La vera rivoluzione cristiana
Per cambiare noi stessi e il mondo. Per delegittimare e ritenere immorale ogni guerra.
Giusta, ingiusta, umanitaria.
Ai cristiani compete la scelta nonviolenta come coraggioso non arrendersi al male per disarmarlo con il bene, spezzando la catena dell’ingiustizia. Rideranno di questo, come prima hanno deriso Gesù in croce sfidandolo. “Il valore imprescindibile della passione di Gesù nella storia umana alle prese con la fatalità della guerra è il nomos della fraternità che custodisce e grida. Nomos come relazione di pace da offrire all’altro incondizionatamente e gratuitamente dentro l’inimicizia e a prescindere dalla sua inimicizia, perché solo così si interrompe la fatalità della violenza e della guerra e, in un frammento di mondo torna a splendere il disegno creatore o regno di Dio dell’umanità fraterna” (Carmine Di Sante, La passione di Gesù, Rivelazione della nonviolenza, Città aperta 2007). Nomos che è dono e sfida, messa in scena di un inedito soprattutto per chi accetta di seguire Gesù il crocifisso. “La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei ‘piccoli’, che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita” (Benedetto XVI, angelus del 18 febbraio 2007). La nonviolenza è scelta di fede in quanto l’amore per il nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”. In effetti “se ognuno è nemico all’altro per definizione e se per ognuno priorità è la salvaguardia dalla minaccia altrui, le possibilità per l’io sono di vincere o soccombere, e nel caso estremo uccidere o essere ucciso. In questo caso non ci sono più carnefici e vittime ma solo vincitori e vinti, uccisori e uccisi, tutti ugualmente mal-fattori” (Carmine Di Sante, La passione di Gesù ).
La guerra con tutti i suoi strumenti e logiche, nonostante tenti di cambiare nome per essere più “umana” (ingerenza umanitaria, intervento di polizia internazionale, lotta al terrorismo, azione preventiva…) “è solo guerra: un puro fatto irrazionale, una offesa contro l’uomo e, per chi è credente, verso Dio” (Luigi Lorenzetti, Guerre ingiuste e Pace giusta, ed Pardes, 2004, p. 15). Cancellata da Gesù Cristo e dal comandamento dell’amore ogni ragione etica e teologica che ancora possa sostenere una guerra giusta o giustificabile, resta chiaro che “la violenza non costituisce mai una risposta giusta. La Chiesa proclama, con la convinzione della sua fede in Cristo e con la consapevolezza della sua missione, che la violenza è male, come soluzione ai problemi è inaccettabile, ed è indegna dell’uomo. La violenza è una menzogna, contraria alla verità della nostra fede, alla verità della nostra umanità. La violenza distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n 496)
… nelle esperienze di verità
La storia della Chiesa conosce parecchi coinvolgimenti nelle azioni del mondo e spesso ha conosciuto la partecipazione alla violenza e alla guerra. Ora si tratta di “portare sul terreno dei fatti le conclusioni derivanti dalle nostre omelie sulla pace” (Antonio Bello, Scritti di Pace, 1997, p. 55) come diceva d Tonino Bello, superando la “prudenziale abbottonatura” con cui la stessa Chiesa spesso ha evitato di prendere posizione sulla proposta rivoluzionaria di una vita e testimonianza nonviolenta (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n 433, 496).
In secondo luogo “il miglior servizio che la morale, filosofica o teologica, può rendere alla guerra e alla violenza è proprio quello di non prestarsi alla sua giustificazione, pena il divenire connivente e complice del suo perpetuarsi. Il ruolo della morale, a meno che non voglia divenire ‘instrumentum belli’, deve essere per forza sua critico-orientativo. Giustificare significa impedire di crescere. E l’umanità aspira a crescere” (Luigi Lorenzetti, Guerre ingiuste e Pace giusta, p. 22).
