Disarmare mani e cuori
Il disarmo non può essere ridotto a una questione tecnica relativa agli armamenti degli Stati o a una semplice questione di natura strategica, politica ed economica.
Prima ancora, il disarmo è una questione morale e spirituale. Come ha insegnato Giovanni XXIII: “L’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse a un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica” (Pacem in terris, 61). Su tali basi, anche in materia di disarmo, il punto di riferimento essenziale è la persona umana. Si comprende allora come l’azione della Santa Sede sia, in primo luogo, di natura morale e spirituale, volta cioè all’edificazione di una civiltà della pace. In secondo luogo, essa è di natura diplomatica, volta cioè alla promozione del disarmo a livello internazionale, regionale e nazionale. Volendo esemplificare, possiamo affermare che l’azione della Santa Sede tende, come ha affermato Giovanni Paolo II, a un “disarmo generale, equilibrato e controllato” degli armamenti (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: Nel rispetto dei diritti umani il segreto della pace vera). Questo non rappresenta tuttavia un obiettivo isolato. Esso ha infatti come presupposto, il disarmo integrale e, come orizzonte, lo sviluppo integrale, cioè lo sviluppo materiale, morale e spirituale di ogni persona e popolo.
Una sfida culturale
Giovanni XXIII, con un’espressione assai felice, ha denunciato la “psicosi bellica” alla radice dell’accumulo eccessivo di armi. Questo accumulo eccessivo condiziona a sua volta la psicologia e il comportamento individuale e comunitario. Paolo VI, nel Discorso alle Nazioni Unite del 1965, affermò che: “Le armi, quelle terribili, specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei Popoli”. Questa lettura, in chiave psicologica, dell’eccessivo armamento degli Stati, indica una traiettoria nelle relazioni internazionali. La ‘psicologia della guerra’ che spinge gli Stati ad armarsi in maniera eccessiva andrebbe sostituita con la fiducia e la buona fede nelle relazioni internazionali, che sono al tempo stesso fattori e segni di una ‘psicologia della pace’.
Il disarmo è inoltre una sfida culturale. In tale prospettiva riveste un ruolo primario la diffusione della dottrina sociale della Chiesa, la quale, avendo come riferimento la dignità della persona umana, offre un insegnamento essenziale sulla pace, sul disarmo, sui diritti umani, ecc. rivolto ad ogni persona e popolo, cristiani e non cristiani. Vi è poi la promozione del diritto all’educazione nel contesto delle Agenzie specializzate (Unesco, Consiglio d’Europa, ecc.). Come ha insegnato Giovanni Paolo II, il diritto all’educazione è infatti “diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità” (Centesimus annus, 47).
La cultura della pace trova perciò un fondamento nella dignità umana e nella verità. Un tema, questo, al quale Benedetto XVI ha dedicato il suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2006: “Nella verità, la pace”, nel quale il Santo Padre afferma: “Dove e quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente la via della pace”.
Due particolari momenti e attività sono orientati alla promozione di una cultura della pace dei popoli. La Giornata Mondiale della Pace che, nelle intenzioni di Paolo VI, fautore della celebrazione, si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, e “non intende perciò qualificarsi come esclusivamente nostra, religiosa cioè cattolica; essa vorrebbe incontrare l’adesione di tutti i veri amici della pace, come fosse iniziativa loro propria, ed esprimersi in libere forme, congeniali all’indole particolare di quanti avvertono quanto bella e quanto importante sia la consonanza d’ogni voce nel mondo per l’esaltazione di questo bene primario, che è la pace, nel vario concerto della moderna umanità” (Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: “Giornata della pace”, 1968). Il secondo è il Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso al Santa Sede, con il quale i Papi, all’inizio dell’anno e in vista della ripresa dell’attività diplomatica degli Stati, offrono degli indirizzi fondamentali ed esortano i rappresentanti diplomatici a promuovere le relazioni amichevoli e la pace nel mondo.
L’impegno per la pace coinvolge tutte le religioni. Il richiamo a questa “comune missione” delle religioni trova un chiaro riferimento nel magistero della Chiesa (Nostra aetate, 2), che promuove e coltiva il rispetto reciproco e il dialogo delle religioni. In occasione del 20° Anniversario dell’incontro interreligioso di preghiera per la pace di Assisi del 1986, Benedetto XVI ha ricordato che “la religione non può che essere foriera di pace”. Ciò è stato riconosciuto anche nel quadro delle Nazioni Unite. Significativo, in tal senso, l’incontro organizzato dall’Unesco nel 1994 sul tema “The Contribution by Religions to the Culture of Peace”, che si concluse con una Declaration on the Role of Religion in the Promotion of a Culture of Peace, con la quale i rappresentanti di diverse religioni si impegnarono ad assumere un ruolo di educazione alla pace e rispetto dei diritti umani.
