Il fascino del Buddhismo
C’è un fascino del Buddhismo che supera la razionalità dell’Occidente. E questo fascino si diffonde nelle nostre società secolarizzate bucando la cortina di un sistema sempre più appiattito alle regole produttive, meccanicistiche, affaristiche che spesso negano i valori profondi dell’uomo. In buona parte l’universo buddhista, che appare nelle formule meditative dei monaci dell’Oriente, ha al suo interno un movimento di impegno sociale molto attivo e dinamico, sia per quanto riguarda il tema della pace, sia per quanto riguarda la difesa della Madre Terra dai processi di erosione propri di una civiltà materialista.
Nella sua forma più genuina e profonda il Buddhismo, nella diversità degli insegnamenti, è una grande religione fortemente impiantata in un’etica della trascendenza che ha i suoi precetti concreti, le sue vie, i suoi sentieri, i suoi insegnamenti. Non si può improvvisarsi buddhista senza aver fatto un percorso all’interno delle quattro nobili verità o senza aver tentato di battere il nobile ottuplice sentiero o senza aver fatto i conti con la sofferenza del mondo, che rimanda al ciclo delle rinascite che vanno superate. I grandi maestri dell’Oriente criticano fortemente la scelta facile di elaborare nuove forme di Buddhismo a uso
e consumo individuale, come se il Buddhismo fosse una semplice filosofia valida per lenire i problemi legati alla psiche o all’apparato neurovegetativo. È quello che sta accadendo in Occidente attraverso la diffusione della new age o della religiosità supermarket che piglia da vari universi religiosi, soprattutto dell’Oriente, per ridefinire una forma di spiritualità alienata e alienante secondo uno schema sincretista. Tutto il contrario dell’insegnamento del Buddha che chiedeva ai discepoli di applicarsi con metodo alla pratica.
Ma per tentare di definire il Buddhismo abbiamo intervistato Gianpietro Sono Fazion, uno dei maggiori studiosi italiani di Buddhismo, autore di numerose pubblicazioni sulla storia e la visione della religione buddhista.
Gianpietro Fazion, possiamo tentare, in avvio di questa nostra conversazione, di definire il Buddhismo. È una religione o una filosofia, come alcuni studiosi sostengono?
Intanto va detto che non c’è un Buddhismo, inteso in senso univoco, ma ci sono più Buddhismi. Il Buddhismo è un universo plurale; c’è una gamma di Buddhismi nel mondo.
Il pensiero del fondatore è stato considerato, man mano che passavano i secoli, secondo varie sensibilità e varie scuole, che poi hanno creato i vari movimenti, i quali sono stati considerati come un arricchimento e non uno scandalo, non uno scisma.
Dunque il Buddhismo va da quello dei “theravadi” , gli ortodossi (più noto con il termine “piccolo veicolo”), che alla Conferenza mondiale sulle religioni a Chicago del ‘93 hanno detto chiaramente di rifiutare la parola Dio. É una via che essi percorrono in modo completamente umano, senza alcun ricorso a una entità trascendente. È una visione del mondo, questa dei theravadi, che ha un’etica fortissima e che porta comunque in un campo religioso. Loro spiegano la loro visione affermando che il Buddha avrebbe negato l’esistenza di Dio.
La cosa, secondo me, non è vera perché se si leggono bene i sutra si vede che il Buddha si rifiuta di affrontare questo tipo di problema perché riteneva che partendo dal fenomenico non riusciamo a definire la sua conoscenza. Per di più per il Buddha, la conoscenza era il riuscire a uscire dalla catena delle rinascite di un mondo che è fatto di sofferenza. E fa l’esempio della freccia avvelenata. Immaginiamoci un uomo che entra in un bosco e viene colpito da una freccia avvelenata e che quell’uomo dica: “Non voglio essere curato se non so chi ha tirato la freccia, com’è fatta la freccia, da che villaggio veniva, se è stata lanciata da un paria o se da bramino”. E l’insegnamento di Buddha dice: “Prima di sapere tutte queste cose quell’uomo perirebbe e dunque il problema non è sapere, ma curare la malattia dello spirito uscendo dalla catena delle rinascite”.
Dunque il Buddhismo, come dicevo, va da questa visione ortodossa e arriva alla tradizione del “grande veicolo”. Dopo la morte del Buddha i fedeli hanno cominciato a riflettere sulla sua fine come se fosse scomparso dietro l’indefinito, come se si fosse estinto totalmente. E a questo punto nasce una devozione che vedeva nel Buddha storico, terreno, vissuto fra il quarto e il quinto secolo avanti Cristo con i suoi vari nomi, Shakyamuni, Siddharta ecc. la manifestazione terrena di un’entità cosmica. Questa è la linea che porta al Mahayana, il grande veicolo. E così nasce la figura del Buddha cosmico, del Boddhisatva, che è Colui che ascolta le voci del mondo, che ha compassione per le sorti dell’uomo e della Madre Terra. Poi lo troviamo in Cina, in Giappone anche in forme femminili. Ecco, allora che i Buddhismi vanno dalla via autoreferenziale dei neravadi fino al Buddhismo della terra pura, che basta pronunciare anche una volta sola il nome di Amida, il Buddha del paradiso e non si torna più indietro e si entra nel nirvana.
