Un’intifada dell’arte e della cultura
Noi della Campagna “Ponti e non muri”, che ci opponiamo all’ostinata negazione dell’esistenza di un popolo e siamo diventati “bocche scucite” che cercano di farsi ascoltare e di vincere la disinformazione e l’omertà, abbiamo scelto di dedicare la “Giornata” (30 novembre 2013, ndr) di Verona all’espressione artistica e culturale dei Palestinesi.
Poiché “creare è resistere, resistere è creare”, come pensava Stephan Hessel, estensore con altri della Carta dei Diritti, ebreo, resistente, indimenticato autore di “Indignatevi” (Add editore, 2011) abbiamo voluto che poeti, musicisti, scrittori, registi, pittori, fotografi, narratori, attori, tutti palestinesi potessero esibire ciascuno la propria creatività artistica, sul palco del teatro Stimate, luogo del convegno, che ha riunito circa 300 persone. Il talento artistico palestinese si è fatto strumento di “re-esistenza”, come dicono le autrici del bel libro “Arte come re-esistenza” (ed EMI).
Una di loro, Federica Battistelli, ci ha detto d’averlo scritto per raccontare finalmente quello che i palestinesi sanno fare e non solo quello che subiscono. Così è stata la nostra festa a Verona: un’intifada dell’arte e della cultura. Come scriveva Mahmud Darwish, la voce più grande di quel popolo, nella poesia che ha aperto la “Giornata”: “Privato del nome, dell’identità sulla terra impastata con le mie mani? Dalla mia fronte sgorga la spada della luce”.
Crediamo di aver dato a Verona un primo contributo italiano per attuare la Risoluzione dell’ONU del 26 novembre scorso con la quale viene indetto per il 2014 l’Anno Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese.
Ce la faremo tutti insieme a evitare la “rimozione” di un simile impegno votato da 110 Stati (contrari 7)?
Ibrahim Nasrallah, uno degli autori in lingua araba fra i più importanti, ha detto di non poter immaginare la vita dei Palestinesi senza i racconti, i romanzi, le poesie che hanno fatto riacquistare il senso della bellezza della vita e del mondo, nonostante esilio e occupazione militare. “La letteratura ha per noi e per la nostra lotta un ruolo attivo e persistente, che dura e anzi si fa annunciatrice della nostra resistenza. Essa precede e accompagna anche le attuali rivoluzioni, chiamate “primavere arabe”. I nostri libri sono sacri come la Bibbia e il Corano. I nostri giovani autori, e sono tanti, scoprono, scrivendo di sé e del proprio popolo, che vi sono speranze e vie d’uscita dall’attuale discriminazione e da ogni forma di oppressione”.
Simone Sibilio, autore di un saggio fondamentale sull’influenza della “Naqba” (la catastrofe nazionale palestinese di espulsione violenta dalla propria terra, alla nascita dello Stato d’Israele) nella memoria letteraria di quei fatti tragici, ci ha mostrato come l’arte sia diventata poderoso strumento per il recupero di un passato delegittimato e annebbiato da una rappresentazione egemone della Shoah, quasi incisa come sovra-iscrizione di una memoria sull’altra: simbolico il fatto che il memoriale dello Yad Vashem a Gerusalemme sorga nel raggio territoriale del villaggio distrutto di Deir Yassin, luogo di un cruento eccidio subito dai Palestinesi nel 1948. Perfino i documenti per scrivere la storia della Palestina sono andati distrutti o sono stati inglobati negli archivi israeliani. Ed ecco allora moltiplicarsi la stesura dei “libri del villaggio”che raccolgono i racconti orali, rimedio alla cancellazione della memoria e contenitori di materiali per i romanzi di Khanafani, Habibi e dello stesso Nasrallah con in “Time of whites horses”.