Una sfida diplomatica
Il disarmo è, infine, una sfida diplomatica. Come ha sottolineato il Concilio Vaticano II, la guerra non è purtroppo estirpata dalla condizione umana e dalle relazioni internazionali. Fino a quando esisterà il pericolo di un’aggressione, e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di mezzi efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di risoluzione pacifica del conflitto, non si potrà negare agli Stati il diritto alla legittima difesa (Gaudium et spes, 79). Questo implica che gli Stati sono legittimati a possedere le armi. Lo stesso San Paolo ha sottolineato che l’Autorità pubblica è al servizio del bene e “non invano essa porta la spada” (Rm 13,4). Tuttavia, il diritto degli Stati di possedere le armi non è illimitato. Gli armamenti devono infatti rispondere al principio di sufficienza. Gli armamenti, cioè, devono essere proporzionati, e nella qualità, cioè nella capacità offensiva, e nella quantità, al solo fine legittimo sul piano morale e giuridico, e cioè la legittima difesa. Non sono perciò coerenti al principio di sufficienza né le armi di distruzione di massa, che minacciano l’esistenza stessa dei popoli che intendono difendere, e né un accumulo eccessivo di armi. Su tali basi la Santa Sede ha sottoscritto e promuove l’attuazione di tutti gli strumenti internazionali in materia di disarmo e controllo delle armi, da quelle di distruzione di massa (biologiche, chimiche e nucleari) a quelle convenzionali, sino a quelle leggere e di piccolo calibro. Questo implica una costante attività diplomatica, e in particolare la partecipazione alle attività delle istituzioni internazionali competenti (Conferenza sul disarmo, Consiglio di Sicurezza, Primo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ecc.) e alle riunioni degli Stati parte dei trattati in materia di disarmo. Negli ultimi anni si registra, inoltre, un’interessante evoluzione del multilateralismo in materia di disarmo al di fuori delle organizzazioni internazionali. Il primo esempio è la Convenzione sulle mine antipersona del 1997 che è stata negoziata e adottata al di fuori delle Nazioni Unite, e che oggi è lo strumento in materia di disarmo maggiormente sottoscritto e attuato dagli Stati. Il secondo esempio, più recente, è la Convenzione sulle munizioni a grappolo adottata a Dublino il 30 maggio 2008, al di fuori delle Nazioni Unite, al termine del negoziato cosiddetto “Processo di Oslo”. In questo caso, la Santa Sede è stata membro del gruppo di 7 Stati (il “Core Group”) che ha promosso e coordinato i negoziati che hanno condotto all’adozione di uno strumento che risponde, dopo molti anni, alla grave questione dell’impatto umanitario e socioeconomico delle cluster munitions. Ai suddetti negoziati hanno partecipato in maniera attiva anche le Organizzazioni Non Governative. Questo sembra indicare una ‘dinamica’ della comunità internazionale e un modello di cooperazione tra soggetti governativi e non governativi che potrebbero essere meglio valorizzati nel quadro delle Nazioni Unite e in particolare nella conferenza sul disarmo.
Esiste uno stretto legame tra disarmo, sviluppo e pace, e in generale tra disarmo e diritti umani, che meritano di essere sottolineati. Non è concepibile un adeguato livello di sviluppo senza la riduzione della spesa militare per gli armamenti. Né sono concepibili la sicurezza e la pace internazionale senza lo sviluppo di ogni persona e popolo. Paolo VI affermò che: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (Populorum progressio, 87). Questa impostazione è in linea con alcuni principi della Carta delle Nazioni Unite.
Il disarmo va promosso nel quadro, e delle istituzioni specializzate in materia di disarmo e di sicurezza, e delle istituzioni specializzate in materia di diritti umani, di sviluppo, di commercio internazionale, ecc. (Consiglio dei diritti umani, Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, Organizzazione mondiale del commercio, ecc.). Basti citare il settore nucleare, dove spesso non è agevole distinguere i programmi civili da quelli militari; il commercio delle armi, o la questione del ‘dual use’, nella quali si intrecciano dinamiche di natura strategica, militare e commerciale che meriterebbero analisi e risposte di tipo interdisciplinare. Questo sollecita una riflessione sull’attuale organizzazione internazionale e sulla ‘frammentazione’ delle politiche, che perseguono singoli obiettivi (disarmo, diritti umani, sviluppo, ecc.) in maniera scollegata e spesso senza una visione d’insieme. Al contrario, disarmo, diritti umani e sviluppo sono fattori interdipendenti nella convivenza delle persone e dei popoli.
Quali prospettive?
Il disarmo rappresenta una sfida su diversi livelli. Esso è una sfida sul piano diplomatico. Su questo livello la Santa Sede è attiva per la riduzione e la tendenziale eliminazione degli armamenti, che vengono perseguiti come obiettivi specifici, e nel quadro più ampio dell’affermazione di un ordine internazionale basato sui “quattro pilastri” indicati da Giovanni XXIII, e cioè la verità, la giustizia, l’amore e la libertà. Accanto all’attività diplomatica della Santa Sede andrebbero valorizzate le ONG e i movimenti di ispirazione cattolica, che possono giocare un ruolo molto importante per il disarmo, anche alla luce di esperienze come il divieto delle mine antipersona o il “Processo di Oslo” sulle munizioni a grappolo.
Il disarmo è soprattutto una sfida sul piano culturale, morale e spirituale. Questo implica una seria pedagogia della pace nonché l’approfondimento e la pratica attuazione, soprattutto dei cattolici, della dottrina sociale della Chiesa. Tutte le persone, non solo i capi di Stato e di Governo, sono i protagonisti del disarmo, come operatori di pace e portatori delle “vere armi della pace” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: “Le vere armi della pace”, 1976).
Tra le complesse variabili di natura tecnica, strategica e politica, anche per il disarmo esiste un punto di riferimento essenziale: la dignità della persona umana. Questa impostazione rende il disarmo una sfida forse più difficile, poiché legata al disarmo dei cuori, e al tempo stesso più sostenibile, poiché proiettata nell’orizzonte dello sviluppo integrale di ogni persona e popolo. Attraverso la coscienza del proprio comune destino, la famiglia umana potrà affrancarsi dalla sciagura della guerra, e gli Stati potranno finalmente rinunciare alle armi.