Un forum finalmente globale
“Esserci è l’importante”. È la parola d’ordine che – dai villaggi e dagli slum delle città industriali dell’India, dagli Stati a più alta concentrazione di poveri del nordest a quelli più ricchi del sud-ovest – ha portato un numero inaspettato di “dalit” (gli intoccabili fuori-casta indiani e nepalesi) a Mumbai (già Bombay) per il 4° Forum sociale mondiale (1621 gennaio). Un gruppo di loro è arrivato con una grande marcia di sei settimane attraverso il Paese per unirsi ai “fuori-casta” giapponesi, amerindi e africani, oltre che ai movimenti della società civile internazionale. Obiettivo, mettere insieme le basi per un altro mondo possibile; per loro innanzitutto creare un coordinamento internazionale contro il sistema delle caste, in qualunque forma e luogo sia presente, e chiedere che venga trattato a livello internazionale come il famigerato apartheid del Sudafrica razzista.
È stata questa la vera novità: la visione rovesciata del mondo che vi si respirava. La scrittrice egiziana Nawal el-Sadawi, nota per le sue battaglie civili, di fronte a una folla di donne ha posto la sfida: “Io sono mediorientale… Ma Medio Oriente rispetto a cosa? Qual è il centro?”. Un Forum, quindi, molto più globale e meno “occidentale” di quanto si pensasse – e questo conferma la bontà della scelta maturata a Porto Alegre 2003 di rendere l’assise della società civile mondiale più itinerante e meno legata alla città brasiliana dove ha visto la luce.
Un Forum che ha scoperto un pezzo di mondo sconvolgente e poco conosciuto, l’Asia, con le sue grandi masse umane e i suoi immensi problemi sociali, ma grande protagonista anche per la sua capacità organizzativa.
Un Forum preso dalla necessità di dare spazio alle questioni dei diritti umani e alle esigenze delle persone, soprattutto i più poveri ed esclusi – fisicamente presenti a parlare per se stessi, non come in altri forum dove si dibatte su di loro – e le donne, la maggioranza a Mumbai – dove il tema forse più discusso, dopo quello della globalizzazione, è stato il patriarcato, le cui regole opprimono le donne indiane, come esempio della dominazione maschile del mondo. Un Forum, infine, fatto in economia – a differenza di quello di Porto Alegre – ma finito comunque in rosso a causa del coraggio di rinunciare a certe sponsorizzazioni e
di avere due livelli diversi per la quota d’iscrizione (pagata da 150mila persone) a secondo che i partecipanti venissero da Paesi ricchi o poveri.
Così ha finito per sorprendere noi Occidentali, finalmente piccoli e sbilanciati, e per insegnarci qualcosa. Nella presunzione di essere al centro del mondo e spesso preoccupati solo di essere “contro” la globalizzazione liberista, la guerra preventiva, la dominazione Usa… ci ha colpito il trovarci di fronte a problemi così grandi che vanno oltre le nostre teorie e, al tempo stesso, di veder in quelle persone una capacità di vivere e condividere che ci allarga gli orizzonti. “Fiumi di persone – racconta Raffaella Chiodo di Sdebitarsi – tantissime donne, attraversano i viali del Forum dall’alba fino a notte fonda.
Raccontano le loro cause sconosciute ai più in Occidente. Disabili, senza casa, intoccabili, tibetani, burma, i sopravvissuti di Bhopal, pacifisti giapponesi e attivisti cinesi per i diritti umani, pakistani e nepalesi… Le persone di qui ti avvicinano per conoscerti, per sapere cosa spinge qui un benestante europeo non per fare il turista, ma per parlare con loro, ascoltare, cercare di capire... È la sorpresa dell’incontro. Tra diversi, perché nati in una parte più o meno fortunata della terra, eppure fra simili per idee e soprattutto per la comune percezione dell’ingiustizia e della necessità di fare ognuno qualcosa per cambiare”.
L’apertura del Forum, il 16 gennaio, è stato un evento al di là di ogni previsione, tanto che la manifestazione inaugurale è slittata di due ore per spostare il tutto dai 50mila posti del tendone della fiera campionaria – dove si erano radunate 500mila persone – a uno spazio esterno ben più vasto. Oltre 2.600 organizzazioni da 132 Paesi hanno aderito, due premi Nobel, l’iraniana Shirin Ebadi e l’economista ex vice direttore della Banca Mondiale Joseph Stiglitz, hanno partecipato. Numerosissimi gli eventi, 1.200 solo quelli annunciati: conferenze, tavole rotonde, seminari, workshop, manifestazioni di tutti i tipi organizzate o autogestite.
