PAROLA A RISCHIO

Le parole della politica

Tra profezia e propaganda, che cosa vuol dire oggi per un cristiano fare laicamente politica?
Rosario Giuè

In un tempo di globalizzazione, c’è spazio per un fecondo rapporto tra profezia e politica? Nel sentire comune spesso prevale una concezione secondo la quale la “profezia” sarebbe qualcosa di nobile, mentre la “politica” lo sarebbe molto di meno o per nulla. Può accadere che il “profeta” magari sia irriso perché ritenuto visionario, ma comunque gode in genere di rispetto, anche da parte dei nemici. Invece il “politico” magari è usato, ma di rispetto ne ha davvero poco. Tra la profezia e la politica si coglie sempre una separazione quasi mai superata. In realtà l’azione profetica e l’azione politica non sono separabili perché nessuna delle due è fine a stessa, ma entrambe sono in vista di qualcosa che le oltrepassa.

Il mandorlo e il fuoco
La profezia non riguarda solo la denuncia di cosa non va bene, dei peccati del popolo e dei governanti. Certo anche questo. Ma essa riguarda, credo, essenzialmente la speranza di una comunità. Il profeta è capace di annunciare concretamente la salvezza nella misura in cui sa spingere a operare per andare verso una nuova alba. Sperare un’altra terra, una società altra, così come una Chiesa altra. È il caso di ricordare che il profeta Geremia è chiamato da Dio “per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere”, ma anche “per edificare e piantare” (Ger 1,119). Quando Dio gli chiede cosa vede, egli risponde che vede un mandorlo e il fuoco. Il fuoco indica la caldaia che sta per abbattersi come giudizio su Israele, il mandorlo in fiore è la fiducia che la parola di Dio, più laicamente, la visione profetica, si realizzerà.
Giovanni Battista è l’ultimo dei profeti che esprime un messaggio caratterizzato più dall’abbattere che dall’edificare. Gesù, invece, si presenta come il profeta dei “tempi nuovi”, dei tempi messianici: dell’adempimento. Il Messia inaugura un’era più centrata sulla costruzione di un nuovo regno. Con questo programma inaugura il suo ministero, quando nella sinagoga legge il rotolo di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione; e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, per predicare un anno di grazia del Signore” (Luca 4,18 19). Anche l’annuncio delle beatitudini va in questa direzione: “Beati gli afflitti, i miti, i poveri, i misericordiosi, i puri, i perseguitati” (Matteo 5,212). La profezia così si fa sostegno, consolazione, prospettiva di liberazione, più che minaccia e denuncia.
Allora la profezia è l’esternazione della speranza che si ha dentro e che si vuole condividere nel cammino comune del popolo. È il rendere manifesto che si possono fare le cose dando a esse un senso diverso e migliore e che insieme è possibile trovare la forza per realizzarle. Ecco che allora la profezia non è solo visione critica. Profezia è più ancora spinta alla speranza all’interno della ricerca, del cammino e dell’azione collettivi. È una parola di speranza che si fonda su una fiducia di fondo: che è possibile raggiungere quella terra nuova. Questa fiducia si radica nel cuore umano ed è quasi indomabile. Sul piano della fede queste radice di speranza è sostenuta dalla parola della Promessa. Il profeta, uomo o donna che sia, è portatore di una speranza che è sostenuta ogni giorno da un porzione di manna da attendere e cercare ogni mattina, nella fatica del deserto (Esodo 16). La profezia come speranza non ha nulla, perciò, a che fare con la sicurezza o con un ottimismo facile. È un cammino a volte penoso, che lascia delusi, che può fare cadere le braccia.
Nel suo rapporto con la politica la profezia è un appello, l’invito urgente a tenere alto lo sguardo verso il fine. Ma è un appello compassionevole, che si fa compagnia della politica, che aiuta e sostiene a vivere il presente a partire dal fine delle cose. La profezia è il suggerire che è possibile farcela; è farsi sostegno dell’azione politica, non sua antagonista. Questo significa che la profezia non è solo il gridare alla politica, il rimproverare la politica, il protestare e lamentare. In certe circostanze è anche questo. Ma non è la cosa più significativa, pur se essenziale. Il profeta che ama il suo popolo è quello che si fa carico, umilmente, di rendere al politico ragionevole il percorrere la strada verso un senso nuovo e migliore. Il profeta avverte, perciò, la responsabilità che le sue parole non appaiano pretestuose, forse eleganti, ma inutilizzabili.

