CEI, finanza internazionale
tema che non riguarda più solo gli addetti ai lavori.
Esce in questi giorni, a cura del gruppo di studio Etica e Finanza dell’Ufficio Nazionale CEI per i problemi sociali e del lavoro, il documento “Finanza internazionale e agire morale”. Si tratta di un testo che prosegue quell’analisi avviata nel documento Etica e Finanza, pubblicato nel 2000, e che intende fornire un contributo, anche di carattere tecnico, su un tema che non riguarda più unicamente gli addetti ai lavori, ma che “fa irruzione nella vita di tutti i giorni della cosiddetta gente comune” (p. 3).
È proprio la constatazione che ci troviamo di fronte a un cambiamento importante nelle scelte di investimento e che tale cambiamento non solo incide in profondità sulla vita dei risparmiatori e sugli orientamenti del mercato, ma è anche causa spesso di squilibri profondi che colpiscono i soggetti più esposti e deboli, che ha condotto il gruppo di lavoro a elaborare un testo che fornisca gli elementi per comprendere tecnicamente alcune delle caratteristiche principali dell’attuale finanza internazionale e per orientarsi nella valutazione morale.
Il testo – arricchito da alcune schede che affrontano problemi particolari quali ad esempio l’evoluzione o le funzioni della moneta, o i dati sui movimenti internazionali di capitali – viene destinato primariamente “alle comunità cristiane e agli operatori pastorali”; ma l’attualità della materia trattata,
la chiarezza e la semplicità dell’esposizione e l’offerta di una griglia di valutazione morale su di un argomento di enorme interesse, ne fanno un documento che merita di essere letto e discusso ben al di là dei confini delle comunità cristiane e che può costituire occasione di confronto per ampi settori della società civile.
Di seguito riportiamo alcuni passi salienti del documento, rimandando, soprattutto per quanto riguarda le parti più tecniche, alla lettura integrale del testo.
La zona grigia della finanza internazionale
[…] Sembrano appartenere a questa zona “intermedia” tutta una serie di operazioni speculative rese possibili dalle attuali tecnologie informatiche. Da un lato esse, come tutte le operazioni speculative, possono anche produrre effetti positivi a livello aggregato, legati soprattutto alla maggiore liquidità del mercato finanziario, che può così più facilmente realizzare operazioni autenticamente produttive; dall’altro ci si trova spesso di fronte a movimenti totalmente sproporzionati alla grandezza delle economie reali sottostanti, che sono quindi incapaci di assorbire eventuali shock di natura speculativa. Occorre dunque una più attenta considerazione di tutti gli effetti delle diverse operazioni per poter emettere un adeguato giudizio morale.
Ogni speculazione del tipo “fine a se stessa”, e in particolare quella internazionale attuale, con i suoi frenetici spostamenti a breve e brevissimo termine di somme sempre più massicce non solo direttamente ma anche indirettamente e da un Paese all’altro, non costituisce “creazione di ricchezza” (nel senso che non si genera alcuna produzione di beni o servizi reali), ma soltanto trasferimento, rapido e massiccio, di ricchezza già esistente. Spesso poi tale trasferimento va nella direzione della concentrazione: dai “molti” ai “pochi”, dai “piccoli e medi risparmiatori” ai “grossi redditieri”, che meglio conoscono e possono approfittare delle opportunità offerte da un mercato così complicato. Una speculazione che agisca nel senso dell’aumento delle disuguaglianze non può che suscitare pesanti perplessità in termini di giustizia ed equità. Il fenomeno è estremamente pernicioso per i Paesi “poveri”; e ciò è tanto più vero nel caso della speculazione “cattiva” su valuta, giacché “si mette in pericolo” l’esistenza, la stabilità, la crescita di un’intera economia nazionale.
Particolarmente grave è poi il fatto che operazioni speculative molto remunerative siano spesso associate allo sfruttamento da parte di alcuni operatori di informazioni riservate in loro possesso, ma ignote alla massa degli investitori: è il fenomeno dell’insider trading, che è giustamente sanzionato da molte legislazioni nazionali. Ancora più grave e riprovevole è lo sfruttamento da parte di operatori di grandissima dimensione di un potere di mercato che consente loro non solo di approfittare meglio delle circostanze favorevoli, ma di mettere in subbuglio i mercati, costruendo ad arte oscillazioni dei prezzi da cui trarre vantaggio.
