Ciao, Andrea
Ho conosciuto per la prima volta don Gallo solo nel 1985, quando arrivò una sua telefonata di solidarietà per l’editoriale di Nigrizia: “Il volto italiano della fame africana”, che aveva scatenato la rabbia dei grandi politici di allora. Don Gallo mi invitò a Genova a parlare alla sua comunità. Accettai e ne nacque un’amicizia che è durata una vita.
Mi fu molto vicino quando nel 1987 fui silurato dalla direzione di Nigrizia. E mi fu ancora più vicino quando vissi per 12 anni nei sotterranei della vita e della storia a Korogocho, baraccopoli di Nairobi. Ho potuto conoscerlo più profondamente quando andai a Genova nel 2011, per il 10° anniversario del G8 (don Gallo era stato a fianco del grande movimento di cittadinanza attiva, venuto a Genova nel 2001 per urlare che un altro mondo è possibile). A Genova fui ospite suo e della sua simpatica comunità di S. Benedetto del Porto, animata da quella ‘colonna’ che è Lilly. Raramente nella mia vita mi sono sentito così a casa in una comunità composta da persone così diverse. Era questo il carisma straordinario di don Gallo: accogliere tutti. “Se ciascuno di noi riconosce la sua appartenenza a questa comunità, senza nessuna distinzione di razza, di religione, di sesso, superando tutte le discriminazioni – diceva qualche mese fa don Andrea – allora diventiamo veramente uomini e camminiamo insieme verso l’obiettivo comune di una civiltà che, grazie all’impegno personale, rendiamo a misura d’uomo”.
Per questo, don Gallo ritiene fondamentale la scelta della nonviolenza, svolta fondamentale dell’umanità, nonviolenza che vuol dire pacifismo attivo, l’unica strada per vincere.
E don Gallo aggiungeva: “Il male grida forte e tutti si accorgono della realtà, ma la speranza in un mondo migliore è ancora più forte e proprio attraverso l’umano, donando la propria vita”.
Accogliere l’altro, il diverso, la nonviolenza attiva sono le parole che più raccolgono il pensiero e la vita di quest’uomo appassionato di Gesù e del Vangelo. La critica che rivolgeva alla Chiesa, nasceva sempre dalla sua passione per quel Sogno di Gesù, che esige una ‘Chiesa povera per i poveri’, usando le parole di papa Francesco.
Don Gallo è stato soprattutto un prete – ha scritto Alessandro Santagata – un prete di quel Concilio da lui interpretato come l’annuncio di una rivoluzione terrena che rimprovera al ‘sistema di potere romano’ di averlo voluto affossare”. Per questo si può affermare che don Gallo non è prete del cosiddetto ‘dissenso cattolico’. Don Andrea ha sempre vissuto con passione la sua vocazione di sacerdote vicino agli ultimi, agli impoveriti, agli operai, ai tossicodipendenti, ai carcerati, alle prostitute, a tutti coloro che vivono ai margini, perché ha visto in questi il volto di Cristo, il corpo di Cristo: “Avevo fame… avevo sete… ero carcerato…”.
Don Andrea è stato appassionato di Gesù e dei poveri, una passione che lo ha portato a rimettere in radicale discussione il sistema economico-finanziario che crea sempre più poveri ed emarginati.
È questa passione per l’uomo, per l’ultimo, che lo ha portato sulle strade, sulle piazze, nelle scuole di tutt’Italia. E non per contestare, ma per far ripartire un movimento dal basso che rimettesse in discussione il sistema. “L’unico epiteto che mi dà fastidio è quando mi dicono che sono un contestatore – ha detto in un’intervista a Stefano Massimi – Eh,no! Io sono in casa, sento l’amore per la mia casa, la Chiesa, e allora cerco il dialogo, voglio essere ascoltato, propugno il confronto ad ogni costo, l’incontro con i fratelli e le sorelle. Nelle sacrestie ci si lamenta e allora ci si rassegna, ci si deprime. Eh,no! Non taccio! So che le pietre che lancio mi bruciano le mani, vuol dire che il contenuto è valido. E se ci sono delle lacune, allora mi assumo le mie responsabilità e dico, nella mia Chiesa, correggetemi”.
Ciao, Andrea, mio compagno di viaggio in questi anni così difficili! Ti ricorderò sempre in quell’abbraccio che mi ha hai dato nell’Eucaristia che abbiamo celebrato a Genova.
Grazie di cuore, don Andrea!