CHIESA

La teologia liberata

Punti di vista dall’America latina. Il Papa, la Teologia della Liberazione, la Chiesa che cammina accanto ai poveri.
Cristiano Morsolin (operatore di reti per la difesa dei diritti umani in America Latina )

Con l’ascesa al pontificato di papa Francesco ha ripreso slancio e vigore il dibattito sulla “Teologia della Liberazione”, una corrente ecclesiale nata dal “matrimonio della Chiesa con i poveri”, come afferma Leonardo Boff, ex frate francescano, teologo brasiliano.

Lo scorso 4 settembre 2013 due pagine dell’Osservatore Romano erano dedicate agli scritti del sacerdote e teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, considerato uno dei padri della Teologia della Liberazione. In particolare, il giornale ha pubblicato un estratto del libro “Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa” che Gutiérrez scrisse nel 2004 con Gerhard Ludwig Müller, l’arcivescovo tedesco nominato nel 2012 da Ratzinger a capo della Congregazione per la Dottrina della fede.

“Con un Papa latinoamericano – ha scritto sull’Osservatore Romano padre Sartorio – la Teologia della Liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa. Vittima di un doppio pregiudizio: quello che non ha ancora metabolizzato la fase conflittuale della metà degli anni Ottanta, per altro enfatizzata dai media, e ne fa una vittima del magistero romano; e quello ingessato nel rifiuto di una teologia ritenuta troppo di sinistra e quindi tendenziosa”.

Dopo aver incontrato papa Francesco, padre Gutierrez ha dichiarato: “Il Papa ama i poveri perché ha letto il Vangelo e l’ha compreso. Può darsi che abbia letto di Teologia della Liberazione, ma è secondario. La radice non è mai in una teologia, ma nelle fonti. La sfida dei poveri è da tempo presente nell’orizzonte della Chiesa e se n’è tenuto conto, altrimenti non si capirebbe il martirio che abbiamo sperimentato in America Latina, a cominciare da vescovi come Angelelli in Argentina, Romero in Salvador e Gerardi in Guatemala, per non parlare dei moltissimi laici”.

Dopo 40 anni 

Era il 22 luglio 1968 sulla costa del Pacifico, a Chimbote, una città di pescatori nel Nord del Perù, quando un frate domenicano dai tratti che ne rivelano l’origine quechua, l’antica popolazione nativa che custodisce la lingua degli Inca, era stato invitato a tenere una conferenza sulla “teologia dello sviluppo”. A Gustavo Gutiérrez il tema non piaceva: parlò ai catechisti di “teologia della liberazione”. Tre anni più tardi pubblicò a Lima un libro che si intitolava così, Teología de la liberación, il testo che avrebbe battezzato la corrente teologica più discussa di fine Novecento…

Quarant’anni dopo la sua nascita, la Teologia della Liberazione continua ad essere viva e attiva.

Si riformula nei nuovi processi di liberazione in sintonia con i soggetti emergenti delle trasformazioni sociali: donne discriminate che acquisiscono potere; culture un tempo distrutte che rivendicano la propria identità; comunità indigene che rivendicano le loro visioni del mondo autoctone non soggette alla colonizzazione occidentale; comunità contadine che si mobilitano contro il capitalismo selvaggio...

Ma questa attualizzazione non dimentica le sue radici. Dom José Maria Pires, arcivescovo emerito di Paraiba, Dom Tomás Balduino, vescovo emerito di Goiás e dom Pedro Casaldaliga, vescovo emerito di San Felix di Araguaia, hanno sottolineato in una lettera ai vescovi del Brasile nell’agosto 2013 che “È dunque l’occasione di assumere il Concilio Vaticano II aggiornato, di superare una volta per tutte la tentazione della cristianità, di vivere all’interno di una Chiesa plurale e povera, di opzione per i poveri, una ecclesiologia di partecipazione, di liberazione, di diaconia, di profezia, di martirio... Una Chiesa esplicitamente ecumenica, di fede e politica, di integrazione della Nostra America, rivendicando i pieni diritti della donna, superando le chiusure derivanti da una ecclesiologia equivocata. (..) Nei nostri Paesi dobbiamo avere la libertà di “desoccidentalizare” il linguaggio della fede e della liturgia latina, non per creare una Chiesa diversa, ma per arricchire la cattolicità ecclesiale”.