Scaviamo ora in alcune delle tematiche. Innanzitutto una piccola riflessione, dovuta a un intervento del teologo cingalese Tissa Balasuryia: un’altra Chiesa è possibile? Globalizzazione per la Chiesa significa che sia la teologia che le strutture dovrebbero cambiare per rendere la Chiesa capace di promuovere un altro mondo di pace, giustizia e sviluppo. Difficile, con la teologia morale troppo spesso individualista che ci ritroviamo.
Sulle tematiche della guerra e della pace, non sono mancati i segni, come l’abbraccio pubblico tra delegati pakistani e indiani – a significare che non esiste solo la guerra in Iraq. Il corteo finale del 21 è stato un grande evento contro la guerra e la politica internazionale Usa. Infine, il Forum ha lanciato l’appello per una grande mobilitazione mondiale il 20 marzo, a un anno dall’attacco militare in Iraq. “Ma Mumbai non ha dato un contributo originale – conclude Flavio Lotti della Tavola per la pace – Piuttosto c’è stata una preoccupante radicalizzazione di alcune posizioni. La rabbia nel mondo cresce, e il rapporto con i mezzi del cambiamento – gli strumenti della politica e la nonviolenza – diventa sempre più critico. La democrazia internazionale, con governi che non prestano ascolto alla propria opinione pubblica, è in crisi. Ma il nostro no al terrorismo e alla violenza in tutte le sue forme – che, come è evidente in Palestina, non risolve mai il problema – dovrebbe essere netto se esigiamo lo stesso dai governi”.
Riguardo al tema del debito, la parola d’ordine è stata “Smettere di pagare il debito ora!”. A chiederlo con nettezza ai propri governi, la rete di Ong e Campagne per la cancellazione del debito dei Paesi più poveri. Ma soprattutto gli Africani hanno colto l’occasione per lanciare oltre che una aperta sfida al Nord ricco anche una provocazione ai governi del Sud, spronandoli a tenere una linea coerente con quella delineata a Cancun – dove, uniti nello schieramento del G22, respinsero le imposizioni volute da Usa e Ue. “L’appello di Mumbai segna una nuova tappa per il movimento africano”, conclude la Chiodo: “La parola d’ordine del debito è il frutto di un’analisi rovesciata che pretende dai propri governi il rispetto delle necessità e del diritto a una vita dignitosa per le proprie popolazioni, schiacciate e offese dal pagamento di debiti odiosi e illegittimi. A Mumbai non si chiede la carità, ma la restituzione del mal tolto di secoli, prima con la schiavitù, poi con le materie prime e infine con gli interessi da usura di debiti già più volte ripagati”.
Nello slum di Mumbai è stato anche lanciato il marchio mondiale delle Organizzazioni del commercio equo, Fto (Fair Trade Organizations): sono 130, in 42 paesi, le organizzazioni per ora autorizzate a utilizzarlo. “Lanciato ad alta visibilità e con la partecipazione dei produttori, ci dice Giorgio Del Fiume di Ctm, sarà uno dei capisaldi delle nostre strategie future e della valorizzazione del commercio equo”. Servirà infatti a distinguere il prodotto equo originale da quelli che cercheranno di sfruttare la “tendenza”. Riguardo alle tematiche dell’economia sociale e solidale il Forum è stato “un grande successo che segna anche la necessità di una svolta”, conclude Del Fiume: “Infatti, raggiunto il massimo dell’autorevolezza politica e della visibilità, la formula non può dare di più. Adesso bisogna diminuire gli eventi ma aumentare il peso specifico, elaborare in profondità i contenuti e le strategie coinvolgendo sempre più i produttori stessi”.
Tutto il movimento della società civile globale ha ormai acquisito autorevolezza politica, tanto che lo stesso Forum economico mondiale di Davos, il forum dei potenti del mondo, ha tentato di rifarsi la faccia: nel discorso d’apertura, Bill Clinton ha riconosciuto come giuste molte delle critiche venute da Mumbai. I centri dirigenti della Terra non potranno prescindere dalle sue riflessioni. È quindi sempre più necessario approfondire le analisi e produrre contributi seri e articolati di alternativa. L’anno prossimo si torna a Porto Alegre, per un Forum più piccolo ma che, proprio per questo, potrà dedicarsi a rafforzare le basi di questo “altro mondo”.
Poi, finalmente, sarà il turno dell’Africa.