Non è un caso che tutti i Paesi industrializzati si siano dotati di autorità e forme di controllo e regolazione del mercato borsistico interno, che hanno la funzione e gli strumenti necessari per evitare che esso sia lasciato alla mercé di esasperati movimenti di fondi di origine speculativa. Ad esempio, quando le oscillazioni di prezzo di un certo titolo superano una fascia prestabilita, le contrattazioni vengono sospese. Ugualmente sono sanzionati comportamenti come l’insider trading o altre forme di uso di informazioni riservate, o ancora l’abuso del potere di mercato. A livello italiano opera in questo campo la CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), che ha un equivalente in tutti gli altri Paesi industrializzati. Nulla di nemmeno lontanamente comparabile esiste invece a livello internazionale, lasciando le singole autorità nazionali impossibilitate a qualsivoglia intervento.
In definitiva, le spesso gravi “storture” che si accompagnano a tali movimenti speculativi di fondi possono riassumersi nei seguenti punti: 1) fanno arricchire “indebitamente” gli investitori, in particolare quelli di grosse somme; e ciò in quanto si tratta di guadagni che si materializzano sul piano esclusivamente finanziario dei trasferimenti di ricchezza e non su quello reale relativo alla “creazione” della ricchezza; 2) arricchiscono sistematicamente i già molto ricchi, mentre gli altri – i cosiddetti piccoli risparmiatori – complessivamente (tra alti e bassi) “restano a bocca asciutta”; 3) nel caso poi di crisi valutarie create a scopo speculativo, spesso riducono interi Paesi sul lastrico; 4) “rastrellano” flussi ingenti, lasciando poco spazio ai fondi destinabili agli “impieghi di portafoglio” e agli stessi “investimenti esteri diretti”, ovvero agli impieghi produttivi nell’economia reale. In questo modo la finanza non solo si stacca, ma finisce per ostacolare il regolare funzionamento del sistema economico, al cui servizio essa dovrebbe invece essere: in tali condizioni, il giudizio etico su movimenti finanziari di questa natura non potrà che essere fortemente negativo.
Prospettive d’azione
[…] La conoscenza di un fenomeno e il giudizio etico dato a riguardo, alla luce dei principi ispiratori e della tradizione dell’etica cristiana, rappresentano un appello alla coscienza di ciascuno in vista di un passaggio all’azione, altrimenti rimarrebbero una sterile impresa intellettuale. Questo vale anche per il campo che abbiamo qui preso in esame, quello della finanza internazionale. Come sempre capita in questioni complesse, controverse e soggette a continui e rapidi mutamenti, non è certamente qui possibile prescrivere ricette definitive di valore assoluto. Si tratta piuttosto di formulare delle proposte, ben consci della loro inevitabile limitatezza e della potenziale ambiguità di ogni comportamento in un campo delicato come questo.
Il loro scopo non è quello di “sistemare” le coscienze una volta per tutte, consentendo l’illusione di aver ottemperato a tutto ciò che si deve fare. Sarebbe un inganno pericolosissimo. Piuttosto la loro ambizione è proprio quella di “stimolare” le coscienze, che, nel costruire ogni giorno quel bene riconosciuto come concretamente possibile, sanno rileggere criticamente i passi compiuti e scoprire nuovi e sempre più ampi spazi di azione. In questa linea pare utile riconoscere che l’azione per una crescente “umanizzazione” della finanza internazionale può svilupparsi lungo due direttrici principali, che non si escludono a vicenda, anzi si intrecciano: quella dei comportamenti personali e quella dei comportamenti collettivi. Un rapido sguardo alla realtà civile ed ecclesiale italiana ci permetterà poi di identificare alcune proposte già sul tappeto, a cui fare riferimento per muovere i primi passi.
