SPIRITUALITÀ

Ritorno alle sorgenti

Rileggere e attualizzare l’eredità dei maestri della nonviolenza italiana.
Antonino Drago

Sono vent’anni che è morto Lanza del Vasto. Capitini e don Milani sono morti da più di trent’anni. È quindi passata una generazione, un tempo più che lungo per ripensare la loro eredità senza personalismi e particolarismi; e anche per vederla unitariamente, con occhi sereni che guardano all’avvenire, invece che a una tradizione passata da conservare.
In Italia abbiamo avuto molti maestri di nonviolenza, di più che qualsiasi altro Paese europeo. Il che ci dice che noi abbiamo il più grande patrimonio europeo sulla nonviolenza. Ma lo gestiamo male. Certo occorre definire prima di tutto i punti fermi della nonviolenza, in modo da sapere che cosa cercare in questi maestri. Gandhi ha espresso al massimo grado una continuità tra vita interiore e vita sociale; detto altrimenti, tra fede e politica.
Più articolatamente la nonviolenza può essere caratterizzata sinteticamente con tre punti: la riforma di religione, come diceva Capitini; i quattro modelli di sviluppo, caratterizzati da Galtung; e, nel mezzo della scala sociale, la pratica di vita delle comunità nonviolente (più che la vita di partito), così come hanno esemplificato le Comunità dell’Arca.
Nel seguito, per brevità, mi riferirò solo a tre tra i tanti maestri italiani della nonviolenza; quelli che mi sembrano più significativi. Procederò a ritroso nel tempo, giusto per risalire alle fonti anche temporalmente.

Don Dilani
Lo si può caratterizzare dicendo che con lui la parrocchia si fa comunità, la Chiesa si fa scuola, la religione si fa pedagogia. Tipicamente secondo l’atteggiamento fondamentalmente pedagogico che ha la nonviolenza nei rapporti personali.
Più in generale don Milani rappresenta una mediazione empirica e concreta socialmente del patrimonio ideale che Gandhi ha comunicato all’Occidente. La religione, pur nell’obbedienza gerarchica da prete, l’aveva intesa a modo suo, in un modo riformato: cioè come impegno di fede nella società. È interessante che avesse iniziato a scrivere un catechismo di tipo nuovo.
Di fatto don Milani è famoso per due azioni nonviolente di grande importanza sociale e storica: le lettere ai cappellani militari e alla professoressa. Ognuna delle lettere è un’analisi approfondita, perché strutturale, di un particolare settore della società, con la proposta dell’alternativa nonviolenta. Sono ambedue esemplari nel far passare la coscienza individuale del rispettivo settore sociale alla coscienza dei rapporti strutturali della società in quel settore. Qui sta il loro valore di “libretto rosso del ‘68 italiano”.
Le lettere sono state realizzate con la scrittura collettiva, espressione letteraria della comunità di vita che egli ha saputo realizzare con i suoi alunni (al punto che nel testamento dichiara di aver voluto più bene a loro che a Dio).

Lanza del Vasto
Con lui si può ben dire che la nonviolenza ben ordinata inizia da se stessi. Prima di tutto egli ha curato (per conversione e per scelta politica) la riforma di religione. Tre uomini in Europa hanno pensato nel 1936 di andare da Gandhi per avere una risposta al flagello ricorrente della guerra: Buonaiuti, Bonhoeffer e Lanza del Vasto. Solo lui è andato, ha conosciuto Gandhi, ne è stato discepolo, ha voluto risalire alle sorgenti del Gange, come ogni buon Indù (restando lui cattolico) e ne ha ricevuto la missione di fondare comunità gandhiane in Occidente. Di ritorno ha affrontato, secondo l’insegnamento di Gandhi, l’approfondimento della sua propria religione ma in termini nonviolenti, cioè ecumenici. Da qui la sua rivisitazione del Vangelo e della Genesi e di Apocalisse 13: i testi ebraico-cristiani che esprimono la lotta tra il Bene e il Male e la sua soluzione. Da qui la fondazione della nonviolenza come conversione dalla spinta spontanea al male al bene che è nella nostra natura: dal sapere-sfruttamento egoistico alla conoscenza-amore .
Essendo i temi della lotta tra Bene e Male e della salvezza i temi tipici di ogni grande religione, Lanza del Vasto ha interpretato in modo moderno il fondo comune di tutte le grandi religioni, come conversione non solo personale, ma anche sociale; unendo così fede e politica come è tipicamente nella nonviolenza di Gandhi. Con ciò la nonviolenza diventa veramente il deposito del patrimonio sapienziale dell’umanità, portato alla piena coscienza dei rapporti sociali della società moderna.
La comunità allora diventa il luogo dove si concretizza questa spiritualità fatta rete di relazioni umane capaci di risolvere i conflitti attraverso la nonviolenza; l’inizio della nuova religiosità diventa l’inizio della nuova società. La comunità dell’Arca può essere intesa forse come un nuovo monacato (pur essendoci sposati e celibi anche non di una fede specifica), ma anche come una microsocietà di una nuova società di tipo tribale. La sua ispirazione religiosa chiarita socialmente lo porta a teorizzare a tutto campo, dall’individuo alla società alle sue strutture. Dall’etica trascendente o comunque eterna di Gandhi, con Lanza del Vasto si scende a vedere concreta mente le differenti civiltà che la storia umana ci presenta e in esse i possibili quattro tipi di società (che poi in Galtung 1976 verranno precisati nei quattro modelli di sviluppo, dei quali quello verde è quello gandhiano).

