Un'anomalia tutta italiana

Oltre la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari:
un inquadramento attuale dello stato,
dei rischi e delle necessità per il loro completo superamento.
Giuseppe Nese (Psichiatra, Direttore UOC “Tutela della salute in carcere” ASL Caserta Coordinatore Bacino Superamento degli OPG Regione Campania)

È dal 2008 che ufficialmente si parla anche nei provvedimenti legislativi di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e tuttavia è difficile descrivere un percorso che, nel corso di questi anni, si è estremamente complicato, anche in termini di informazioni. Per questo proviamo a capire meglio, in sintesi, questa realtà, sulla quale da alcuni anni nel nostro Paese sembra essersi riaccesa una certa attenzione.

Che cos’è un OPG?

L’OPG è un istituto penitenziario, non un ospedale. 

Come è noto, in Italia per chi commette un reato il Codice penale prevede un doppio binario: quello delle pene e quello delle misure di sicurezza. Quando ci si trova di fronte a una persona ritenuta, al momento della commissione del reato, incapace di intendere e volere del tutto o parzialmente, questo comporta da un lato il proscioglimento dall’accusa del reato e, dall’altra, un giudizio sulla pericolosità sociale della persona, che nella quasi totalità dei casi dischiude le porte appunto dell’OPG. A rigore, anche a seguito di alcuni pronunciamenti della Corte Costituzionale, l’entrata in OPG di una persona ritenuta socialmente pericolosa non può essere automatica, in quanto il magistrato dovrebbe prima di tutto valutare la possibilità di una soluzione non detentiva, cosa che invece non avviene quasi mai. Purtroppo questa obbligatoria alternativa non sempre è conosciuta dagli stessi professionisti del diritto (avvocati in primis).

Gli attuali OPG, dunque, sono uno degli istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive previsti dall’Ordinamento penitenziario e (essendo rimasta la parte abitativa di totale pertinenza penitenziaria) possono solo essere assimilati a istituti penitenziari nei quali vengono assicurate prestazioni sanitarie di livello semiresidenziale e ambulatoriale.

Il fatto che gli OPG siano denominati “ospedali” e l’uscita delle persone dagli stessi sia definita “dimissione” ha ingenerato gravi ambiguità per la diversa accezione che i medesimi termini hanno in campo sanitario. Si dimentica che “ospedale” è il nome dato dall’Ordinamento penitenziario a questi Istituti e “dimissione” è quello utilizzato dal Regolamento penitenziario (art. 89) per riferirsi all’uscita di detenuti e internati da un istituto penitenziario. 

La popolazione degli OPG

Si ritiene comunemente che negli attuali OPG – così come nelle Casa di Cura e Custodia (CCC), che insistono negli stessi OPG e sono da questi indistinguibili – siano presenti solo pazienti psichiatrici autori di reato, prosciolti, ritenuti socialmente pericolosi e destinatari di una misura di sicurezza detentiva. 

In realtà, la situazione è sempre stata diversa. 

Se analizziamo i dati delle presenze in OPG degli ultimi anni ci accorgiamo che, accanto a coloro che, secondo la legge, dovrebbero stare lì, ce ne sono tanti che, sempre secondo la legge, dovrebbero stare fuori da queste strutture.

Emblematico per comprendere la reale configurazione degli attuali OPG quale insieme fisico di formali trattamenti detentivi estremamente eterogenei è il caso dei cosiddetti “minorati psichici” (di cui si tratta al comma 5 dell’art. 111 del DPR 30 giugno 2000, n. 230). Si tratta di detenuti non socialmente pericolosi, “ imputati e condannati, ai quali, nel corso della misura detentiva, sopravviene un’infermità psichica che non comporti, rispettivamente, l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza o l’ordine di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia”, per i quali  la norma dispone l’assegnazione “a un istituto o sezione speciale per infermi e minorati psichici”.  

La loro presenza in OPG, chiaramente esclusa da questo comma, si realizza a valle attraverso un decreto del ministro della Giustizia che istituisce le “sezioni per infermi e minorati psichici” proprio in OPG, come in qualunque altro Istituto penitenziario. Dunque, in OPG ci troviamo persone che vengono lì ospitate, in un certo senso, difformemente da quanto indicato dalle stesse norme e questo è importante considerarlo nel momento in cui ci si pone l’obiettivo di superare queste strutture e fornire risposte diverse per quante sono le varie tipologie di persone oggi lì presenti.

Come si arriva in OPG?

