SOCIETÀ

I minori tra diritto e legge

Il governo vuole abolire i tribunali per i minori e stravolgere le norme sul recupero sociale.
Giancarla Codrignani

Il ministro Castelli, titolare del dicastero che si dovrebbe chiamare della “giustizia”, ha deciso di abolire i tribunali per i minori. Chiariamo subito che i “minori” sono soggetti sociali che, per essere bambini o adolescenti, non sono mai stati titolari di diritti, ma al massimo di tutele. La storia della giurisprudenza sta a dimostrare che sui più piccoli si sono spese per secoli belle parole, ma si è dovuto attendere il 1959 con la Risoluzione dell’Onu 1386/XIV e, trent’anni dopo, la Convenzione sui diritti dei bambini (1989), per sollecitare gli Stati ad adeguarsi. In realtà “scopriamo” che i bambini diventano anzitempo lavoratori, sono sfruttati, comprati, venduti, violentati, non vanno a scuola, fanno la guerra, come se non si trattasse di reati “vietati” ai sensi di quella Convenzione. La “tutela”, anche nei Paesi occidentali, resta affidata quasi sempre alla famiglia, luogo che ogni giorno di più si rivela pericoloso per i bimbi e le bimbe.
Tuttavia passi avanti nell’ambito, appunto, delle tutele in Italia se ne sono fatti molti, anche nella passata legislatura, e l’opinione pubblica è più sensibilizzata, anche se quasi sempre solo emotivamente e rispetta il “diritto” a merendine e cellulari, ma non denuncia lo sfruttamento del ragazzino lavoratore, l’assenza di sostegno per il piccolo con handicap o lo zingaro che ruba. Il ministro Castelli se ne è venuto fuori con l’abolizione del tribunale dei minori e l’obbligo di considerare il minore responsabile come l’adulto, escludendolo dalle misure di recupero sociale. Qualora questa riforma dovesse essere approvata dal Parlamento – e lo potrà essere facilmente perché il governo la ritiene esemplare e le proteste dell’Udc in Commissione si sono limitate all’astensione, mentre il centrosinistra ha abbandonato i lavori – l’Italia si segnalerebbe per un altro sgarro al riconoscimento dei diritti che fanno civili le società.
Il Tribunale per i minori era stato disciplinato nel nostro Paese dal r.d. 20 luglio 1934 (e successive modifiche) ed era un organo specializzato formato da un magistrato e due laici, un uomo e una donna, competenti in psichiatria, pedagogia, psicologia; a livello penale le funzioni di pubblico ministero venivano svolte da procuratori ad hoc, mentre giudici onorari si facevano carico dei provvedimenti previsti dal codice. Lo affiancava un giudice di sorveglianza, che esercitava la propria funzione nei confronti di chi ha commesso reati prima della maggiore età e ne manteneva la competenza fino al venticinquesimo anno.
Altre tutele venivano esercitate nelle diverse fasi dei procedimenti, sempre nella ricerca di soluzioni indirizzate non a generica indulgenza, bensì a rieducare e responsabilizzare, evitando in tutti i modi le misure reclusorie un tempo esercitate dai riformatori. L’affidamento ai servizi sociali, a centri educativi specializzati, a case-famiglia evitava il contatto con la delinquenza che ha sede privilegiata nelle carceri. Abbiamo usato pessimisticamente il passato perché per Castelli gli “adolescenti che sbagliano” vanno trattati come criminali “normali” senza diritto a recupero.
Altri parlamentari della destra intendono rafforzare la riforma con proposte volte ad abbassare la soglia di punibilità (ai 12 anni) e il passaggio drastico al carcere per adulti. Il tribunale per i minori morirà trasferendo le sue competenze a imprecisate “sezioni specializzate” formate di soli giudici togati senza gli “onorari” (cioè senza più competenze specifiche), che si occuperanno di quanto riguarda “lo Stato e la capacità delle persone”. Il che significa accorpamento di tutta la giustizia dei minori (penale, civile, amministrativa), con in più la gestione delle competenze della famiglia (separazioni, divorzi, adozioni, potestà, interdizioni).
Il messaggio è fin troppo chiaro: pugno di ferro, violazione delle norme internazionali e della prassi del recupero, il “delinquente” come categoria lombrosiana, il carcere come vendetta.
Sullo sfondo la Costituzione ferita, ancora una volta.

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