Mercanti di dolore
Il commercio internazionale di prodotti per le forze di sicurezza per torturare equipaggiamenti, per causare scariche elettriche, congegni serra-dita, ceppi di ferro, manganelli con chiodi, gas incapacitanti, ecc.) è in notevole crescita. È la denuncia di Amnesty International contenuta nel rapporto “Mercanti di dolore”, reso pubblico nei giorni scorsi.
Non c’è da meravigliarsi, l’offerta c’è perché esiste una domanda rilevante, visto il gran numero di Paesi in cui la tortura è prassi abituale (secondo Amnesty almeno un centinaio di Paesi). È quindi evidente che il mancato controllo dei governi sul commercio di equipaggiamenti per la sicurezza contribuisce alla diffusione delle sevizie nei confronti di altri esseri umani. Sono pochi, infatti, i governi che controllano in maniera adeguata la produzione e l’esportazione di apparati per la polizia.
Nel periodo 1999-2003 Amnesty ha individuato 59 aziende che in 12 Paesi producono attrezzature in grado di causare elettroshock: Brasile, Cina, Corea del Sud, Federazione Russa, Francia, Israele, Messico, Polonia, Repubblica Ceca, USA, Sud Africa e Taiwan. Negli anni ’90-’97, invece, Amnesty ha individuato solo 20 imprese.
Perché tanto successo? “Le attrezzature per provocare scariche elettriche sono in enorme crescita – afferma Sauro Scarpelli, coordinatore armi di Amnesty a Londra – perché non lasciano segni sul corpo e costituiscono, quindi, una sorta di garanzia di impunità per i torturatori, che non potranno essere incriminati”.
Gli Stati Uniti, fra i Paesi leader del commercio di materiali in grado di provocare scariche elettriche, sono fra i pochi a subordinare l’esportazione al possesso di apposite licenze. Le autorizzazioni, però, non mettono al riparo dal rischio che tali strumenti di tortura siano venduti a regimi liberticidi. Nel 2002 il Dipartimento al Commercio di Washington ha autorizzato la vendita di questi strumenti a 12 Paesi (Bangladesh, Brasile, Ecuador, Ghana, Honduras, India, Giordania, Libano, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa e Venezuela) che un’altra branca dell’Amministrazione Usa, il Dipartimento di Stato ha messo proprio fra “i cattivi” a causa del continuo ricorso alla tortura. Le autorità nordamericane, tuttavia, hanno respinto la richiesta di esportare bastoni elettrici alla Nigeria. Nel 2002 l’ammontare delle licenze di esportazione di tali apparecchiature è stato di circa 15 milioni di dollari.
A fronte di questi importi relativamente modesti è invece altissimo il costo in termini di sofferenza inflitta ad esseri umani. Non si tratta di eventualità remote, ma di aiuti concreti agli aguzzini.
Anche altri Paesi hanno un ruolo significativo nel commercio dei mezzi di tortura. Taiwan ha il maggior numero di aziende che producono attrezzature per prati care scariche elettriche, ben 16.
La normativa locale ne vieta l’uso nel Paese asiatico ma non l’esportazione. Anche la Cina è fra i principali produttori, ne ha fatto largo uso sui detenuti, ad esempio i monaci tibetani, uno dei quali è riuscito a mostrare in Occidente un bastone elettrico con cui è stato seviziato per lungo tempo. Pechino ha fornito migliaia di questi bastoni, fucili lancialacrimogeni e altri strumenti del genere alla Corea del Nord.
Naturalmente la sadica mente umana ha prodotto molti altri strumenti utilizzabili per torturare, gli esempi potrebbero essere tanti; eccone alcuni: in Cina sono stati esposti, a una fiera della polizia, manganelli d’acciaio dotati di chiodi, l’anno scorso gli Stati Uniti hanno venduto all’Arabia Saudita più di nove tonnellate di ceppi di ferro, nonostante tali strumenti siano vietati dalle norme ONU sul trattamento dei detenuti; il governo sudafricano ha pubblicato un bando, poche settimane fa, per la fornitura di ceppi di ferro, catene e scudi elettrici antisommossa.
In un contesto così deprimente è da segnalare che l’Unione Europea non risulta avere una legge per vietare queste transazioni, tuttavia esiste una bozza di direttiva. In definitiva, il cammino verso l’abolizione della tortura, duecento anni dopo l’illuminismo, è ancora lontano.