Parliamo di condono
Se ci mettiamo dal punto di vista del politico in rapporto alla profezia, vediamo che la politica è il lavoro continuo per avvicinare l’adempimento della visione, nella consapevolezza che la pienezza di tale adempimento è ancora da cercare. La politica lavora perché l’oggi sia già il domani anticipato, ma sapendo che del domani, dell’adempimento della visione profetica, non si ha la disponibilità piena.
Allora, mentre la profezia della speranza spinge e sostiene la politica dell’amore come adempimento della realizzazione della liberazione umana, la politica si fa carico del grido profetico nello sforzo di umanizzare i processi economici e sociali, con la fatica, la dedizione personale e gli strumenti organizzativi più utili e adatti ai tempi che cambiano.
Ciò che riguarda una politica aperta alla profezia, più di tutto, sono le scelte di governo di ogni giorno. Ora, la scelta del condono edilizio per fare cassa, ad esempio, non va in quella direzione. Mortificare il senso dello Stato dei cittadini onesti e di quegli amministratori coraggiosi che si sono esposti pur di fare rispettare le leggi non è un agire politico aperto alla profezia. Premiare i furbi con la conseguenza di incoraggiare altri a farsi beffa della legge per il futuro non è istigare a delinquere?
Nel passato, quando si preparavano i condoni edilizi, almeno si agitava l’alibi dell’abusivismo per necessità. Si diceva che era giusto permettere a tutti di avere una casa e via di questo passo. Spesso era soltanto un alibi, comunque lo si agitava. Ora niente. L’unica motivazione che muove è fare soldi per tenere i conti in ordine. Le imposte non si possono aumentare. Fare tagli di spesa è impopolare. L’unica cosa che sembra facile da fare è quella di premiare gli abusivi per recuperare nell’immediato qualche miliardo di euro.
Con la sanatoria edilizia, non si è davanti a una scelta tra mediazioni culturali diverse e legittime per attuare i valori civili e costituzionali condivisi. Con la sanatoria edilizia lo Stato rinuncia a una politica territoriale in una prospettiva di sviluppo. La politica dei condoni non solo non è nella prospettiva profetica, ma porta a distruggere le possibilità di sviluppo economico specialmente in un territorio, quale è l’Italia, a vocazione culturale e turistica.
Nella sua prolusione all’ultimo Consiglio permanente della C.E.I. il cardinale Ruini ha parlato di tante cose ma, purtroppo, ha omesso di denunciare il progettato condono edilizio. Ci si spende in difesa di classici temi “cattolici”: della famiglia cattolica, degli insegnanti di religione, dell’embrione e della fecondazione artificiale, della scuola. Ma in difesa dell’ambiente no: quello non è, ancora ritenuto un bene, un valore che una coscienza cattolica moderna e responsabile dovrebbe difendere con puntualità.
L’abusivismo non è ancora classificato come un “peccato cattolico” . Sì, l’ambiente è considerato un valore, ma in una prospettiva di politica laica. Non è visto come un “nostro” cavallo di battaglia politica. La profezia, qui, può attendere? Della profezia come speranza oggi la politica ha bisogno più che mai sia in Italia che a livello globale. Senza la politica la profezia non può liberare realmente nessuno. Solo in un intreccio fecondo, attento, tra profezia e politica, nel rispetto della fatica dell’altro è possibile costruire fatti nuovi.

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