Comportamenti personali
Le questioni, che la finanza internazionale solleva, interpellano innanzi tutto ciascuno nella sua qualità di risparmiatore. Come si è cercato di spiegare nelle pagine precedenti, il funzionamento del sistema finanziario è tale per cui le decisioni individuali finiscono per trascendere gli spazi locali.
Infatti, nel momento in cui affidiamo i nostri risparmi a una banca o a un investitore istituzionale (ad esempio un fondo comune di investimento), nulla impedisce che essi siano poi impiegati al di fuori del nostro Paese, dando così origine, almeno in parte, a movimenti finanziari internazionali. In modo inconsapevole, si può alimentare – caso auspicabile – la zona “bianca” della finanza internazionale, ma si può anche rischiare di alimentare la zona “grigia”, quando non addirittura quella “nera”.
Va riconosciuto che le modalità di funzionamento del sistema sono tali che il singolo risparmiatore non può sentirsi responsabile di scelte compiute a valle del suo risparmio, e che quindi sfuggono al suo pieno controllo. Questo non deve però diventare un comodo paravento per dire che “tutto va bene”. Sempre più numerosi sono infatti i risparmiatori sensibili a queste problematiche che cercano strade per realizzare investimenti che indirizzino sempre più decisamente il sistema verso la zona “bianca”. Nascono così una serie di prodotti e di operatori che, pur con differenze anche significative, assumono il termine “etico” come segno distintivo di una preoccupazione in questo senso.
Concretamente rappresentano una possibilità, per quanto necessariamente limitata e perfettibile, di fare dei passi nella direzione qui indicata. Un ruolo particolare è poi rivestito dagli operatori del settore finanziario: nei limiti delle possibilità che il ruolo che ciascuno riveste consente, essi sono investiti da una responsabilità peculiare.
Certamente – lo ricordava il Card. Tettamanzi in un recente intervento (1) – questa responsabilità interpella soprattutto chi riveste ruoli dirigenziali nel mondo del credito e della finanza. A loro infatti spetta l’indicazione delle linee operative su cui si muoveranno le istituzioni. A chi non occupa tali posizione resta pur sempre un margine di discrezionalità nell’azione e soprattutto la possibilità di agire e premere per promuovere la crescita di una più attenta sensibilità in tal senso.
Comportamenti collettivi
Di fronte a fenomeni così ampi, resta poi vero che l’effettiva possibilità di influire da parte del singolo rimane comunque molto limitata. Si apre però uno spazio ben più significativo per l’azione collettiva, capace, per natura sua, di influire sulle istituzioni, in particolare quelle pubbliche, che hanno il compito di fissare le regole del mercato finanziario e di controllarne il rispetto. Un’azione di questo tipo avrà tutte le caratteristiche di un impegno politico, nel senso di una preoccupazione per il bene comune, in questo caso per quel bene comune della comunità internazionale che Giovanni XXIII profeticamente indicava già quarant’anni fa nell’Enciclica Pacem in terris.
In ultima analisi, infatti, ai cittadini in quanto elettori rispondono direttamente i governi nazionali, e indirettamente le istituzioni finanziarie internazionali, a cui presiedono uomini nominati dai governi nazionali. Il cambio di atteggiamento di alcune di queste istituzioni nei confronti dei cosiddetti “paradisi fiscali” in seguito all’emergenza del terrorismo internazionale mostra quanto può essere efficace la pressione dell’opinione pubblica. Oltre allo strumento del voto, sono disponibili altri mezzi per un’azione di questo tipo. Innanzi tutto il lobbying, che richiede un’azione concertata e sostenuta da capacità di analisi e di elaborazione di proposte: non mancano organismi della società civile capaci di portare avanti questo compito, ai quali eventualmente dare il proprio sostegno. Un ulteriore strumento sono le campagne di sensibilizzazione, che puntano proprio a far crescere la coscienza collettiva dei problemi e il peso dell’opinione pubblica. Tra l’altro spesso con il pregio di favorire la sintesi fra il piano personale e quello collettivo, attraverso la proposta di una serie organica di comportamenti.