PAROLA A RISCHIO

Il grido di Bartimeo

Anche oggi il nonviolento è colui che cerca di conoscere le ingiustizie che si compiono vicino e lontano e se ne fa eco.
Tonio Dell'Olio

Marco 10, 47-48: Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo sgridavano per farlo tacere.

Gridare e sgridare. Verbi vicini di casa e lessicalmente tanto somiglianti ma così differenti nel loro significato. Gridare è il moto spontaneo del respiro che (c) Olympia ingorga la gola nell’istante in cui il dolore si fa insopportabile; è l’ultimo barlume di luce che cede il passo alla disperazione. Oppure il grido è l’appello affidato all’aria, ovvero a un respiro più grande, come brandello estremo di speranza. Chissà, forse questa sorta di affidamento “cieco” è già il segno di una fede in qualcuno o qualcosa che abbia orecchio e cuore, in una mano che sollevi dalla polvere un dolore che sembra non avere fine. Oppure l’estremo tentativo di sollevare in alto il suono lancinante di una sirena nel mare in tempesta: un’altra voce potrà raccoglierlo per farsene eco. Se pur non si conosce l’origine remota o il fine inconsapevole e ultimo del grido di dolore, è sicuro che esso non è mai il frutto di un calcolo ragionato e ponderato, di una mossa prevista e consapevole ma, al contrario, è puro istinto tanto che sembra arrivare diretta mente dal dolore alla bocca bypassando l’area cerebrale.

Sgridare
Esattamente il contrario di quello che avviene nell’atto dello sgridare in cui il soggetto è sempre più in alto di colui che viene richiamato. Si sgridano i bambini da parte degli adulti. Semmai camuffato secondo convenzioni e ipocrisie sociali, il capo sgrida i subalterni nell’esercito come nell’ufficio e nella chiesa gerarchica. Nel caso di Bartimeo, ultimo gradino della scala sociale, chiunque avrebbe potuto permettersi di sgridarlo. Anche un bambino! Anche fisicamente parlando, Bartimeo che “sedeva lungo la strada a mendicare” è il più in basso di tutti e di conseguenza tutti possono arrogarsi il diritto di sgridarlo. Ma sgridare è come smorzare un grido. Non è soltanto ignorarlo o non prenderlo in considerazione o far finta di non averlo mai sentito. A differenza del gridare, sgridare è sempre alzare la voce contro qualcun altro. Sgridare è fare in modo che questo secondo urlo, calcolato e freddo, prevalga sul primo, lo sovrasti, ne annulli l’effetto, ne castri alla radice le possibilità che altri possano ascoltarlo, farsene eco, accoglierlo come un segnale di pericolo…
D’altra parte anche l’espressione lessicale denuncia una sorta di opposizione e lo sgridare si oppone al gridare. Per questo motivo il testo biblico non si limita ad annotare che “molti lo sgridavano”, ma aggiunge che “lo sgridavano per farlo tacere”. A scanso di equivoci, l’intenzione dei “molti” è espressa in maniera chiara: essi non vogliono che Bartimeo urli. Pretendono che il suo dolore taccia inespresso, eternamente inchiodato al ciglio della strada. Hanno l’animo ben disposto a lasciar scivolare dalle loro tasche (più o meno traboccanti di spiccioli) un soldo di elemosina: ma purché stia zitto e non rompa la quiete dell’ordine costituito. Un povero può ricevere la nostra carità ma non deve gridare il suo dolore. Può chiedere aiuto purché lo faccia in silenzio. Elemosini pure, ma non denunci il sistema di ingiustizia da cui quella sua situazione è stata generata. Potrebbe succedere che quella denuncia investa anche qualche anima generosa che tante volte si è chinata su di lui per lasciarsi andare a una lauta elemosina!
Quanta tristezza nel registrare che di recente ai poveri venga proibito anche di elemosinare e che il senso del grido sia addirittura retrocesso. Anche la presenza di un accattone sulle scalinate di marmo di un antico tempio è considerato un grido che si leva a danneggiare l’immagine patinata delle nostre città che si offrono ai turisti danarosi. Portano valuta pregiata nelle casse dei commercianti e non possono subire il deterrente della presenza dei barboni! Ma tornando a Bartimeo, ciò che mi preoccupa particolarmente nell’esposizione dei fatti che ne fa Marco non è la considerazione che c’è chi sgrida colui che grida, quanto che siano in molti a farlo! L’espressione molti indica la maggioranza e forse anche i discepoli che accompagnavano Gesù e che già altre volte si erano distinti per eccesso di zelo nel voler garantire l’ordine. Ricordate l’episodio dei bambini? “Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano” (Mc 10,13).