La musica di Saleh Tawil suonatore dell’oud, il liuto a manico corto che accompagna le danze tradizionali, ci ha rimandato all’esperienza della scuola di musica Al Khamandjati di Ramallah, fondata dal Ramzi Aburedwan, celebre come violinista tanto quanto lanciatore di pietre nella prima intifada: un’istantanea vista in tutto il mondo; una storia che disegna la parabola della resistenza palestinese, oggi resistenza culturale. Ramzi insegna ai bambini nei campi profughi e a Jenin ed è convinto che suonare aiuta a tirar fuori tutte le energie e le emozioni negative, educando all’ascolto e al dialogo.
C’è da preparare le menti e i cuori a una terza “inevitabile” intifada, come l’ha preconizzata Ugo Tramballi, giornalista del Sole 24 Ore, discutendo “ad alta voce” con don Nandino Capovilla. Un’intifada appunto che usi “la spada di luce” che sgorga dalla fronte del palestinese, l’arma che scombina le prassi tutte militari e repressive dell’esercito occupante e mettere in crisi i “negazionisti” che un popolo palestinese esiste e resiste.
Cultura e arte
Con Carla Benelli, storica dell’arte, si è aperto un focus dei beni culturali e archeologici sui quali posa la pietra “angolare” della civiltà palestinese razziati e collocati nei musei d’Israele o inclusi negli insediamenti o nel percorso del “muro”, quindi, espropriati, rinominati e sottratti all’accesso da parte dei palestinesi stessi. Altri sono stati sbriciolati dalle artiglierie, come il centro storico di Nablus, o demoliti per allargare la strada che consente al “colono” di raggiungere in “sicurezza” la sinagoga di Hebron.
Ma Benelli non lavora da sola: l’architetto palestinese Samah Ramdan condivide con lei la responsabilità dei progetti di valorizzazione e insieme stanno formando giovani palestinesi restauratori, come quelli impegnati sui mosaici di Gerico o nel recupero dell’antica città di Sabastyia.
Con ironia e doloroso umorismo la Palestina mostra se stessa grazie all’artista dell’immagine Larissa Sansour di padre palestinese, oggi attiva a Copenhagen: due suoi video, Space Exodus e Nation Estate, sono stati portati al convegno da Vittorio Urbani, curatore di mostre all’interno della Biennale di Venezia, che ha ospitato un “padiglione Palestina” (ma la denominazione è stata proibita dalla direzione della rassegna in quanto la Palestina “non è uno Stato”). Viene mostrata una Palestina che si perde nello spazio, come accade agli astronauti nel film di Kubrick, e una Palestina racchiusa in un palazzo a più piani, circondato da un muro, dentro a un mondo artificiale, copia della realtà esterna, impedita ai reclusi.
Proprio della necessità che la cultura palestinese esca dalla reclusione e dalla percezione alterata da pregiudizi antiarabi ha parlato Michele Giorgio, uno dei giornalisti più attenti all’evoluzione della questione palestinese. “Quando avremo Nasrallah ospite di Fazio? Quando avremo pubblicate in Italia le poesie di Darwish? Quando i maggiori intellettuali italiani staranno in dialogo con i loro colleghi palestinesi in uno dei tanti festival di cui è piena la penisola? Allora potremo dire che la via culturale al riconoscimento dei diritti umani si è aperta un varco” .
A suggellare una giornata di evocazioni e di speranze si è alzata la voce di Omar Suleiman, l’attore palestinese, oggi residente a Napoli, nel cui cuore antico ha aperto uno spazio d’incontro e di espressioni artistiche attinte dal talento creativo palestinese. Con il monologo messo in scena,”La terra delle arance tristi”, Omar ha raccontato la desolazione disperante di chi è stato cacciato dalla propria casa.
“Hai provato tu a perdere tutto, di colpo e per sempre? No? E allora non puoi capire”. A Verona noi ci abbiamo provato e ci riproveremo a Lucca nel 2014, contando i passi in avanti che avremo fatto insieme alla Palestina e ai Palestinesi: un cammino di civiltà del diritto, della giustizia e della pace, che riguarda tutti.