Una pace possibile?

È tempo di abbandonare un’idea dell’Africa come terra di disperazione, di fame e di continua emergenza. Quale voce di libertà e di nuova dignità arriva dal Sahel?
Francesco Martone

Questo dossier sul Mali e, più in generale sul Sahel, intende offrire una serie di spunti di riflessione e analisi su alcune questioni paradigmatiche che attraversano la regione, da quella dell’emergenza umanitaria a quella dei profughi e rifugiati, alle politiche repressive verso i migranti “esternalizzate” al di fuori dei confini nazionali o meno, alla crescente “securitizzazione” della presenza internazionale.
Come in ogni situazione di crisi, gli elementi e le concause si intrecciano indissolubilmente: crisi alimentare e climatica, migrazioni interne, indebolimento delle strutture statuali, effetto domino di altre crisi, spinte centrifughe, presenza di attori non statuali e forze paramilitari. In questo caso specifico anche di formazioni jihadiste e qaediste.

Dalla Libia al Mali
Indubbiamente la crisi nel Sahel va affrontata in maniera “olistica” in un approccio che, accanto all’emergenza umanitaria, veda anche la necessità di assicurare il rispetto dei diritti delle persone, il ruolo delle donne, e la ricostruzione di quella che, con un termine asettico, viene definita “governance”. Un equilibio assai delicato e complesso, nel quale si rischia di spostare il pendolo verso soluzioni tampone, dettate più dall’urgenza e dalla convenienza politica che dalla lungimiranza. Solo in seguito alla decisione francese di intervenire in Mali con l’operazione Serval il Sahel è tornato all’attenzione dell’opinione pubblica italiana, ormai forse fin troppo assuefatta a una visione dell’Africa come terra di disperazione e fame e di continua emergenza. Così il Mali ha fatto anche capolino nel dibattito politico nazionale, in occasione della discussione sull’invio di addestratori italiani nella missione di addestramento EUTM dell’Unione Europea, e sulle successive dichiarazioni sulla eventuale fornitura – mai avvenuta – di supporto logistico alle operazioni francesi da parte del governo Monti.
L’operazione “Serval” a suo tempo ha ridefinito i termini del dibattito internazionale e delle modalità d’impegno del nostro Paese, che si vede coinvolto in una vicenda dai tratti incerti e dalle prospettive tuttora poco chiare in termini politici e strategici. Oggi in Mali la comunità internazionale si trova a fare i conti anche con gli effetti dell’intervento in Libia, con uno “spillover” dovuto all’affluenza di armi e miliziani nelle zone di frontiera. Una situazione complessa, che avrebbe richiesto fin da subito un’approccio ampio, al di là dell’opzione militare, per riportare legalità, risolvere l’emergenza umanitaria, aprire, come anche raccomandato dalla risoluzione 2085 approvata a dicembre dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la strada a percorsi negoziali tra le varie parti in causa e per la riforma delle istituzioni del Paese. Vale la pena di ricordare che ad aprile 2013 erano previste elezioni politiche per provare a voltare pagina dopo mesi di instabilità, e di controllo più o meno diretto della vita politica da parte dei militari. Ora la data prevista è per la metà di luglio del 2013.
L’intervento francese ha a suo tempo rischiato di vanificare la soluzione politica portando a una situazione esplosiva in tutto il Paese, e non solo nel Nord occupato dalle varie formazioni jihadiste e qaediste oltre che dalle milizie tuareg. A Sud, a Bamako, il Mali è uno Stato quasi inesistente dopo il colpo di Stato dei militari che, nel dicembre dello scorso anno, hanno arrestato il primo ministro Diarra, a capo di un governo civile succeduto alla giunta militare e che, in seguito, ha rassegnato le sue dimissioni. La situazione in Mali e nel Sahel era da tempo diventata a rischio, e proprio per la sua complessità avrebbe richiesto – come più volte raccomandato dal Segretario Generale dell’ONU – massima prudenza per evitare di far precipitare la situazione attraverso un intervento militare in tempi stretti.
Ciononostante, la Francia è entrata in Mali via terra e aria, scavalcando l’Europa, e prendendo da sola l’iniziativa. Con l’operazione Serval, Hollande ha lanciato una nuova modalità, quella dell’intervento unilaterale, al quale far seguire la costruzione di una coalizione internazionale e, nel corso delle ore, la natura e l’obiettivo stesso dell’intervento sono andati mutando. Da difesa della linea del fronte per tamponare l’avanzata delle armate qaediste verso Bamako, in attesa del contingente panafricano, ad aggressiva campagna di aria e terra.
La campagna terra-aria delle forze francesi ha incontrato inizialmente una scarsa resistenza nelle zone del Nord, seppur resta forte la minaccia rappresentata dalle forze qaediste e jihadiste impegnate ora in una guerriglia che rischia di protrarsi a lungo e allargarsi alle regioni contingue, dove è gia forte la presenza di forze qaediste da una parte e di consiglieri e osservatori militari europei e statunitensi. Secondo molti osservatori, la guerra in Mali continuerà per molto tempo ancora con il suo carico di crimini di guerra e di informazione “embedded”, che diluisce la portata effettiva del conflitto.