Per una spiritualità della nonviolenza
Un elemento base per un’autentica spiritualità della nonviolenza sembrerebbe quello di non sgridare mai nessuno. Gridare sì, se questo ha il sapore biblico della preghiera e della denuncia, ma sgridare mai. Ma ancora di più il nonviolento è chiamato ad ascoltare il grido del povero come Dio stesso mostra di fare continuamente anche nella storia biblica: “Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano” (Es 3,9).
Dobbiamo fare in modo che il grido degli oppressi giunga alle nostre orecchie piuttosto che spegnerlo. Ma ancora di più dobbiamo farci eco di quel grido. (c) Olympia Fare in modo che giunga a tutti, che risuoni come richiamo alle coscienze, che renda consapevoli e attenti. Informarsi e informare, per il nonviolento non è mai un optional ma un’esigenza concreta e reale. Per questo dobbiamo andare a cercare le situazioni di ingiustizia e di oppressione il cui grido è soffocato o i cui protagonisti non hanno nemmeno la forza di gridare e di far giungere la voce fino a noi. Andare incontro al grido non vuol dire sempre e necessariamente avere la capacità e la forza di tamponare, lenire, curare, risolvere il dolore, ma può essere più semplicemente unirsi al grido affinché si trasformi da lamento in protesta, da pianto in denuncia.
Una sfida del mondo nonviolento oggi è sicuramente quella di ascoltare per passare voce. In modo differente da come avviene con i grandi mezzi di comunicazione, riconoscendo i volti e le storie, dando un nome proprio di persona ai drammi che si consumano in tanti angoli del pianeta. Il grido è la forza dei poveri e lo strumento dei nonviolenti per chiamare a nuove responsabilità le coscienze di tutti; per mettere a nudo i perversi progetti di morte che condannano alla croce intere popolazioni e riducono al silenzio la denuncia legittima dell’ingiustizia. La nonviolenza che sa ascoltare si accorge anche del grido senza clamore fatto di gesti e di sguardi di chi ci sta accanto e non osa turbare i silenzi.

Caro Bartimeo, il tuo grido ha attraversato i secoli per giungere fino a noi visitandoci mentre abbiamo il ventre gonfio a sazietà, gli occhi colmi di banalità e le orecchie traboccanti di parole inutili. Come potremo trovare spazio per questo urlo infinito che sgorga puro dal tuo dolore? Forse che il segreto per intercettare il grido e comprenderlo fino in fondo sta nella nostra stessa esperienza di dolore? Dovremo rassegnarci a quel proverbio che sentenzia che: il sazio non presta fede all’affamato? Sarà per questo che al contrario il Figlio di Davide cui ti sei rivolto, ha spalancato la sua vita alla tua? Anch’egli un giorno griderà con urlo disperato e inascoltato: “Ma Gesù, dando un forte grido, spirò” (Mc 15, 37). In questo modo la sua croce diventa l’antenna innalzata sul cuore del mondo per tutte le urla degli oppressi della storia. Da quel Venerdì Santo ogni grido si dirige verso il Golgota per poter essere accolto e comunicato alla folla di donne, uomini e bambini che scommettono ogni giorno sulla speranza, che percorrono i tornanti della nonviolenza lottando per il completo riscatto d’ogni persona.

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