PRIMO PIANO LIBRI

I fratelli Cervi

La resistenza, l’arresto, la fucilazione della famiglia Cervi. In un libro di Alcide Cervi.
Anna Scalori

Dopo un raccolto ne viene un altro. 70 anni fa, il 25 novembre del ‘43, Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore Cervi, insieme al padre Alcide, vengono arrestati dai fascisti: 150 uomini armati che, per prenderli, danno fuoco alla casa che i fratelli Cervi condividono con mogli, figli, genitori e animali della stalla. Si consegnano spontaneamente, perché almeno le donne, i bambini e le bestie possano salvarsi. Dopo poco più di un mese, il 28 dicembre, vengono fucilati al Poligono di Reggio Emilia.

“Dopo un raccolto ne viene un altro”, sono le parole di papà Alcide alla notizia dell’eccidio. “Ma il raccolto non viene da sé, bisogna coltivare e faticare, perché non vada a male. Avevo cresciuto sette figli, adesso bisognava tirar su undici nipoti. Dovevano prendere ognuno il posto dei padri, e bisognava insegnare tutto da capo... Erano piccoli, ma io glielo insegnai lo stesso”.E ha continuato anche a occuparsi dei suoi figli, papà Alcide, raccontando la loro storia e quella di tutta la famiglia Cervi, impastata di terra, legami, cristianesimo e comunismo vissuti senza sbavature, senza incoerenze. Arrivando, una volta che i nipoti diventano adulti, a scrivere questo libro. Con la semplicità e l’essenzialità di chi ha imparato ad ascoltare: la terra, i figli, se stesso. Non lasciando mai che la povertà economica diventasse miseria umana, ma al contrario forza per migliorare, innovare, superare l’ingiustizia, aprire la mente. 

Fu così che la famiglia Cervi sfidò prima la mezzadria e i metodi di coltivazione e allevamento poco produttivi del tempo, assumendosi il rischio della bonifica dei terreni e dell’indebitamento per affittare un fondo. E poi collaborò con la Resistenza, se ne fece promotrice, partecipò ad azioni di sabotaggio, ma soprattutto si sforzò di trovare ogni modo possibile per non collaborare con il regime fascista – come truccare le mucche perché sembrassero malate evitando così di portare il latte all’ammasso – e contestualmente aiutando qualsiasi partigiano, sfollato, disertore, alleato che ne avesse bisogno. Così che al prete che voleva confessarli in carcere la vigilia di Natale risposero: “non abbiamo peccati da pentirci… perché abbiam fatto le opere di misericordia… abbiamo dato asilo ai perseguitati, da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, abbiamo conservato i figli alle madri. Gli uomini alle spose. Abbiamo predicato la giustizia contro i prepotenti fascisti e ladri, contro i ricchi carnivori di fatica e di sangue”.  

Il primo gesto politico importante, oltre alle migliorie della terra, fu quello di acquistare e imprestare libri, perché non serve affermare valori astratti, serve liberare le persone perché possano costruire un mondo più giusto. Sfogliando pagina dopo pagina sembra di conoscere tutti. E pensando al baratro politico e sociale in cui sembra precipitato questo nostro Paese, ci si sente squartare dalle parole dell’ultimo capitolo: “Ecco, ho raccontato la storia della famiglia e mia, come il cuore ha saputo. L’ho raccontata e mi è costata fatica e dolore, ma avevo uno scopo… io vorrei farvi sapere che cos’è avere 80 anni, aspettarsi la morte da un momento all’altro, e pensare che forse tanto sacrificio non è valso a niente, se ancora odio viene acceso tra gli italiani”. 

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