Missione ONU
Più di recente, a fine aprile 2013, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato l’invio di una “missione multidimensionale di stabilizzazione integrata” composta da 11200 soldati e 1440 poliziotti, e che prenderà il posto della missione panafricana AFISMA.
MINUSMA, questo il nome della missione ONU, inizierà le sue attività dal primo luglio e sarà composta da forze armate messe a disposizione dgli Stati membri. Il mandato di MINUSMA è di usare ogni mezzo per sostenere le autorità transitorie in Mali, stabilizzare i centri abitati e prevenire minacce soprattutto nelle regioni del Nord e sostenere la ricostruzione del settore della sicurezza. Accanto alle forze MINUSMA opereranno i contingenti francesi in una missione dalle regole d’ingaggio decisamente più “aggressive” visto che le stesse potranno intervenire in sostegno a MINUSMA quando questa si trovi sotto minaccia seria e imminente. Il Consiglio di Sicurezza ha poi definito le responsabilità per l’attuazione della roadmap verso la democratizzazione e la stabilizzazione del Paese, la protezione dei civili e dei diritti umani. MINUSMA sosterrà anche le autorità nazionali nel perseguire i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Mali nel corso del conflitto.
Si chiede, inoltre, che le forze ribelli depongano le armi e interrompano ogni legame con le forze jihadiste e quaediste, AQIM, MOJWA e Ansar Eddine, invitando a partecipare a un processo negoziale sotto impulso del Segretario Generale e del nominando Rappresentante Speciale per il Mali.
Accanto all’azione del Consiglio di Sicurezza vale la pena di ricordare quella dell’inviato speciale per il Sahel Romano Prodi che, tra l’altro, ha lanciato la proposta di un Fondo globale per il Sahel. Il 9 aprile scorso si è poi tenuta una Conferenza di Alto Livello sulla Leadership delle Donne nella regione del Sahel nella quale si è fatto appello alla massima partecipazione delle donne nei processi internazionali e nei negoziati di pace nel Sahel, oltre che all’aumento delle risorse di cooperazione in sostegno ai diritti ed all’”empowerment” delle donne nella regione. Ci si augura che il nuovo governo, e il ministro degli Esteri Bonino, segnino un cambio di passo verso questa direzione, e privilegino l’azione della cooperazione e il sostegno alla dimensione di genere e ai processi di riconciliazione e “peace-building” dal basso piuttosto che cedere alle tentazioni di un approccio securitario che vede nella dimensione militare l’elemento prioritario di ogni forma di iniziativa verso il Sahel.
Nel maggio scorso, nel corso di una conferenza internazionale dei donatori, Unione Europea, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e altri Paesi si sono impegnati a stanziare oltre 3,25 miliardi di euro per aiuti al governo del Mali, per la ricostruzione e le infrastrutture. Un impegno notevole visto che il costo totale dei piani di sostegno e ricostruzione per il Mali ammontano a 4,34 milioni di euro.
Sempre nel maggio scorso è stato nominato l’inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il Mali, l’olandese, già ministro della cooperazione, Bert Koenders.

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