DIFESA

Che fine ha fatto la DPN?

Affrontare il rapporto tra difesa e nonviolenza è sempre più essenziale per uscire dalla generica retorica della pace.
Nanni Salio

Da quanto tempo non sentiamo più parlare di DPN (Difesa Popolare Nonviolenta)? È passata di moda? È stata solo un abbaglio di qualche nobile sognatore, con la testa un po’ tra le nuvole? Un giudizio drastico, tranchant, è contenuto (c) Fabio Corazzina/Archivio Mosaico di pace nella prefazione a un libro peraltro importante: “Se il pacifismo vuole avere qualche ruolo politico e non condannarsi a una posizione di testimonianza astratta, fuori dalla storia e dalla realtà concreta, deve mettere da parte – almeno per questo tipo di conflitti – strumenti come l’‘interposizione non-violenta’ o addirittura vecchi arnesi (vera archeologia!) come la ‘difesa popolare non-violenta’ – che risultano del tutto incongruenti, se non controproducenti, in conflitti che mobilitano milizie mafiose, narcotrafficanti, eserciti mercenari, o gruppi di potere senza scrupoli per decidersi a studiare e a mettere in campo una strategia adatta a rispondere alle nuove tipologie di conflitto”. (Marco Deriu, “Il difficile impegno di un pacifismo critico”, Prefazione a Claudio Mazzocchi, La balcanizzazione dello sviluppo. Nuove guerre, società civile e retorica umanitaria nei Balcani, Casa editrice il Ponte, Bologna 2003, p. 9).

Le proposte non mancano
La proposta di modelli di difesa alternativi, in particolare quelli senz’armi, nasce all’incirca negli anni ‘60, anche se già prima c’erano state importanti esperienze. In seguito, queste idee furono sviluppate da studiosi come Theodor Ebert, Johan Galtung, Gene Sharp. A partire dalla seconda metà degli anni ‘70 si sviluppò anche in Italia un dibattito che portò alla “Campagna di Obiezione di Coscienza alle Spese Militari e per la DPN”, lanciata nel 1982, e tuttora in corso.
Quali risultati sono stati ottenuti e quali altri dobbiamo ancora ottenere, che cosa possiamo fare per sostenere la Campagna e promuovere la DPN? Per rispondere a queste domande, mi sembra utile e doveroso riferire il parere di uno degli infaticabili pionieri della DPN, Antonino Drago: “Occorre ricordare a noi e agli altri che la DPN ha oggi tre punti fermi giuridici: 1) L’ Agenda per la Pace di Butros Ghali, dove è compreso il peacekeeping civile; 2) le sentenze della Corte Costituzionale sulla equivalenza della difesa della patria con e senza le armi; 3) le leggi 60/92 sull’intervento di pace all’estero, 230/98 sulla riforma della ODC (con la formazione e sperimentazione della DPN), 64/01 sul servizio civile, che tra i suoi fini include la difesa della patria (ovviamente senza armi)”.
A tutto ciò si aggiunga il fatto che sono stati nomi nati i membri della Commissione DPN prevista dall’Ufficio Nazionale del Servizio Civile (UNSC). Come utilizzarla e come orientarne i lavori? È ancora Drago a suggerirci una serie di possibili iniziative: “Si può pensare di utilizzare la Commissione DPN per dare l’impulso al suo radicamento sociale: 1) istituire un lavoro di ricerca sulla DPN finanziato pubblicamente; 2) collaborare alla nuova istituzione della protezione civile; 3) indirizzare e controllare la attuazione della DPN nella pratica del servizio civile; 4) collegarsi con i Corpi professionali difensivi (VVUU, VVFF, FFGG, ecc.) per collaborare alla DPN; 5) studiare con il Min. Difesa i collegamenti tra DPN e difesa nazionale; 6) collegare gli EE. LL. e le Regioni sui temi della DPN; 7) collegare i 13 corsi su pace e sviluppo delle Università sui temi della DPN; 8) collegare le ONG di cooperazione internazionale sul tema; 9) cercare di regolamentare le ormai numerose scuole post-laurea di peacekeeping e di regolare la partecipazione dell’Italia alle missioni ONU; 10) dare un sostegno e un indirizzo agli interventi di interposizione all’estero; 11) iniziare una lotta nonviolenta alle mafie; 12) promuovere iniziative per le Associazioni per la pace e la nonviolenza per indirizzarle alla DPN”.
Per realizzare concretamente questo elenco di possibilità, che potrà essere ulteriormente accresciuto, Drago osserva giustamente che “occorrerà stabilire una saggia strategia politica; la quale dovrà nascere da un accordo tra i membri della commissione e poi con l’UNSC. E dipenderà anche da quanto si farà in Italia sull’interposizione nonviolenta e da quanto si farà all’estero per iniziare istituzioni pubbliche analoghe alla Commissione DPN e all’UNSC. Questa strategia, essendo del tutto iniziale nel mondo, ed essendo vincolato dalle circostanze storiche e sociali, dovrà essere sperimentale e cauta”.

