Pane e cultura
Sulla porta dell’episcopio, in Campobasso, saluto con tanto rispetto una giovane mamma, laureata, che mi ha esposto con molta delicatezza la triste situazione della sua famiglia. Ha perso il lavoro, perché è scaduto il suo contratto con un ente pubblico della nostra terra, il Molise. E mentre le stringo la mano, mi sussurra, timida, quasi vergognosa: “Non ho un euro in tasca...!”.
Nulla di più. Non altre parole. Non suppliche, spesso facili in altri. Ma il dramma di un presente, segnato da una povertà, non visibile ma realissima.
Con dignità
La povertà oggi, nelle nostre terre, coperte di grande dignità, non fa rumore. Ma penetra ancor di più, dentro la carne di chi vi è travolto.
Perché lentamente, se quel grido silenzioso non è accolto, se quella voce sommessa e rispettosa non viene ascoltata, anche le nostre realtà, come tante altre nel mondo, produrranno un uragano di ribellione travolgente.
Le scarpe gettate in faccia a Bush ne sono un segno eloquente. Sono diventate simbolo ma anche monito. Hanno raggiunto chi si credeva di raccogliere sorrisi e onorificenze, chi pensava di poter avere in mano i destini dei popoli, chi non ha ascoltato la voce, già flebile per la malattia ma lucidissima nella sua forza evangelica, di papa Giovanni Paolo II, che lo ammoniva con profezia biblica di non entrare in guerra.
Tutti eventi che ci ammoniscono: la voce dei poveri va sempre ascoltata! I poveri ci evangelizzano. Il loro grido, prima o dopo, attraversa non solo i cieli, perché Dio sempre lo ascolta. Ma passa anche attraverso le coscienze della storia e si fa giudizio sulla storia e della storia.
Ecco perché, opportunamente, papa Benedetto XVI ha ripreso uno slogan antico di papa Paolo VI, che oggi risulta sempre più luminoso: “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”.
Oggi viene tradotto con questo decisivo titolo dato alla giornata della pace, per il 1 gennaio 2009: “Combattere la povertà, costruire la pace!”.
La pace cioè (e lo sanno bene i lettori affezionati di questo periodico glorioso, sulla scia del santo vescovo don Tonino Bello!) è sempre attiva. Pace diviene perciò scelta, lotta, impegno, costruzione, collocazione.
Prima di tutto dalla parte dei bambini. Perché chi guarda negli occhi i piccoli, non può non pensare che quegli occhietti sono uguali in ogni viso, pur se diversi per colore, ma unici nella bellezza.
Intatti nella loro verginità, quegli occhi parlano di pace, perché chiedono dignità. E per milioni di bambini, i loro occhi esprimono anche a noi sette precise richieste, che il Papa delinea con chiarezza: cura delle loro mamme, scuole pulite, vaccini efficaci, acqua potabile, medicine accessibili, ambiente difeso, relazioni stabili nelle loro case. Cose concrete. Non discorsi. Ma interventi.
La pace a misura di bambino. Perché loro stessi, per primi, si fanno portavoce di uno sviluppo di dignità, che avvolge tutti. Solo partendo da loro, la pace si fa vera.
E allora, finalmente, viene rovesciato un falso mito che ha aleggiato per decenni nelle grandi conferenze internazionali: “Nel mondo, siamo troppi, dobbiamo diminuire le nascite... perché le risorse non bastano più!”. E da qui, mille sospetti verso i poveri, per la loro fecondità, con condanne facili e giudizi cattivi e ruvide campagne di limitazione delle nascite.
Ma oggi, la storia ha rovesciato quelle visioni miopi. Ci si accorge che sono proprio le nazioni dove maggiori sono i giovani ad essere le più capaci di sviluppo futuro. La loro risorsa sono proprio quelle nascite: “Nazioni che hanno conosciuto un rapido sviluppo proprio grazie all’elevato numero dei loro abitanti”. E così le nascite si stanno rivelando “una ricchezza e non un fattore di povertà!”.
Con uno slogan chiarissimo e tagliente: “L’aborto uccide i poveri, non la povertà!”.
La stessa cosa attorno alla lotta contro l’AIDS. Non basta sciogliere il nodo morale dei preservativi. In tanti casi, è un falso concetto. Il nodo vero è quello di dare rispetto autentico alle persone, anche sul piano affettivo e sessuale, creando per tutti, soprattutto per i più poveri, l’accesso facile e doveroso alle medicine, con brevetti flessibili. Cioè vincere l’egoismo della tecnica, il cuore duro di chi pensa che la scienza sia una proprietà privata riservata a pochi, ai ricchi, a chi sta bene: “Occorre invece mettere a disposizione anche dei popoli poveri le medicine e le cure necessarie!”.