Capitini
In Aldo Capitini la nascita della nonviolenza è strettamente connessa al suo scandalo per il Concordato tra Chiesa e fascismo e la necessità di una “riforma di religione”. Anche in punto di morte egli dice di essersi considerato sempre il sacerdote di una nuova religione, così alta da saper fare politica; perché la politica più alta è religione. La sua riforma è una rifondazione da laico che crede non nella trascendenza, ma nei rapporti immanenti tra le persone: l’io in relazione al tu-tutti, fino alla coralità (anche con i malati e i morti; don Milani diceva “a partire dagli ultimi”).
La vita di Capitini è stata molto sofferta; non solo per le malattie corporali; ma perché antifascista bersagliato sotto il fascismo e poi emarginato dalla politica dualistica (cattolici-comunisti) italiana. Il suo periodo più forte è stato quello sotto il fascismo, poi è stato ridotto all’impotenza sociale (salvo quando nel ‘68 stava congiungendosi con il movimento studentesco; ma allora lo sbaglio dell’operazione chirurgica lo terminò).
Sotto il fascismo egli optò (“Dio non è essere, è scegliere”) per due scelte basilari, in opposizione a quelle fasciste: società aperta e autorganizzata, progresso come sviluppo delle relazioni umane.
Poi iniziò una profezia che pochi hanno capito. Nel 1943 egli anticipa i quattro modelli di sviluppo parlando delle quattro motivazioni che ogni cittadino si dà per vivere in un mondo complesso come l’attuale. Inoltre fonda la nonviolenza per la prima (e tuttora unica ‘volta’ vedasi il recente tentativo di J.-M. Muller) sullo sviluppo della filosofia occidentale (il fallimento kantiano della

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ragione occidentale nel comprendere l’essenza della realtà, deve condurre l’uomo a un impegno etico che invece di rivolgersi all’Assoluto trascendentale di Hegel deve coinvolgere tutte le persone con cui entriamo in relazione, visibile e invisibile). Prevede nel 1955 il crollo del socialismo reale e il motivo di questo crollo; la perdita della originaria ispirazione "religiosa" (nel 1957 prevede il crollo dell’Occidente, secondo un destino di autodistruzione, in cui egli entra per fatalismo attivo, il progresso tecnologico, così come è nelle tragedie greche).
Nel dopoguerra ha avuto pochi aiuti: abbandono da parte degli amici che fonderanno il Partito d’Azione; Buonaiuti e Todesco lo lasceranno solo a mantenere la riforma di religione, poi la Chiesa metterà all’indice un suo libro; i COS verranno spenti dalla sinistra appena diventano influenti; l’Università lo accoglierà come professore solo da anziano e in un quasi confino, Cagliari; la collaborazione con Pietro Pinna, iniziata nel 1964, sarà basata sulla reciproca autonomia e su due diverse accezioni della nonviolenza. Per questo egli andava orgoglioso della sua tetralogia di libri scritti attorno agli anni della guerra. Poi la sua riflessione e la produzione letteraria non riuscirono a sciogliere completamente i nodi intellettuali e spirituali della sua riforma di religione, che a molti apparve “incomprensibile”, se non “paradossale”. Eppure poi il Concilio Vaticano II innovò la Chiesa cattolica proprio su linee convergenti con quelle proposte da Capitini.
La sorgente di un bel fiume è sempre qualcosa che non ha il corso regolare successivo, si sparge un po’ dappertutto, anche se ha qualche sorgente precisa. Oggi lasciare che l’eredità di Capitini resti indefinita nuoce moltissimo ai giovani che vogliono comprendere il suo insegnamento nonviolento, è motivo di spregiudicate esplorazioni per tirare la coperta della nonviolenza dalla propria parte, permette l’equivoco paradossale di marce Perugina-Assisi indette per la pace che però per molti vanno a giustificare le guerre in corso. In particolare la non definizione della sua riforma di religione è di grande danno ai cattolici, che sanno bene che il Concilio non ha risolto tutto e però non sanno rifarsi alle idee di Capitini che sono ancora di grande attualità; e per i laicisti costituiscono una vera pietra d’inciampo che sbarra il cammino di una nonviolenza coinvolgente la propria vita, perché temono da lui la solita riproposizione di una religiosità ufficiale ecclesiastica.
In sintesi i tre rappresentano un percorso dal personale al politico (anche ideologico) in un Occidente militarista, colonialista e capitalista, nel quale c’era soprattutto da compiere un’azione educativa alla nonviolenza, fondandola sulla tradizione spirituale e culturale dell’Occidente. Se tutto questo è vero, ora c’è da approfondire questa nonviolenza e da viverla in gruppo: da una parte le comunità e i movimenti, invece dei partiti; dall’altra una nuova coscienza sociale e storica basata sui quattro modelli di sviluppo, la caratteristica intellettuale dei nonviolenti perché essenzialmente pluralista.

Note

Docente di Storia della Fisica all’Università di Napoli

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