Contrariamente a quanto si può pensare comunemente, il percorso delle persone ristrette in OPG si origina prevalentemente in carcere, meno frequentemente dalla libertà e talora anche da luoghi di cura. Talora è addirittura capitato che pazienti psichiatrici seguiti dai dipartimenti di salute mentale e che avevano commesso reati, sono stati letteralmente prelevati nel corso di ricoveri in ospedale per condizioni acute di scompenso psicopatologico e trasportati in OPG, a dispetto di tutte le norme che invece obbligano il magistrato a valutare nel momento attuale – e non in quello di commissione del reato – sia la pericolosità sociale sia il tipo di risposta terapeutica da offrire a persone che, nella maggior parte dei casi, risultavano deboli dal punto di vista socio-economico, escluse socialmente e non in grado di garantirsi la minima tutela dei propri diritti.

A causa della particolare situazione in cui versa il nostro sistema penitenziario, di fatto al collasso, l’invio dal carcere all’OPG attualmente è ancor più sostenuto e semplificato sia per il miglioramento dei livelli di assistenza sanitaria in OPG che per ambigue motivazioni di “opportunità penitenziaria”. Conseguentemente non è ottemperato uno specifico Accordo sancito dalla Conferenza Unificata nel 2011, che prevedeva proprio la prevenzione di questi invii, col rafforzamento dell’assistenza psichiatrica in carcere da realizzarsi attivando, entro il 30 giugno 2012, le articolazioni sanitarie per la tutela della salute mentale in almeno un istituto penitenziario ordinario di ogni singola Regione e Provincia Autonoma italiana.

Quali e quanti gli OPG in funzione oggi in Italia?

Ufficialmente gli OPG in Italia sono sei e sono ubicati a Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Aversa (Ce), Napoli, Montelupo Fiorentino (Fi) e Castiglione delle Stiviere (Mn). In realtà ci si dimentica che, ad esempio a Sollicciano (Fi) c’è una CCC femminile che è di fatto un OPG, o di tutte quelle persone non prosciolte, che stavano in OPG e che attualmente sono collocate in istituti penitenziari. 

I dati sono scarsi e difficilmente reperibili e accurati, ma si può affermare che gli attuali internati provengono ancora da tutte le regioni italiane e che, pertanto, tutte le regioni devono farsi carico dei loro bisogni, e non solo le cinque nel cui territorio sorge almeno un OPG: significa inoltre , in un’ottica di prevenzione, che nella fase di superamento dell’OPG, devono essere coinvolte tutte le istituzioni e le risorse delle comunità territoriali.

È vero che una legge ne stabilisce la chiusura?

Sì, è vero. Si tratta di un articolo, frutto di un emendamento al decreto legge “svuota carceri” approvato dal governo Monti a dicembre 2011, che stabilisce un termine al superamento degli OPG/CCC, anche se fin dalla definizione della norma quel termine è apparso oggettivamente inadeguato. L’oggettiva inadeguatezza può essere compresa bene chiedendosi: è adeguato a fine febbraio 2012 stabilire con una Legge che entro il 31 marzo 2013 (o, più precisamente, il 1° febbraio 2013), cioè dopo solo 11 mesi, si debbano chiudere 6 OPG, con una popolazione così eterogenea e particolare, programmare molte altre strutture, non in 5 regioni bensì in tutte le Regioni italiane  (perseguendo cioè l’obiettivo di regionalizzare anche questo tipo di assistenza psichiatrica), costruire queste strutture, rendere disponibili risorse adeguate, definire degli standard, reclutare e formare il personale? Nemmeno in un condominio si riesce a realizzare un significativo intervento manutentivo in 11 mesi!

La legge, comunque, ha determinato diversi effetti positivi sul percorso, per esempio stanziando specifiche risorse finanziarie (per strutture e personale) e avviando la definizione degli standard delle strutture residenziali per le misure di sicurezza (con un decreto pronto dopo 8 mesi, invece dei 30 giorni, anche qui inadeguatamente, previsti).

Inoltre, la stessa Legge spiega bene come va superato l’OPG. Ribadisce, infatti, che questo percorso deve avvenire secondo quanto già scritto sin dal 2008, nell’Allegato C al Decreto del Presidente del Consiglio del 1° aprile, che riportava le “Linee di indirizzo per gli interventi negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e nelle case di cura e custodia (CCC)”, e nei successivi specifici accordi con le regioni raggiunti nel 2008, nel 2009 e nel 2011 dalla Conferenza Unificata.

È inutile dire che il termine del marzo 2013 è passato invano. 

Qualche giorno prima di quella scadenza, sempre il governo Monti ha modificato quella data, rinviandola di un anno e stabilendo (con una formulazione stranissima dal punto di vista giuridico) che: «Dal 1° aprile 2014 gli ospedali psichiatrici giudiziari sono chiusi e le misure di sicurezza del ricovero in OPG e dell’assegnazione a CCC sono eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie di cui al comma 2», ricreando di fatto tutta l’oggettiva inadeguatezza già evidenziata per la precedente scadenza.