A chiudere la questione, ci sono infine le parole di Pietro Parolin, il nuovo Segretario di Stato di papa Francesco, sul quotidiano venezuelano Ultimas Noticias: “Sulla Teologia della Liberazione, e lo dico con tutto il cuore perché c’è stata molta sofferenza, le cose si sono chiarite. Questi anni, dolorosamente, appassionatamente, sono serviti a chiarire le cose. La Chiesa, è vero, ha una opzione preferenziale per i poveri, è una scelta che la Chiesa ha fatto a livello universale. Ma ha anche chiarito sempre che (quella dei poveri) non è una opzione escludente e nemmeno esclusiva”.

Punti di vista dalle periferie 

Dalla polverosa periferia di Lima, Gilberto Longoni, teologo e missionario della comunità religiosa di Santo Espirito (collegata alla comunità ecclesiale di base “Il Pellegrino” di Cantù e all’ONG ASPEM) è d’accordo con mons. Parolin: “Crediamo che lo Spirito stia ispirando papa Francesco. Rispetto alla Teologia della Liberazione; il Papa precedente ha spiegato che non ci sono errori. Benedetto XVI, nel discorso inaugurale della Conferenza di Aparecida, ha affermato che l’opzione preferenziale per i poveri non è opzionale, deve essere di tutti i cristiani, perchè si sostiene nelle parole e nelle azioni di Gesù, non è un’invenzione di Gustavo Gutiérrez”.

Gaetano Mazzoleni, dal 1965 missionario della Consolata nell’Amazzonia Colombiana a Puerto Leguizamo, antropologo e docente universitario con esperienze anche in Perù e nell’Ecuador di monsignor Taita Leonidas Proaño, il vescovo degli indigeni di Riobamba, i cui catechisti hanno fondato la Confederazione indigena più potente di tutta l’America Latina, l’Abya Yala – terra feconda, la Confederazione delle nazionalità indigene CONAIE. 

È diventato famoso perchè tra il 1971 e il 1983 è stato il direttore del Centro Indigenista del Caqueta, coordinando 24 scuole indigene nei territori dei popoli coreguaje, wuitoto e ingano. Quasi ottant’enne non si è perso il Forum Sociale Mondiale della Teologia della Liberazione a Belem e Porto Alegre. 

Padre Gaetano mi spiega che “una lettura dei segni, dei gesti e delle parole di papa Francesco fa intravedere anzitutto un abbozzo di un manuale di pastorale per la nuova evangelizzazione e la sua missionarietà. La missionarietà di papa Francesco si trasforma in un ‘modus vivendi’, uno stile di vita, una cultura. Missione “ad gentes” è un movimento fisico, concreto e sensibile, sociologico, culturale: da un luogo si sposta, si trasferisce a un altro luogo; è geografico, sociale, economico e culturale. Si muove dal centro per andare alla periferia e mette la periferia umana, sociologica e culturale al centro della preoccupazione e dell’attenzione pastorale. È camminare, essere in movimento…”. 

La lotta

Bergoglio utilizza spesso una parola che non siamo abituati a trovare nel vocabolario sociale e politico di un ecclesiastico. È la parola lotta. Ecco un esempio: “Essere cittadini significa essere convocati per una scelta, chiamati a una lotta, a questa lotta di appartenenza a una società e a un popolo. Smettere di essere mucchio, di essere gente massificata, per essere persone, per essere società, per essere popolo. Questo presuppone una lotta”, citato nel discorso che l’allora arcivescovo di Buenos Aires tenne il 16 ottobre 2010 per i duecento anni dell’indipendenza argentina (ora pubblicato da Jaca Book).

Il cristiano scende in campo e lotta. Lotta per i diritti umani (ben sapendo che “affermare i diritti umani comporta anche la lotta per cambiare queste strutture ingiuste”), per la giustizia sociale (“Dobbiamo recuperare la missione fondamentale dello Stato, che è quella di assicurare la giustizia e un ordine sociale giusto al fine di garantire a ognuno la sua parte di beni comuni, rispettando il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà”), per “sradicare la povertà”, per la “cultura dell’incontro” che salvaguardi le differenze “convergendo sui valori che garantiscono la dignità della vita umana, l’equità e la libertà”.

L’ultima “benedizione papale” di questa “lotta politica” è stata lanciata da papa Francesco a inizio dicembre quando Gustavo Vera, coordinatore della cooperativa “La Alameda” impegnata a denunciare il lavoro schiavo e le mafie argentine, si è insediato come neo-parlamentare nazionale a Buenos Aires. Il mio articolo “Bendicion papal en contra de las máfias de Argentina” è stato diffuso da molte agenzie internazionali di stampa con il monito di papa Francesco: “I diritti umani si violano non solo con il terrorismo e la repressione ma anche per l’esistenza di condizioni di estrema povertà che provocano le grandi diseguaglianze”.

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