Ci sono, dunque, molte scuole e molti insegnamenti. Accanto al Buddhismo mistico, c’è quello impegnato nel sociale come quello incarnato da una figura come Thic Nhat Hahn, che è tra coloro che maggiormente si sono spesi per aiutare le vittime della guerra vietnamita.
In Occidente noi conosciamo poco quello che si muove nell’Oriente. In Asia, ad esempio, ci sono movimenti di buddhisti impegnati nella difesa dell’ambiente, nella costruzione della pace, contro le guerre. In Occidente è successo questo: la forma conosciuta per prima è stata quella dei theravadi, degli anziani, del piccolo veicolo. Questo è un Buddhismo di monaci, come se fossero venuti dall’Asia dei messaggeri e avessero conosciuto il Cristianesimo dei padri del deserto. Qui da noi si pensa che il Buddhismo sia solo stare seduti in meditazione alienati dal mondo, ma la maggioranza dei Buddhisti nel mondo sono laici e sono impegnati in tutta la gamma di impegno sociale.
Oltre a Thich Nhat Hanh (che oggi vive in Francia dove dirige una comunità di attivisti per la pace tra i popoli e accoglie rifugiati da tutto il mondo) a suo tempo attivo con i suoi gruppi nonviolenti contro la guerra nel Vietnam, c’è naturalmente il Dalai Lama, premio Nobel per la pace nel 1989, che combatte la sua battaglia pacifica per ottenere l’autonomia del Tibet, e che afferma che non si può ottenere la pace universale senza prima conquistare la pace interiore. Oltre, naturalmente ai gruppi che lavorano in Asia ma anche in Occidente (Europa, Stati Uniti) a favore dei diritti umani e della democrazia, nell’assistenza ai malati di Aids, agli emarginati e così via. In evidenza inoltre l’impegno verso l’ambiente, per la salvaguardia delle foreste tropicali ad esempio in Thailandia e la riconversione della cultura del papavero da oppio, ad esempio in Brasile (foresta tropicale).
In Giappone il movimento buddhista laico fortemente impegnato nel sociale della Rissho Koseikai (fondato da Nikkyo Niwano, amico di Paolo VI), sovvenziona studi su progetti di verdificazione di parte del deserto del Gobi e del Sahel nel Burkina Faso, la conservazione delle foreste in Giappone; anche la Soka Gakkai, rilevante movimento buddhista presente in tutto il mondo, impegnato per la pace e la solidarietà nell’ambito dell’Onu e dell’Unescu, vede i suoi membri attivi nella tutela dell’ambiente, e porge il suo aiuto in occasione di disastri naturali nel mondo.
Si sta sviluppando anche una forma di sincretismo in Occidente, una religiosità da supermarket stile new age. Cosa pensa dei trapianti religiosi a sfondo
orientale?
C’è un grosso equivoco al proposito. C’è in Occidente questa tendenza alla new age per cui si prende quello che fa comodo dal Buddhismo, qualcos’altro dall’Induismo e mi faccio una spiritualità personale che risulta fondamentalmente adatta ai miei bisogni. Intorno gira un mercato di questo genere con libri, statuine, miti alla Baggio ecc.. Ma se dal Buddhismo si tolgono le quattro nobili verità (impermanenza e sofferenza; la brama, l’egoismo che ci tiene legati al ciclo delle rinascite; la cupidigia; il sentiero della ottuplice nobiltà, retta visione, retta
Tra le sue opere Il Buddha, Assisi 1993, Viaggio nel buddismo zen, Assisi 1990, Lo zen e la Luna, Roma 1994, 100 Haiku zen, Ali & no., Assisi 1999, Lo Zen e la luna. Appunti di viaggio, Roma 1994.
Se uno è buddista si deve impegnare in questa direzione e non adattare il Buddhismo a quello che lui pensa possa fargli più comodo. Il Buddhismo non è una pratica di rilassamento corporeo, è una visione del mondo e una religione.
Come giudica l’andamento del dialogo fra le religioni in questi ultimi anni?
Dopo il Concilio si è cominciato ad aprire il discorso, anche in modo un po’ banale (siamo tutti fratelli, dobbiamo volerci bene ecc.). Poi c’è stato l’incontro ad Assisi del Papa con i rappresentanti delle grandi religioni nel 1987, che di fatto ha rilanciato la prospettiva del dialogo interreligioso. Attualmente viviamo un periodo in cui tutti sono diventati un po’ più attenti. Siccome si pensa che si possa dialogare utilmente con l’altro se si è fortemente contenti della propria identità, allora si entra in uno spazio di riflusso identitario e questo credo soprattutto da parte dei cristiani, che si sono ritirati in un ambito che essi considerano primario, quello dell’ecumenismo. Il dialogo fra le religioni, invece, ha subito un rallentamento. Credo che ci sia sotto un po’ di paura di perdere l’orientamento. Per la prima volta in Occidente c’è questo fenomeno di invasione di cittadini provenienti da varie parti del mondo con le proprie identità religiose e non è più il missionario che va a predicare negli altri continenti, ma sono i monaci tibetani, induisti o i sufi islamici che vengono a raccontarci altre narrazioni religiose.