A cuore aperto
Aprire non chiudere il cuore: questo è il nocciolo della questione. Un cuore aperto, che vinca l’avidità, costruisca relazioni stabili d’amore, che ponga la solidarietà come frutto maturo di una cultura fraterna. Questo è lo stile della pace, soprattutto oggi, in tempo di crisi!
E mi viene in mente il cuore di quel vescovo, che nella sua casa, con infiniti disagi, aveva saputo accogliere gli sfrattati di Molfetta. Non risolveva di certo i drammi mondiali. Ma indicava la strada giusta: aprire i cuori, aprire le case, aprire i brevetti, aprire la finanza a una visione etica.
Le uniche cose che vanno chiuse, invece, sono le industrie di armi. Il Papa ce lo ricorda, con uno slogan facile, da lavagna, perché parli a tutti: “Più armi, meno pane; più armi, meno pace”.
E aggiunge, con chiara condanna: “Suscita infatti preoccupazione l’attuale livello globale di spesa militare!”.
Quante battaglie, in questa frase, da parte dei pacifisti di ogni colore. In questi anni. Perché le armi sono pane tolto dalla bocca dei piccoli, dei bambini, dei poveri.
Le scarpe lanciate con veemenza contro chi le armi le ha lanciate ne sono il segno. Quelle armi hanno distrutto l’Iraq. Ben aveva detto la Chiesa irachena, tramite un loro coraggioso vescovo, proprio qui, in Molise, nella giornata della pace, tenuta a Termoli qualche anno fa: “L’occidente aveva avuto dalla sua storia la grande riserva della libertà. Quasi un bacino d’acqua indispensabile per la crescita di tutti, in ogni continente. Ma invece di donarla progressivamente, quella diga è stata aperta, tramite la guerra, tutta d’un colpo, con violenza. E l’acqua è precipitata, distruggendo ogni cosa, travolgendo istituzioni, devastando culture e storia e arte. Non ha irrigato, quell’acqua, ma ha rovinato. Non per colpa dell’acqua stessa, ma per colpa di chi, irresponsabilmente, ha aperto la diga... invece di costruire condotte potabili!”.
Nulla di più chiaro, nella sua semplicità d’immagine. La valorizzo spesso, nel serrato dialogo con i giovani nelle scuole. Mi è rimasta impressa nel cuore. Per farsi, nella mia vita di vescovo, chiaro appello a un educare, intessuto di due valori: libertà e verità; verità e libertà. Sempre insieme, sincronici. Perché la libertà è l’arte delle vele che spingono la barca nel fluire del vento. Ma la stessa barca ha bisogno del timone, perché non sia vuoto il suo correre. Libertà e verità. Cultura e pane. Scuola e trattore. Ma la scuola ha la precedenza, perché la scuola crea il trattore. Ma raramente il trattore crea la scuola.
Oggi, quella sicurezza sta svanendo. La crisi interroga tutti. La finanza ha bisogno di regole etiche chiare. Troppi imperi sono precipitati. Cioè il denaro stesso deve servire per bisogni reali, non per speculazioni, che alla fine travolgono gli stessi speculatori, come testimoniano le recentissime cronache internazionali.
E il miglior modo di investire, resta sempre quello che ho visto mille volte nella fragile ma significativa realtà della Calabria: promuovere la realtà locale, trasformare le nostre marginalità in tipicità, per intrecciarle, rinnovate, in una più matura reciprocità.
Il Papa riassume tutto questo sviluppo, dal basso, in una triplice descrizione: sinergia tra una corretta logica economica, una corretta logica politica e una corretta logica partecipativa.
Con un appello finale: lo sviluppo non va solo invocato. Né solo esatto. Ma va accompagnato, da leggi adeguate, da un volontariato efficace, da una finanza intelligente, da una scuola promozionale, da una Chiesa che si schiera con i piccoli e i poveri.
Perché solo allora, il povero non sarà un fardello, ma un fratello. Ogni povero!
E noi, in occidente, non ci costruiremo una casa d’oro attorniata da un tragico deserto, ma una casa aperta, dove tutti si sentano a casa loro. Dove i piccoli hanno la precedenza. Perché è dando a loro il primo posto che avremo tutti un nostro posto. Con un cuore largo, solidale, come il cuore stesso di Dio, Padre di tutti, che fa piovere su tutti il suo dolce sommesso mormorio di vita e a tutti dona la gioia del suo gratuito sole.
Perciò chi combatte la povertà, costruisce la Pace!