nel Mistero di Dio, è un suo dono e un compito a noi affidato.
Chi dovrà cominciare questo inseguimento senza sosta e senza riserve? Il singolo cristiano e le nostre comunità cristiane. A partire dalla domenica, che nel suo pensiero è il momento del risveglio e del rilancio. Sicché occorre cercare ciò che è oltre il quotidiano e dà sapore e sostanza al quotidiano stesso. È la ricerca dell’Oltre, oltre che dell’Altro. Al punto che dobbiamo «abbandonarci ai sogni diurni delle grandi utopie: la pace, la giustizia, la fraternità, la libertà […] È dalla domenica, “ottavo giorno”, che si deve scatenare in noi l’empito entusiasta per ciò che agli occhi umani sembra incredibile, assurdo, irraggiungibile: il disarmo, l’unilateralità del disarmo, la nonviolenza, il perdono, la pace, la rinuncia evangelica, la povertà, la gratuità» (A. Bello, Scritti, Luce e Vita 1993).
È la testimonianza più che di un “altro mondo”, che questo nostro mondo può e deve essere “altro”. Ecco ancora un invito specifico e concreto: «Chiamati e mandati a irradiare la luce di Cristo, mostriamoci al mondo testimoni di un mondo “altro”, in cui la fiducia vicendevole è di casa, lo spirito d’accoglienza diviene gioiosa connotazione di solidarietà e le lusinghe del potere non hanno alcuna presa sulle nostre cupidigie» (A. Bello, Scritti, Luce e Vita 1993).
È una testimonianza che comporta dei costi, che non sempre noi cristiani siamo disposti a pagare. Talvolta, riconosce don Tonino, ricordando alcune reazioni ecclesiastiche relative alla prima guerra del Golfo, le tensioni ideali del Vangelo cedono il posto a preoccupazioni diplomatiche o a misure che, più che prudenziali, sembrano propendere per i più forti. A questo riguardo egli scriveva: «Mi è penoso rievocare la malinconia di quei giorni. Perché qualche colpa ce l’abbiamo pure noi. Siamo rimasti lacerati tra i richiami dell’“onnidebolezza” di Cristo e la seduzione dell’“onnipotenza” dell’uomo. Forse le ragioni della nonviolenza evangelica non ci sono parse così affidabili come le argomentazioni della forza delle armi. Abbiamo corretto il tiro di quella frase assurda: amore sì, ma fino a un certo punto, che diamine! Dio, quanta tristezza! L’esperienza di quei giorni, comunque, contribuisca a farvi giudicare ogni guerra, almeno per il futuro, come la contraddizione più aperta con quella scritta collocata sulla cornice del vostro Crocifisso: Charitas sine modo» (A. Bello, Scritti, Luce e Vita 1993).
Paradossalmente proprio l’onnidebolezza di Cristo, costituisce la molla e il motore della ricerca di ciò che ancora non si vede all’orizzonte delle possibilità attuali, ma che deve essere ancora cercato e inseguito. Ciò riguarda in primo luogo la difesa della pace sul terreno della nonviolenza assoluta: «È giunta l’ora in cui occorre decidersi ad arretrare (o spingere?) la difesa della pace sul terreno della nonviolenza assoluta. Non è più ammissibile indugiare su piazzole intermedie che consentano dosaggi di violenza, sia pur misurati o prevalentemente rivolti a neutralizzare quella degli altri. Richiamarsi al dovere di “camminare con i piedi per terra”, è fare spreco di compatimento sul preteso “fondamentalismo” degli annunciatori di pace, significa far credito alle astuzie degli uomini più di quanto non si faccia assegnamento sulle promesse di Dio. La nonviolenza è la strada che Gesù Cristo, il servo sofferente di Jahvè, ci ha indicato senza equivoci. Se su di essa perfino la profezia laica ci sta precedendo, sarebbe penoso che noi credenti […] scadessimo al ruolo di teorizzatori delle prudenze carnali» (A. Bello, Scritti /4, Luce e Vita 1993).
L’Ulteriorità è qui non solo nonviolenza assoluta, ma caparbietà, nonostante il «sorriso dei benpensanti e i risentiti discorsi “sul pacifismo a senso unico” e sul pacifismo che si agiterebbe “solo quando ci sono gli americani di mezzo». È non arretrare mai su questo terreno. Ma andare avanti, verso l’Ulteriorità cui non possiamo rinunciare. Occorre pertanto inseguirla ancora.
“Caparbiamente. E ripeteremo mille volte che la guerra, avventura senza ritorno, è ormai incapace di risolvere i conflitti dei popoli. Una cosa è certa che non demorderemo”.
La caparbietà è qui fede e speranza. Certamente nasce dalla carità e tende a una carità sempre più grande, sempre oltre. È la carità di chi non si arrende all’evidenza dell’oggi, perché sa comunque inseguire il domani. Perciò già vede, come don Tonino, il mondo trasfigurato: “Alzatevi non temete” questa è la vita; questo ci dice oggi il Signore nella festa della Trasfigurazione. Se ascoltiamo l’invito del Signore saremo trasfigurati e tutti coloro che ci incontreranno saranno felici di aver fatto la nostra conoscenza, che è poi la conoscenza del Signore, perché noi siamo dei tramiti con Lui che è la fonte, è il centro, è l’alba, è l’attesa, è il principio, è la fine, è il punto di riferimento di tutto, è lo zenit, è l’asse di convergenza di tutta l’esistenza, è un pozzo di luce tanto che bisogna chiudere gli occhi per non calcificarli dentro. Bene: pozzo di luce. La luce della Trasfigurazione che mi auguro possa aiutare la vostra anima a consolidare la voglia di andare avanti nel nome di Dio» (A. Bello, Scritti /2, Luce e Vita 1993).