ECUMENISMO

In cammino, per la pace

Al rientro da Busan per la decima Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, tutti in cammino verso la Pace. Ma con domande tuttora aperte.
Maurizio Burcini (Consigliere nazionale di Pax Christi Italia, delegato all’assemblea di Busan per il movimento )

L’espressione più ufficiale e concreta del movimento ecumenico, che si sviluppa gradualmente nei primi decenni del Novecento, è rappresentata dalla poliedrica realtà del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Il CEC, con sede a Ginevra, è un organismo mondiale, il cui lavoro si riassume nell’incontro settennale che le Chiese organizzano, in varie parti del mondo, dal 1948 ad oggi. L’ultimo di questi incontri, a Busan (Corea del Sud), rappresenta la decima tappa di queste assemblee mondiali.

La Chiesa cattolica 

La Chiesa cattolica ha mantenuto, fino ad oggi, la scelta di non entrare in modo ufficiale nel dinamismo di ricerca dell’unità visibile perseguita dal CEC, e pertanto la partecipazione dei suoi membri a queste assemblee può essere solo di tipo ‘osservativo’, dunque marginale. La Chiesa cattolica, dopo il Concilio Vaticano II, si è gradualmente resa disponibile a dialoghi bilaterali con le altre Chiese e con lo stesso CEC, e si è impegnata attivamente in una delle commissioni teologiche, (quella chiamata “fede e costituzione”); ma permane una diversità di vedute rispetto agli ideali perseguiti dal CEC, e si mantiene pertanto a una certa distanza. Da parte cattolica, infatti, non c’è mai stato grande interesse verso le assemblee mondiali promosse dal CEC. È avvenuto anche per questo ultimo incontro mondiale, che si è svolto dal 30 ottobre all’8 novembre in Corea del Sud. Oltre a una generale mancanza d’informazione sull’evento, un altro significativo segnale è che in Italia vi è stato un unico momento pubblico in preparazione a Busan: l’incontro del 21 settembre scorso a Milano (di cui Pax Christi, con altre realtà ecumeniche, si è fatta promotrice). 

La non-partecipazione cattolica al CEC è una questione ecumenica di grande rilevanza, ma che non pare suscitare discussioni interne, e non viene dunque affrontata in modo adeguato. A Busan era presente una delegazione vaticana composta da 25 membri, i quali però – in quanto non-membri del CEC – non avevano diritto di voto nell’assemblea. Tra i circa 3.000 partecipanti delle altre Chiese, provenienti da ogni angolo del mondo, i cattolici sicuramente non superavano le 100 unità. Nonostante questa defezione cattolica, Pax Christi – già coinvolta pienamente nella Convocazione Ecumenica Internazionale sulla Pace del 2011 in Giamaica – ha avvertito la responsabilità di partecipare all’Assemblea coreana, poiché da essa potevano scaturire importanti impegni a favore della pace. Chi vi scrive ha partecipato all’Assemblea di Busan come delegato di Pax Christi Italia. Dieci giorni di un’intensità difficile da riassumere, per varietà di tematiche, tra l’altro calate nei contesti mondiali più diversi, e per lo stretto contatto con credenti di tutti i continenti. Si è parlato di vita nei suoi molteplici aspetti, così come di pace e di giustizia, ma anche di unità e di missione. Sono state approvate 4 “dichiarazioni” (statements) sui diritti delle minoranze religiose, sui diritti umani dei senza nazionalità (stateless people), sulla riunificazione e la pace nella penisola coreana, e sulla “pace giusta”. Ne è stato aggiunto un altro sulla presenza e testimonianza cristiana in Medio Oriente (contenente l’appello per padre Dall’Oglio, sequestrato in Siria a fine luglio), un altro sull’attuale situazione critica di Abyei, in Sud Sudan.  

Verso la pace giusta

Nel documento finale di Busan sulla “Pace Giusta”, la ricerca della pace è definita come un pellegrinaggio che vede tutti coinvolti: cercando la pace, avanziamo verso un orizzonte comune che, in fondo, rappresenta il progetto stesso di Dio per l’intera sua creazione. La pace è definita pienezza di vita per l’umanità, in quanto Shalom. Si tratta di un cammino in atto, le cui tappe raggiunte sono passaggi obbligati ma non ultimi: non dobbiamo scoraggiarci se l’orizzonte è ancora lontano. La pace giusta è tale se implica gli esseri umani e l’intero creato; se è armonia e vita per tutti e per tutto. Il cammino indicato da Gesù verso il regno pacifico di Dio è la nonviolenza attiva, che può implicare la croce e la morte; e la risurrezione ci dimostra che tale via conduce alla vita. Lo Spirito di Dio è presente nella vita, che così è santificata, e va protetta in tutte le sue forme. Il “Dio della vita” è il “Dio della pace”. 