Affrontare i conflitti
In attesa della pubblicazione del decreto di nomina della Commissione DPN e del suo insediamento, non dobbiamo restare passivi, ma potenziare la Campagna OSM-DPN che ha permesso di ottenere questi risultati, ancora parziali, ma certamente significativi. A questo proposito, si registra purtroppo una nota dolente, perché da qualche tempo è venuta meno quella unità e quello sforzo congiunto che erano stati un elemento di forza nel promuovere tale Campagna. È giunta l’ora di ripensare concretamente, da parte del MIR e del Movimento Nonviolento, alle scelte fatte in passato, di abbandono della Campagna, perché l’opzione congiunta della obiezione/disobbedienza e dell’opzione/contribuzione sono due leve indispensabili per dare uno sbocco concreto alle aspirazioni del più ampio movimento per la pace e per tradurre in chiave politica e strutturale concreta l’impegno di lotta contro la guerra.
Una efficace politica di pace richiede di muoversi congiuntamente in più direzioni, che non solo non si escludono tra loro, ma si rafforzano. Ne ricordo alcune tra le più importanti: 1) avvio di un processo di transarmo/disarmo che permetta di smantellare tutti i sistemi d’arma offensivi al fine di realizzare una difesa autenticamente difensiva che consenta all’UE di non inseguire l’attuale politica

Bibliografia
Una completa bibliografia sulla Difesa Popolare Nonviolenta è stata curata e commentata da Enrico Peyretti, “Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente”, pubblicata nel sito:
http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_2668.html
oppure nel sito del Centro Studi Sereno Regis:
www.arpnet.it/regis/centro/centro_home.htm
USA, ma di optare per una politica di neutralità attiva che, progressivamente, si potrà estendere su scala mondiale, sotto l’egida di Nazioni Unite riformate; 2) riconoscimento e avvio della realizzazione di una DPN su scala interna (mafie, conflitti sociali) e internazionale (caschi bianchi, corpi civili di pace); 3) avvio di un processo di riconversione delle spese militari (riduzione del 5% all’anno per più legislature) per la realizzazione dei punti precedenti; 4) azione capillare, diffusa, per promuovere e radicare una cultura della “trasformazione nonviolenta dei conflitti” dal micro al macro, dalla famiglia al quartiere, dall’UE al mondo intero.
La transizione, seppure graduale, da un modello di difesa altamente offensivo, come quello odierno, a uno esclusivamente difensivo e contemporaneamente l’avvio e la sperimentazione di forme di DPN sono le condizioni strutturali per uscire dalla generica retorica della pace e dalle sterili teorie del realismo politico. Si è visto in questi anni come il solo diritto internazionale e costituzionale (art 11 in Italia, art. 9 in Giappone, Carta delle Nazioni Unite) sia insufficiente, da solo, per garantire politiche di pace. Sono nobili intenzioni, che per essere confermate debbono poggiare sull’elemento strutturale, questo sì reale, di un diverso modello di difesa e di una diversa cultura del conflitto, che ne consenta la trasformazione nonviolenta.
Questo è il punto che sinora non è stato sufficientemente compreso né da coloro che si limitano a invocare la pace, né da coloro che manifestano generosamente ma poi si dissolvono facilmente come neve al sole. Il cambiamento effettivo avverrà, se mai avverrà, quando questo punto nodale delle politiche di pace sarà fatto proprio da tutto il movimento, nelle sue molteplici sfaccettature (laiche, religiose, di base, istituzionali). Al momento abbiamo una Campagna OSM-DPN che deve essere rafforzata per consentire una crescita e una partecipazione a centinaia di migliaia di persone e non solo a poche centinaia di tenaci testimoni.
Questa è la sfida che abbiamo di fronte, se vogliamo affrontare seriamente i molti nodi globali che stanno di fronte all’umanità, a cominciare dall’inderogabile impegno della riduzione sino alla completa eliminazione delle forme più gravi di violenza strutturale (fame, denutrizione, malattie e pandemie che colpiscono un quarto dell’umanità) che forse riusciremo a risolvere se saremo capaci di smontare la gigantesca macchina da guerra che assorbe un trilione di euro all’anno. L’energia umana e materiale che potremo liberare ci consentirà di vivere secondo uno stile di vita più equo, sostenibile, solidale, sobrio, gioioso, partecipativo e nonviolento.

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Centro Studi Sereno Regio e segretario dell’IPRI (Italian Peace Research Institute)

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