TESTIMONI

La normalità di un giusto

La beatificazione di Odo Focherini: dall’impegno quotidiano alla cura dell’altro anche in condizioni estreme. Come il carcere e il campo di concentramento.
Brunetto Salvarani (direttore Cem Mondialità )

Il 15 giugno 2013, in quella Piazza Martiri immancabilmente definita dalle guide turistiche vasta e scenografica, la città e la diocesi di Carpi (provincia di Modena) vivranno la gioia di veder riconosciuto beato un loro figlio illustre, Odoardo Focherini (1907-1944). L’evento non avverrà nella cattedrale, chiusa a tempo indeterminato dopo le scosse del sisma di un anno fa, che hanno consegnato a questa terra, all’epoca, il triste primato di diocesi più terremotata d’Italia.

Giusto fra le nazioni
La normalità di un giusto, uno di quei 36 su cui, secondo un’antica tradizione ebraica, poggia il mondo intero: con uno slogan, si potrebbe presentare così la vita di Odoardo Focherini. Che, in effetti, fu proclamato dal governo di Israele nel 1969 Giusto fra le nazioni: onorificenza dovuta per uno che, come lui, tra il 1943 e il 1944 salvò oltre un centinaio di ebrei destinati ai lager nazisti, pagando tutto ciò con la sua stessa vita. Ma ciò avvenne nel pieno di un’esistenza alla fine normale, almeno per quell’epoca che di normale, in realtà, ebbe ben poco.
Eppure quest’uomo normale seppe, in un dato momento della sua breve esistenza, compiere dei gesti anormali: il passaggio all’anormalità della carità radicale segnò, da una parte, la sua condanna a morte, ma dall’altra rappresentò la salvezza insperata per decine di altre persone, la cui unica colpa era quella di essere marchiate come etnicamente inferiori. Il tutto, si badi, oltre vent’anni prima di quando la sua Chiesa, con la dichiarazione conciliare Nostra aetate, avrebbe riconosciuto in loro dei fratelli nella fede, ammettendo nel contempo il suo lungo insegnamento del disprezzo (J. Isaac) operato nei loro confronti.

La vita
Odoardo ebbe tre fratelli, frutto dei matrimoni del padre Tobia Focherini con Maria Bertacchini, morta nel 1909, e con Teresa Merighi, che gli fece da mamma. Il papà è originario della Val di Sole, nel Trentino, la famiglia è emigrata dopo la chiusura delle miniere di Fucine; in Emilia egli apre un negozio di ferramenta, cui darà una mano anche il giovane Odo (come lo chiamano tutti), dopo le scuole tecniche.
A quel tempo frequenta, come tanti ragazzi carpigiani, la vita dell’oratorio, dove incontra don Armando Benatti, apostolo della gioventù, che si occupa dei suoi studi e della sua formazione religiosa, e don Zeno Saltini, avvocato e in seguito presbitero e fondatore di Nomadelfia, che gli instilla una forte passione per la vita pubblica e sociale.
Nel 1924, neppure ventenne, è tra i fondatori de L’Aspirante, il primo giornale cattolico per ragazzi, che diventerà mezzo di collegamento nazionale giovanile dell’Azione Cattolica in Italia. Si sposa con Maria Marchesi (1909-1989) nel 1930, da cui avrà ben sette figli. Dal 1934 inizia a lavorare nella Società Cattolica di Assicurazioni di Verona, con il ruolo di ispettore per le zone di Modena, Bologna e Ferrara; il suo tempo libero è dedicato ad attività apostoliche, come conferenze sociali e religiose, congressi eucaristici diocesani, filodrammatica e alla guida di una società ciclistica. In quegli anni promuove anche il movimento scout in città; è cronista per la diocesi in diverse testate, mentre prosegue il suo febbrile impegno nell’Azione Cattolica, dalla presidenza della Federazione Giovanile Maschile (1927), a quella diocesana (1934). Nel 1939 diviene amministratore delegato del quotidiano L’Avvenire d’Italia nell’allora sede di Bologna, sorretto dalla fraterna amicizia di Raimondo Manzini, il direttore. Nasce così un forte legame: Odo considera il giornale come creatura viva da amare e proteggere. Tutte queste attività lo portano a viaggiare e a scrutare di persona la difficile realtà italiana sotto la dittatura fascista e, ancor più, durante la guerra. È in questi mesi che egli incontra Giacomo Lampronti, giornalista disoccupato perché razzialmente ebreo e, con un sotterfugio, lo assume al quotidiano.
Nel 1942 Manzini gli affida l’incarico di mettere al sicuro alcuni ebrei polacchi, giunti in Italia con un treno della Croce Rossa e inviati a Bologna dal cardinal Boetto, arcivescovo di Genova. Inizia così un’intensa attività di Focherini a favore degli ebrei che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, avvio dell’intensificazione delle deportazioni razziali, diventa una rete per l’espatrio verso la Svizzera. Trovato un fidato amico e compagno in don Dante Sala – parroco di S. Martino Spino di Mirandola (MO) – Odoardo procura i primi documenti all’amico Lampronti e alla sua famiglia. La notizia di questa sicura possibilità di salvezza si diffonde tra i perseguitati, e più di cento persone si rivolgono a Focherini e a don Sala.
L’11 marzo 1944 si reca in visita presso l’ospedale carpigiano, dov’è rifugiato l’ebreo Enrico Donati, per organizzarne la fuga verso la Svizzera: sarà l’ultimo da lui salvato. Qui l’attende il reggente del Fascio locale che l’invita a seguirlo con urgenza dal questore di Modena.
Giunto in Questura, gli è comunicato che è in arresto e viene rinchiuso nelle carceri bolognesi di S. Giovanni in Monte.

Il carcere
Il 5 luglio 1944 è trasferito al campo di Fossoli, frazione di Carpi, dove è rinchiuso anche Primo Levi: vi rimane un mese, poi è deportato nel campo di Gries (Bolzano), dove fra l’altro incontra l’amico Servo di Dio Teresio Olivelli. Purtroppo quello che temeva si avvera: il 5 settembre 1944, arriva un altro trasferimento a Flossenburg, in Baviera, uno dei più vasti campi di lavoro e sterminio nazisti. Dopo un mese è inviato a Hersbruck, presso Norimberga, dove una ferita non curata a una gamba gli procura una grave setticemia, che lo porterà alla morte il 27 dicembre 1944.
Di quei terribili mesi ci resta una testimonianza preziosa: il corpus delle lettere che Odoardo, clandestinamente e non, ha fatto pervenire alla moglie, alla mamma, agli amici. Mille stratagemmi per continuare a comunicare con i cari, nonostante tutto: segnate tutte da una profonda cura per l’altro. Testi la cui lettura aiuta a conservare viva la memoria dell’offesa, nella speranza che – secondo la formula di Primo Levi – quanto è accaduto in quegli anni non abbia ad accadere di nuovo.
Nel 1996 la Santa Sede concede il nullaosta per il processo diocesano in vista della beatificazione di Focherini, conclusosi nel 1998. Nel 2007, nel centenario della sua nascita, il presidente Napolitano consegna “in sua memoria”, alla figlia maggiore Olga, la medaglia d’oro al valore civile. E ora, il riconoscimento ufficiale da parte della sua Chiesa: ma soprattutto l’occasione per tener vivo il ricordo potente di un giusto.
Un laico cristiano sempre con la Bibbia in una mano e il giornale nell’altra.

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