In terzo luogo sappiamo che la guerra e tutto ciò che la giustifica (dal punto di vista culturale, politico, economico, giuridico, religioso) non è mai stata strumento di giustizia e di vera liberazione, abbisogna di una quantità indescrivibile di vittime, di denaro e di menzogne che cancellano ogni verità sulla vita. Soprattutto è incapace di gesti di amore. Quindi oggi “tra i segni di speranza va annoverata la crescita di una nuova sensibilità sempre più contraria alla guerra come strumento di soluzione dei conflitti fra i popoli e sempre più orientata alla ricerca di strumenti nonviolenti per bloccare l’aggressore armato” (Evangelium Vitae, n. 27). Lo stesso principio di ingerenza umanitaria o il dovere di protezione non può che ottemperare l’uso di strumenti nonviolenti, pena la riproposizione del ciclo della violenza, personale o strutturale. “Servono allora fonti culturali purificate, ariose, affidabili, capaci di spingere verso la separazione, sul piano delle azioni storiche, dell’efficacia dalla violenza” verso “una cultura politica che sia al servizio esclusivo della pace e dell’unica giustizia autentica, quella che non produce vittime” (Roberto Mancini, L’amore politico. Sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e Levinas, Cittadella, Assisi 2005, p. 9).
Infine “occorre dare alla Pace altre armi, che non quelle destinate a uccidere e a sterminare l’umanità” (Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1976). “Noi abbiamo il potere dei segni, non i segni del potere” (Antonio Bello, Scritti di pace, p. 71), abbiamo il potere di condannare la violenza e percorrere la nonviolenza, “semplicemente” ricordando che:
1. Quando siamo intolleranti diventiamo violenti. Nessuno ha il monopolio della verità, quindi la scelta fondamentale è incontrare e dialogare con gli avversari o il “nemico”. Questo è dialogo di salvezza (Cfr Ecclesiam Suam, Paolo VI, 1964, n 73-79). La sola verità da vivere fedelmente è che l’uomo, ogni uomo, è sacro, e ogni strumento che calpesta e ferisce l’uomo non può che essere rifiutato.
2. Quando disconosciamo la verità dell’altro, la tradiamo, noi diventiamo violenti. In effetti le ragioni dei bisogni di sicurezza non sono banali, l’esistenza dei corpi di polizia e degli eserciti hanno una storia e motivazioni ampie e circostanziate, le fabbriche di armi e il legale commercio delle stesse trova ragione nella più antica impresa e economia umana. In un sistema di violenza, come dicevamo, o si uccide o si è uccisi. “Noi scegliamo preventivamente la prima alternativa, ognuno di noi fa il male che può, come professione principale, a seconda che gli riesce meglio: il ladro o il banchiere, il commerciante o l’operaio, il medico o il barbiere, il padrone o il servo, il prete o il brigante, il benefattore o il delinquente. Ognuno con i mezzi che ha pensa al particolare suo” (Silvano Fausti, L’idiozia, con postilla sul giubileo, ed Ancora 1999, p 53).
3. Quando non diciamo la nostra propria verità diventiamo violenti. Il problema è che non possiamo dirla semplicemente con le parole. La debolezza della nonviolenza è che spesso è solo parola e non azione. Riusciremo a trasformare le nostre comunità, famiglie, società in esperienze nonviolente capaci di offrire una effettiva alternativa? “Egli (Gesù) invita a cercare in ciascuno di noi i segni della nostra complicità con l’ingiustizia. Ammonisce a non limitarsi a sradicarla qui o là, ma a cambiare scala di valori, a cambiare vita” (Card C. M. Martini, Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace , Discorso per S. Ambrogio 2001).
4. Quando non diciamo all’altro le ingiustizie che ha commesso siamo violenti. Le ingiustizie dell’attuale sistema di guerra diffusa e infinita, di riarmo sconvolgente, di rottura dell’unità umana, di confusione fra legittima difesa e vendetta o prevaricazione, sono talmente palesi che stupisce non le si contrasti con decisione: aumento della conflittualità e delittuosità locale e internazionale, aumento della povertà, diminuzione della dignità di persone e popoli, diminuzione della sicurezza per la maggior parte dell’umanità, cancellazione dei fondamentali diritti umani, e soprattutto mancanza generale di giustizia, attenzione, amore all’uomo e donna concreti.
5. Quando non portiamo una soluzione concreta siamo violenti. Arrivare a mani vuote è delegittimante e inutile, potrebbe semplicemente aprire prospettive ulteriormente violente. Per noi è fondamentale la scelta della Difesa Popolare Nonviolenta, il sostegno a una sicurezza inclusiva e non esclusiva, la prospettiva di una politica di verità e riconciliazione pre-intra-post conflitto, il disarmo anche unilaterale come atto di fiducia, la riconversione dell’industria militare in civile, l’obiezione di coscienza a tutto ciò che calpesta la dignità umana e toglie vita alle persone e ai popoli, il bene comune e la condivisione delle risorse della terra, la giustizia prima degli interessi di qualsiasi parte.