La legge prevede, inoltre, l’assunzione di «personale specializzato da dedicare anche ai percorsi terapeutico riabilitativi finalizzati al recupero e reinserimento sociale dei pazienti provenienti dagli OPG»; un programma che definisca «tempi certi e impegni precisi per il superamento degli OPG, prevedendo la dimissione di tutte le persone internate per le quali l’autorità giudiziaria abbia già escluso o escluda la sussistenza della pericolosità sociale; l’obbligo per le ASL di presa in carico all’interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale, e favoriscano l’esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in OPG  e all’assegnazione a CCC».

Il rischio che salti anche questa nuova data limite è scontato, visto che tutto quello che avrebbe dovuto verificarsi nel frattempo (decreti, piani regionali, finanziamenti, interventi strutturali…) o non è stato ancora realizzato o lo è stato con tempi molto più lunghi.

A questo punto è lecito domandarsi: se gli OPG chiudono, dove vanno gli internati?

Già il decreto del 2008, nel delineare il percorso di superamento degli OPG individuava l’obiettivo finale di tale processo nella completa ristrutturazione dell’offerta dei servizi da parte dei dipartimenti di salute mentale per consentire alla Magistratura di disporre lo svolgimento delle misure di sicurezza in contesti sanitari ordinari, con garanzie di equità di trattamento rispetto alla popolazione psichiatrica generale.  I DSM, quindi, rappresentano l’attore istituzionale fondamentale di qualunque intervento che vada nella direzione del superamento degli OPG.

Quel decreto, infatti, non si limitava al solo trasferimento delle funzioni, delle risorse e del personale, e alla loro armonizzazione con il Servizio Sanitario Nazionale, ma richiedeva una progettualità diversa da quella propria del servizio sanitario penitenziario, e delineava un complesso percorso costitui-to da azioni diversificate, tra loro interdipendenti e con competenze in capo a numerose istituzioni. Veniva, inoltre, chiaramente evidenziato, che il successo di un programma specifico per gli OPG è strettamente connesso con la realizzazione di tutte le misure e azioni indicate per la tutela della salute mentale negli istituti pena ordinari.

Chiusi gli OPG, si aprono i mini-OPG?

Sono in molti a pensare che il superamento degli OPG corrisponda alla creazione di strutture residenziali per le misure di sicurezza; in realtà questo è vero solo per una piccola parte dell’intervento più globale che invece riguarda l’assunzione piena di competenza su questo sistema di servizi da parte delle ASL, attraverso i DSM e le altre articolazioni sanitarie competenti, la continuità di azione di presa in carico esterna per le persone che vengono dimesse e che si ritrovano sul territorio, un’azione in cui possono intervenire con successo anche soggetti non istituzionali.

Modelli di intervento innovativi ed efficaci in questa direzione sono già oggi disponibili e nelle realtà territoriali che hanno sperimentato e normato la metodologia dei “progetti terapeutico-riabilitativi individuali” sostenuti da “budget di salute (PTRI/BDS)”, volti a ridare a una persona un funzionamento sociale accettabile e alla cui produzione partecipano il paziente stesso, la sua famiglia e la sua comunità.

Non bisogna poi dimenticare che già entro la metà del 2012 le regioni avrebbero dovuto provvedere all’implementazione di nuove articolazioni del Servizio Sanitario in carcere, attraverso la crea-zione di nuovi servizi per la tutela della salute mentale negli istituti penitenziari ordinari per ri-accogliere e assistere adeguatamente le persone che attualmente sono in OPG e che lì stanno impropriamente scontando una pena (e che, in quanto condannate, non potranno essere trasferite nelle strutture residenziali), nonché a prevenire l’invio in OPG dal carcere di quei detenuti che in carcere hanno problemi di salute mentale.

Basterà chiudere gli OPG?

Chiudere gli OPG è certamente e comunque un obiettivo fondamentale da perseguire, ma non servirebbe a completare un percorso di reale superamento se, accanto ad esso, non si procedesse alla modifica del codice penale (per esempio con l’abolizione dell’istituto della non imputabilità o sue significative modifiche) e dell’intera offerta di servizi socio-sanitari per questa popolazione: è come prendere tutto ciò che c’è dentro gli OPG e metterlo in un altro posto, sebbene con condizioni esteriori di maggiore accettabilità e decenza rispetto alle attuali. Senza interventi socio-sanitari integrati real-mente personalizzati che riescano a incidere significativamente sull’aspetto centrale del problema, cioè l’inclusione delle persone nei loro territori, l’accoglienza da parte delle comunità e la prevenzione del disagio psichico, la chiusura di queste strutture potrebbe non essere risolutiva.

A rischio di concorrere a ricreare altre e nuove forme di istituzionalizzazione è necessario pensarci adesso.

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