Quel prete e la mafia
Scherzava volentieri su quella sigla che simpaticamente riassumeva il suo nome, 3P, cioè le sue iniziali: padre Pino Puglisi. L’ho sempre guardato con ammirazione, questo dolce ma fermo prete, che si è schierato con i piccoli e i fragili del suo quartiere, il Brancaccio, nella periferia dimenticata di Palermo, che il Cardinale Pappalardo gli aveva assegnato solo tre anni prima. Aveva fatto fatica il presule a trovare un prete per quella difficile borgata, terra di desolazione e di spavento, intrisa di mafia, segnata dalla disoccupazione e da mille problemi sociali. Non c’era una scuola media, l’unico quartiere di Palermo a non averla. Non c’erano servizi. C’erano (e ci sono, purtroppo, ancora!) tanti cosiddetti, con un termine orribile, “uomini d’onore”!
Don Pino è stato ucciso il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, il 15 settembre 1993, mentre di sera stava per rincasare. Un appartamento modesto, non lontano dalla sua parrocchia dedicata a san Gaetano. Poco più di dieci anni fa. Ne parlo proprio per questa particolare coincidenza.
Un decennio, che mi ha permesso di capire sempre più chi fosse, perché avesse scelto quel tipo di vita, come facesse il prete, perché fu ucciso. E rileggo volentieri il mio diario del 16 settembre 1993, alla notizia del delitto. Ammirato e stupito, scrivevo il mio forte dolore, da prete a prete. Sentii subito che si trattava di un martire, ma un martire umile e semplice. Mite, soprattutto, di quella mitezza che sconvolge e abbatte i potenti dai troni. Come per Maria di Nazareth.
Sento che è un modello autentico, per me e per i miei preti. E, credo, per tutte le Chiese del Sud. Modello, perché ha saputo camminare “a testa alta” e voleva che i suoi ragazzi camminassero così. Non i mafiosi, dal collare scintillante, ma i ragazzi veri, che frequentavano il Centro “Padre Nostro”, da lui creato, proprio perché ogni bambino avesse un orizzonte grande come il cielo. Perché solo quel Padre che “è nei cieli” ci permette di camminare a testa alta.
Per questo, è partito dai bambini, perché con loro si può iniziare un sentiero pulito. A loro ha insegnato le regole del gioco, da quelle del pallone a quelle dei campeggi estivi, tra il verde della Sicilia.
Non si è opposto alla mafia per una scelta volontaristica. Altri lo hanno fatto e facevano rumore. Lui, no. Lui faceva il prete. E lo face va bene, pregando, annunciando il Vangelo con chiarezza, vivendo in stile di vera povertà, libero dal denaro e dagli schemi di giudizio. Ma proprio perché era libero, faceva paura. In un mondo condizionato dal denaro o dal compromesso, solo un prete povero e libero poteva gridare e chiamare “bestie” i mafiosi. Li trattava male, li svergognava pubblicamente, per la loro viltà, perché operavano di notte, nel buio.
Diceva con chiarezza: “Chi usa la violenza non è un uomo!”.
Il 1992 era stato l’anno delle stragi. Di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. La mafia aveva potuto attaccarli perché era finita la “primavera di Palermo”. La mafia teme le coscienze. Ma purtroppo anche le coscienze si appesantiscono e si stancano. Cala la vigilanza. È difficile essere eroi tutti i giorni. E allora, la mafia, di nuovo, si rimette a lavorare con sfrontatezza.
Questo a Palermo come nella Locride. Come in tutto il resto del Sud.
Ma l’anno dopo, il 9 maggio 1993, tornava in Sicilia, ad Agrigento, Giovanni Paolo II. Nel chiudere il suo discorso nella Valle dei Templi, batte con forza il pastorale e afferma con tono d’anatema: “Dopo tante sofferenze, avete dirit to di vivere nella pace. I colpevoli, la minoranza, che portano sulle loro coscienze tante vittime umane debbono capire che non si permette di uccidere degli innocenti. Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, qualsiasi mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Qui ci vuole una civiltà della vita”.
E aggiunge, con parole profetiche, impresse nel cuore di tutti noi: “Nel nome di Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è Via, Verità e Vita, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Verrà un giorno il giudizio di Dio!”.
Padre Puglisi ascolta in parrocchia quelle parole, seguendole in televisione. E sente che sono per il suo quartiere, per la sua gente. Ma soprattutto per lui.
E come Gesù con Zaccheo, nonostante tutto, continua a credere nella conversione dei mafiosi. Sente che sono cattivi soprattutto perché soli, rintanati in una logica di morte. Li vuole anch’essi liberi. Dalla paura, dalla violenza, dalla morte.
È morto per questo. Agnello innocente condotto al macello. Solo, molto solo, troppo solo! Ma chi vuol essere come Cristo, si trova sempre solo!