Verso una giustizia europea
“1. La rete ha il compito di:
a) agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia civile e commerciale, compresi l’ideazione, la progressiva predisposizione e l’aggiornamento di un sistema d’informazione destinato ai membri della rete;
b) ideare, predisporre progressivamente e tenere aggiornato un sistema d’informazione accessibile al pubblico.
2. Fatti salvi gli altri atti comunitari o strumenti internazionali relativi alla cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, la rete sviluppa le proprie attività in particolare con le finalità seguenti:
a) assicurare il corretto svolgimento dei procedimenti con risvolti transnazionali e agevolare le richieste di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, in particolare ove non si applichi alcun atto comunitario o strumento internazionale;
b) garantire un’applicazione effettiva e pratica degli atti comunitari o delle convenzioni vigenti tra due o più Stati membri;
c) predisporre e alimentare un sistema d’informazione, destinato al pubblico, sulla cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale all’interno dell’Unione europea, sugli strumenti comunitari e internazionali pertinenti, nonché sul diritto interno degli Stati membri, con particolare riferimento all’accesso alla giustizia”.
(Decisione del Consiglio dell’Unione Europea del 28 maggio 2001)
Dopo Maastricht
È affermazione ricorrente, e purtroppo sempre vera, che molti delinquenti e delitti possono ormai circolare senza problemi per tutto il territorio dei 15 Paesi dell’Unione – 25 a partire dal 1° maggio 2004 – mentre i poliziotti, i magistrati e le leggi devono fermarsi ai confini nazionali. Il primo importante segnale dell’impegno per ridurre lo scarto di efficienza e velocità tra illegalità e legalità risale al Trattato di Maastricht del febbraio 1992 dove in generale alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni si riconosce la funzione di vero e proprio pilastro della costruzione dell’Unione Europea. E con particolare riferimento alla cooperazione giudiziaria in materia penale, essa è espressamente riconosciuta tra le questioni di interesse comune per le quali gli Stati insieme alle istituzioni comunitarie sono chiamati a trovare soluzioni concrete ai vari problemi.
Il Trattato di Amsterdam dell’ottobre 1997 assegna alla tutela della legalità un peso ancor più strategico dal momento che il futuro dell’Unione Europea è concepito anche come uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Tale spazio ha come passaggio ineludibile la prevenzione e la repressione della criminalità, che a loro volta esigono una più stretta collaborazione fra le autorità giudiziarie e il riavvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in materia penale.
Nel periodo che va da Maastricht ad Amsterdam l’Unione Europea non rimane inerte a fronte delle chiare sollecitazioni istituzionali dei Trattati e delle ancora più forti sfide della criminalità (soprattutto organizzata ed economica). Assai numerose e importanti sono le iniziative prese sul piano comunitario anche se rimane ancora incerto il loro grado di effettività su quello nazionale. Si avverte, infatti, una certa fatica da parte dei singoli Stati a tradurre con rapidità negli ordinamenti interni le misure approvate nell’ambito delle Istituzioni comunitarie.
In estrema sintesi, le iniziative dell’ultimo decennio possono ricondursi a tre grandi categorie: di riavvicinamento delle singole legislazioni penali statali; di miglioramento delle procedure di cooperazione tra le diverse autorità giudiziarie; di creazione di strutture operative di sostegno per giudici e procuratori che debbono ricercare e acquisire prove al di fuori delle loro giurisdizioni nazionali.
La ratio del riavvicinamento è quella di assicurare su tutto il territorio dell’Unione una tutela penale tendenzialmente equivalente per determinati interessi e valori: se questa manca rischia infatti di entrare in crisi il progetto stesso di costruzione di un’Europa quale omogeneo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Non poche sono le aree di devianza per le quali gli Stati assumono l’obbligo di prevedere e punire in modo uniforme taluni gravi condotte: così la corruzione, la partecipazione a un’organizzazione criminale, la frode al bilancio comunitario, gli atti di terrorismo, il falso nummario (dell’euro), la tratta degli esseri umani.