Scendendo su aspetti più concreti, un interessante passo in avanti è fatto riguardo alle centrali nucleari. Mentre in passato (cfr., ad es., assemblea CEC di Nueva Delhi, 1961) il CEC si era mostrato favorevole all’uso civile del nucleare, dopo il disastro di Fukushima c’è un forte ripensamento, e si fa appello a un mondo libero dal nucleare, a una riforma degli stili di vita, per una giustizia ecologica che diventa elemento chiave per la pace giusta. Si fa appello a un’economia “di vita”, che costruisca pace anche nel mercato. Di fronte alle minacce inedite di ecocidio e genocidio, occorre operare per la pace a livello trasnazionale. Per questo il CEC ha sostenuto il trattato globale sul commercio delle armi (2013). Il CEC intende operare per rendere illegali le armi nucleari, un crimine contro l’umanità e infedeltà al Vangelo (insieme a tutte le armi di distruzione di massa). In tema di armi, sono almeno 30 anni che il CEC parla in questi termini, ripetendo questo tipo di condanna. Del resto, la “Pace Giusta”, secondo la prospettiva cristiana, può essere “armata”?

La difesa armata

Il CEC si era proposto, fin dall’ultima Assemblea mondiale di Porto Alegre 2006, di fare dichiarazioni sulla pace giusta che fossero teologicamente fondate. Ora accade che, nella “Dichiarazione ecumenica sulla pace giusta”, prodotta nel 2011 per la convocazione ecumenica di Kingston – e utilizzata come orientamento per Busan – si conviene sulla possibilità di uso delle armi per salvaguardare la pace e difendere le persone (ad esempio attraverso l’istituzione di un corpo di polizia armato europeo/mondiale sotto l’egida ONU). Considerando questa premessa, all’interno del gruppo di lavoro che contribuiva alla stesura del documento dell’Assemblea sulla Just Peace, ho avanzato la proposta di inserire, nel documento finale, l’affermazione: “Le armi sono contrarie al volere di Dio”. Si poteva condividere questa asserzione? Eppure, vi è stata una forte resistenza, soprattutto da parte dell’ex segretario generale del CEC, K.Raiser – che partecipava al gruppo di lavoro – a un confronto che affrontasse questa questione dal punto di vista teologico. 

Avevo anche posto la questione critica sull’appoggio incondizionato all’ONU, che nei documenti appare come una sorta di fiducia da riporre a priori verso questa istituzione. Dire sì all’ONU implica anche condividere il principio della “responsabilità di proteggere”, cioè il diritto-dovere di protezione “armata”; e se pensiamo, inoltre, che il Consiglio di sicurezza è formato dai primi cinque Paesi produttori di armi nel mondo, la scelta cristiana non dovrebbe essere così “pacifica”. In Assemblea plenaria, nonostante alcune sollecitazioni dalla base, vi è stata una chiara opposizione dei moderatori a inserire, nei documenti finali, aspetti critici verso l’ONU, perché a Porto Alegre l’Assemblea si era espressa in modo favorevole alle strategie ONU. Si ripete l’annosa, mai risolta, questione sul differente modo di intendere e perseguire la ‘pax Christi’ (che, a mio modo di vedere, potrebbe risolversi con la decisa opzione, e il fattivo sostegno, dei corpi civili di pace non-armati: obiettivo che le Chiese non pongono tuttora come priorità).

Per concludere, se dovessi fare un bilancio critico di cosa ha significato Busan, direi che, dal mio punto di vista, occorre continuare a interrogarsi e a interrogare le proprie Chiese sulla mancanza di voce profetica nei confronti delle armi non-nucleari, cioè di tutte le armi definite convenzionali; peraltro, il sostegno al trattato sul commercio delle armi – che non può che suscitare soddisfazione – implica però una suddivisione tra armi lecite e illecite, tra commercio lecito e illecito di armi: una suddivisione rischiosa, teologicamente. Le Chiese possono spingersi a tanto? Quest’interrogativo fa parte delle domande la cui risposta è decisiva per la pace nel mondo: domande, purtroppo, ancora inevase, non solo dalle singole Chiese, ma dal CEC nel suo insieme.

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