POTERE DEI SEGNI

Ti scrivo da Finisterre

Una lunga lettera a don Tonino, ancora in mezzo a noi a segnarci il cammino, scritta in occasione del convegno estivo della Pro Civitate Christiana “Un’ala di riserva. Pace, poesia e profezia in don Tonino Bello” (Santa Cesarea, luglio 2013), ci accompagnerà in questa rubrica per tutto l’anno...
Francesco Comina

Caro don Tonino, 

mi è bastato mettere un piede nella tua terra ultima, la Finisterre salentina bagnata da due mari, per cadere nella trappola di inseguirti fra le righe di un genere letterario di cui sei stato un maestro. Mi ero ripromesso mille volte di non farlo, di evitare l’artifizio di una imitazione contraffatta e con essa la figura dell’imitatore posticcio. Altri hanno saputo intrecciare i fili di una corrispondenza che rompe il tempo lineare e si colloca nel flusso del tempo eterno, come ci ha insegnato Raimon Panikkar. Uno spazio che non è né passato né futuro ma un presente infinito, la tempiternità, ossia la nuova innocenza: l’inseguire con l’occhio incantato il volo del gabbiano, l’osservare senza fretta il nascondimento del sole nell’ora del tramonto, dire tutto l’amore del mondo sullo specchio d’acqua mentre le stelle cadenti lasciano le loro scie nel cielo, il sentirsi sopraffatti dall’emozione di trovarsi, a mezzanotte, nel pieno di una tarantella di paese. 

Stare nel presente infinito non ha niente a che vedere con quel carpe diem che la società dei consumi ci propina ogni giorno invitandoci a comprare sempre nuovi prodotti perché quelli di ieri sono già vecchi. E così comprando possiamo sperimentare le emozioni del tempo che corre sempre più veloce sul vettore del progresso senza farci perdere nulla. Il presente consumistico brucia ogni istante nel forno a legna della società insoddisfatta facendo carta straccia perfino dei sentimenti, delle passioni, delle emozioni e delle utopie. Ricordo la tua lettera a Giuseppe quando tentasti di spiegare al vecchio falegname la perdita di amore dell’atto creativo di costruire gli oggetti. Quando si toglie l’anima all’arte, è inevitabile che la cosa, l’oggetto, diventi soltanto un prodotto fine a se stesso, senza più corrispondenza di sensi e di sentimenti: “Sembrava che la materia prima di una seggiola o di un vomere non fosse tanto il legno o il ferro, ma il tempo; e che la fatica del fabbro o del carpentiere, del sarto o del calzolaio fosse quello di addomesticare i giorni comprimendoli nella materia e crearsi per un istinto di conservazione riserve di tempo negli otri delle cose prodotti dalle sue mani. Il tempo allora era imprigionato nella materia come l’anima nel corpo, ruggiva dentro un oggetto e gli dava movenze di vita se non proprio l’accento della parola. Le cose nascevano perciò lentamente e con i tratti di una fisionomia irripetibile”.  

In questi ultimi vent’anni si sono date tutte le possibili definizioni per spiegare il fenomeno della rassegnazione, ma quella che a mio parere ha colto nel segno è l’espressione utilizzata dal sociologo polacco Zygmunt Bauman quando ha cominciato a parlare di “società liquida”, ossia un essere nel mondo senza più direzione, senza più bussole e banderuole, senza più un orizzonte di riferimento. L’unica premura, per il mercato globale, è che gli atomi galleggianti nel mare del non-senso continuino a comprare sempre nuovi gadgets tecnologici e orpelli usa e getta. Questa frenesia si sta portando via anche le lettere, sostituite dalle chat, le penne, sostituite dai tasti, il calore delle parole, sostituito dalle formule fredde di frasi pre-confezionate. 

E se non si imbucano più le lettere agli amici e agli amanti, ai nonni o ai parenti, figurati quanto sia difficile spedire lettere per l’aldilà, col timbro postale della tempiternità. Insomma, le promesse di resistere alla tentazione si sono vanificate in fretta appena ho visto il mare... 

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