Operare insieme
Le iniziative di migliora mento della cooperazione giudiziaria mirano invece a rendere più rapido ed efficace il dialogo operativo tra le autorità giudiziarie dei diversi Paesi, per troppo tempo concepito come un aspetto subordinato delle relazioni tra gli Stati e perciò influenzato da considerazioni politicodiplomatiche e comunque appesantito da incombenze burocratiche.
Una nuova logica sta invece lentamente emergendo e ispira le misure comunitarie in tema di estradizione e assistenza giudiziaria. La cooperazione tra giudici e procuratori va innanzitutto intesa quale questione di giustizia e come tale essa deve disporre di una propria forte autonomia: lo testimonia oggi il fatto che un magistrato possa chiedere la collaborazione di un collega di un altro Stato dell’Unione direttamente e senza dover inoltrare la domanda per le vie ministeriali.
Non solo, ma sono ormai mature le condizioni per fondare la cooperazione su un principio di reciproco affidamento dal momento che i vari sistemi di giustizia nazionale che coesistono in Europa, pur nella loro diversità, sembrano assicurare uno standard sufficientemente omogeneo di garanzie: la semplificazione della procedura di estradizione, di recente approvata con il cd. mandato di arresto europeo, si inscrive in questa tendenza, apre la strada a un più generalizzato riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie.
La terza categoria di misure adottate dall’Unione europea in tema di giustizia penale ha come motivo ispiratore quello di agevolare le autorità giudiziarie nazionali che devono svolgere attività dall’estero. È un dato di consolidata esperienza che tali attività, soprattutto per fatti di criminalità organizzata, sono rese ancor più complesse da problemi di comprensione linguistica, di conoscenza delle legislazioni coinvolte, di elaborazione di programmi d’azione, di previsione di eventuali sviluppi investigativi.
A partire dal 1996, l’Unione europea si propone di venire incontro a questi problemi operativi promuovendo la creazione di strutture di sostegno. Viene così dapprima previsto lo scambio tra gli Stati dei c.d. magistrati di collegamento il cui compito è di facilitare, nonché accelerare, tutte le forme di cooperazione in campo penale. Segue nel 1998 l’istituzione della c.d. rete giudiziaria europea, composta da autorità centrali e/o periferiche in ciascun Stato, operanti quali punti di contatto a disposizione dei magistrati, interni e stranieri, alle prese con questioni di cooperazione.
Nel 2001 inizia poi a operare Eurojust, dapprima in via provvisoria e poi dal 2002 con una configurazione definitiva: trattasi di una struttura centralizzata con sede ora a L’Aja e composta di magistrati e funzionari di polizia, le cui funzioni preminenti consistono nel sollecitare e coordinare le autorità nazionali competenti per l’esercizio dell’azione penale nonché nell’assistere le investigazioni in tema di criminalità organizzata.
Sul terreno più specifico del contrasto della frode al bilancio comunitario e della corruzione interna alle Istituzioni comunitarie va infine ricordato l’Ufficio europeo antifrode (OLAF) , istituito nel 1999: stante la dimensione criminale dei fatti cui è chiamato a indagare, ancorché servizio di inchiesta amministrativa, l’OLAF intrattiene rapporti di collaborazione e di assistenza continui con le autorità giudiziarie nazionali.
Il progetto di Trattato che istituisce una Costituzione europea, così come congedato nel luglio 2003 dalla Convenzione, conferma innanzitutto il valore strategico degli assi sui cui l’Unione, a partire dal Trattato di Maastricht, si è mossa in tema di giustizia penale: è ribadito l’obiettivo di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, come pure sono ripresi i principi di riavvicinamento delle legislazioni penali nazionali – sostanziali e processuali – e di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie. Non mancano poi elementi di novità tra cui merita di segnalare l’ampliamento delle competenze per Eurojust, che oltre a sostenere e potenziare la cooperazione giudiziaria potrà anche promuovere l’avvio di azioni penali.
E inoltre la possibilità di istituire una Procura europea per combattere la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale e i reati che ledono gli interessi dell’Unione. La prospettiva di un embrione di organizzazione di giustizia penale europea sembra così timidamente aprirsi.