CAMPAGNE

L’acqua è un bene comune

Prosegue l’impegno del Forum per l’acqua pubblica: dopo la vittoria referendaria, si rivendica ora la piena applicazione, contro gli interessi di parte e contro chi non vuole restituire ai cittadini ciò che spetta loro.
Valerio Balzametti (Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua)

“La guerra dell’acqua è già cominciata... non sono un falco ma riconosco un congresso di avvoltoi!”. Così canta Ivano Fossati e pare sentire descrivere bene la situazione attuale sul servizio idrico in Italia dopo il voto del referendum del 2011.
Infatti, si susseguono i tentativi di cancellare l’esito di quella consultazione popolare, ma soprattutto di fare in modo che l’acqua rimanga un bene da vendere sul mercato e sul quale fare profitti; ultimo atto in senso cronologico, la nuova tariffa sul servizio idrico integrato.
Con un provvedimento del governo Monti, il cosiddetto “Salva-Italia”, è stato attribuito all’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG) il compito di riformulare la tariffa del servizio idrico integrato.
Il 28 dicembre 2012, dopo un lavoro durato diversi mesi, l’AEEG ha approvato una delibera (n. 585/2012) con cui ha definito il Metodo Tariffario Transitorio del servizio idrico integrato valido per il 2012 e 2013, sancendo, nei fatti, la negazione dei referendum di giugno 2011.
Infatti, l’Autorità prospetta un meccanismo riguardante gli oneri finanziari relativi agli investimenti che va ben al di là di un’impostazione di un metodo tariffario volto a coprire i costi del servizio. Un meccanismo tale che mira, in realtà, a reintrodurre, sotto la denominazione di “costo della risorsa finanziaria”, il riconoscimento ai gestori di una percentuale standard pari al 6,4 %, ossia lo stesso meccanismo della remunerazione del capitale investito abrogata dal referendum che ammontava al 7 %. Dunque, non si è molto lontani dalla realtà se questa viene definita una tariffa-truffa.

Aggirare la vittoria
È interessante notare come il precedente governo, guidato da Berlusconi, avesse provato ad aggirare il risultato referendario, con un decreto approvato il giorno di ferragosto, contando sulla scarsa attenzione dovuta al periodo estivo. In egual modo l’AEEG ha aspettato le vacanze natalizie per fare uscire la nuova tariffa.
In ugual modo, l’atto che l’AEEG si è apprestato a deliberare non è assolutamente un regolamento tecnico, ma un vero e proprio atto politico semplicemente camuffato. Una simile scelta è una esplicita negazione della volontà dei cittadini e delle cittadine, talmente grave da richiedere un’assunzione di responsabilità da parte dei membri dell’Autority incaricati; un procedimento che chiama in causa anche l’attuale governo.
Il 25 gennaio scorso, a sostegno delle tesi del movimento per l’acqua in merito alla tariffa, è giunto anche un parere del Consiglio di Stato, peraltro richiesto dalla stessa AEEG, il quale ribadisce che la quota di remunerazione del capitale investito è stata indebitamente percepita dai gestori e dunque va elimitata dalla bolletta sin dalla data di promulgazione degli esiti referendarim (ossia dal 21 luglio 2011, cosa che, a oggi, nessun gestore ha fatto).
Il parere è chiaro, così come quello della sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale sul primo referendum, e dà pienamente ragione alle tesi sostenute dalle associazioni che animano il Forum per l’acqua sin dal giorno dopo la vittoria referendaria: l’abrogazione del famigerato 7%, introdotto per la prima volta nell’ordinamento giuridico con un decreto ministeriale del 1 agosto 1996 e successivamente ripreso dall’art. 154 del Decreto Ambientale poi sottoposta a referendum, aveva effetto immediato. Infatti, così recita il parere: “l’applicazione fatta dello stesso decreto 1° agosto 1996 a far data dal giorno (21 luglio 2011) in cui il referendum del 12 e 13 giugno ha prodotto effetti non sia stata coerente... con il quadro normativo risultante dalla consultazione referendaria”.
Ma l’Autorità non ci sta. Il 31 gennaio scorso ha adottato una delibera, la 38 del 2013, tramite la quale, a suo modo, ha inteso recepire il parere del Consiglio di Stato.
Nella delibera l’Autorità segnala “il proprio intendimento di operare, con riferimento al lasso temporale 21 luglio 2011 – 31 dicembre 2011, in attuazione degli esiti referendari, nel rispetto del full cost recovery, il recupero della quota parte della remunerazione del capitale investito indebitamente versata dagli utenti finali [...]”. Si fa riferimento al solo periodo 21 luglio-31 dicembre 2011, perchè per il 2012 e 2013 sarebbe in vigore il Metodo Tariffario Transitorio citato in precedenza, con cui, come abbiamo già argomentato, l’Autorità ha reinserito sotto mentite spoglie la remunerazione del capitale investito per una percentuale pari al 6,4%.
Così, l’Autorità, nell’individuazione della quota parte di tariffa da restituire agli utenti finali, preannuncia di voler adottare dei criteri metodologici secondo cui la restituzione spettante agli utenti sarebbe calcolata come differenza tra le tariffe realmente applicate negli ultimi 5 mesi del 2011 e quelle che scaturiranno dal Metodo Tariffario Transitorio: di conseguenza si definirebbero in modo forfettario gli importi indebitamente versati da ciascun utente come differenza tra la remunerazione applicata nel periodo 21 luglio 2011 – 21 dicembre 2011 (7%) e il famigerato 6,4% del Metodo Tariffario Transitorio. Tali criteri, se confermati, risulterebbero del tutto illegittimi, visto che in realtà, la restituzione da far tornare agli utenti non può che essere quella ingiustamente percepita da parte dei soggetti gestori relativa alla continuità della voce della remunerazione del capitale investito dal 21 luglio 2011 fino all’applicazione del nuovo metodo tariffario. In caso contrario, se si seguisse la strada indicata dall’Autorità, ci troveremmo di fronte a una sorta di retroattività del nuovo sistema tariffario, come se fosse entrato in vigore dal luglio 2011, retroattività espressamente censurata dal Consiglio di Stato con varie sentenze (da ultime, vedi sentenza Consiglio di Stato, sezione VI, n. 4301 del 9 settembre 2008 e sentenza Consiglio di Stato, sezione V, n. 3920 del 30 giugno 2011) e dallo stesso Co.Vi.Ri (vedi delibera n. 7 del 1 dicembre 2008).

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