Dietro le quinte
Un popolo resistente che chiede disarmo e solidarietà.
In una parola Liberazione.
Ci sono le foto a descrivere i volti, i colori, le bandiere arcobaleno che gremivano l’Arena. Resta nella mente la musica di qualità che è stata la colonna sonora della giornata. Sono sedimentate nell’animo le emozioni venute dagli spalti e dal palco di un anfiteatro dove è stato messo in scena un racconto di pace e disarmo. Questo è stato il nostro 25 aprile: una storia di resistenza e nonviolenza. Resistenza contro l’oppressione delle armi che preparano nuove guerre, e nonviolenza per costruire politiche di pace.
La sfida
Quando, un anno fa, abbiamo iniziato ad accarezzare l’idea di ri-convocare un’Arena di pace, sembrava una sfida impossibile. Troppo rischioso. Il clima non era più quello degli anni Ottanta-Novanta. Il movimento frammentato, in una fase di ripensamento. E se poi non la riempiamo? Tanti i dubbi, ma sentivamo che ce n’era bisogno. Ci voleva l’idea giusta, bisognava crederci. Era necessario cambiare formula: non una riedizione di “come eravamo”, ma la proposta di un nuovo percorso.
E così “Arena” ha cominciato a prendere forma. Ottenuta la concessione del monumento, la possibilità di averlo proprio per il 25 aprile, data-simbolo, ci ha convinti che il legame Resistenza/Nonviolenza e Liberazione/Disarmo avrebbe funzionato. Un’Arena nuova, che si rivolgesse non solo alle tradizionali associazioni pacifiste, ma a tutto il più vasto movimento, laico e religioso, capace di coinvolgerlo sui nostri temi. La parola-chiave doveva essere “disarmo”.
Il progetto era convincente. La discussione, sia a Verona che a livello nazionale, si è allargata per centri concentrici. Per evitare primogeniture, si è deciso che l’Arena venisse convocata semplicemente dai firmatari dell’appello. Un modo per farla sentire di tutti, con l’unica richiesta di riconoscersi nei contenuti espressi, riassumibili nelle parole “pace e disarmo”. Localmente si è formato un gruppo organizzatore sempre più solido. Le reti per il disarmo, la nonviolenza, il servizio civile, la pace, ne hanno assunto la promozione. Via via, si sono aggiunte associazioni, piccole e grandi, e si sono moltiplicati gli incontri, in tutta Italia, di un percorso “verso Arena di pace”. Tutto è stato condotto con metodo nonviolento, e sappiamo che nel mezzo c’è già il fine, senza sotterfugi, senza cordate, senza furbizie, senza primi attori, come sempre si dovrebbe fare, superando steccati, creando nuove relazioni e alleanze.
Poi è nata anche l’idea di un nuovo formato per la giornata. Una sorta di “spettacolo” che mettesse in scena le nostre politiche per la costruzione della pace e della nonviolenza, con testimonianze e musica. Così si è pensato a una regia, una conduzione, una direzione artistica. E poi il palco, e poi la scenografia. La preparazione dell’evento richiedeva sempre più lavoro, più energie, più risorse, ma i volontari e le forze aggiuntive sono sempre arrivati al momento giusto. Anche i soldi, abbiamo pensato, salteranno fuori. Se ci crediamo, ognuno farà la propria parte. Se vogliamo “riprenderci l’Arena”, ce la dobbiamo pagare tutti insieme.
Per ricominciare
Venerdì 25 è arrivato. Anche il meteo ho voluto contribuire, regalandoci una splendida giornata di sole, inaspettato fino a poche ore prima. Poi, dalle 13 in avanti, la platea, le poltroncine, le gradinate hanno iniziato a riempirsi, sempre di più, fino a contarne oltre 13 mila, arrivati con 30 pullman e coi treni, in bici o a piedi da Verona e da tutta Italia. La giornata è iniziata alle 14 in punto con le note di Give Peace a Chance, “dai una possibilità alla pace”, ed è terminata alle 20 con la strofa cantata “voglio tornare per ricominciare”. Una scaletta di sei ore che è un programma politico.
L’Arena di pace e disarmo è stata una grande festa collettiva. Mentre guardavo dal palco lo spettacolo che si svolgeva sui gradoni, con il lancio di migliaia di aerei di carta colorati, o durante l’emozionante minuto di silenzio assoluto dei 13 mila presenti, mi venivano in mente le parole di Aldo Capitini: “Nella festa si trova una ragione più profonda della vita, una solidarietà più salda, un anticipo della liberazione, un’atmosfera in cui ci si purifica, ci si eleva, ci si abbandona”.
Una ragione più profonda della vita: i testimoni hanno saputo toccare le corde dei costruttori di pace presenti in Arena, appellandosi ai valori di coscienza che ci muovono.
Una solidarietà più salda: gli impegni presi vanno nella direzione da noi auspicata: coniugare solidarietà con giustizia, diritti con doveri.
Un anticipo della liberazione: le tematiche affrontate, dal servizio civile alla campagna NoF35, dagli interventi civili di pace alle spese militari, dalla militarizzazione del territorio alla difesa ambientale, fino all’amministrazione del bene pubblico con la nonviolenza, hanno dimostrato che la liberazione nonviolenta è già in atto.
Un’atmosfera in cui ci si purifica: la musica è stata parte integrante della manifestazione, non un riempitivo, ma espressione artistica tendente alla bellezza della nonviolenza;
ci si eleva: la compresenza di amici che ci hanno preceduto è stata un richiamo a dimensioni spirituali;
ci si abbandona: ogni singolo è entrato, con fiducia, nella dimensione collettiva del movimento, abbandonando il proprio ego per riconoscersi parte di Arena: dal tu al tutti.
Arena di pace e disarmo ha rimesso in moto energie, aspettative, entusiasmi che da tempo attendevano di trovare un punto di riferimento; il successo ottenuto (e non solo in termini di partecipazione fisica, ma anche politica) è dovuto senz’altro al fatto che si è trattato di un percorso condiviso, allargato, di un lavoro di “rete” che abbiamo saputo mettere in campo. Ora dobbiamo saper capitalizzare questo patrimonio rivalutato, che altrimenti rischiava di essere disperso, per proseguire nel cammino comune che ci siamo dati con la “Campagna disarmo, difesa civile non armata e nonviolenta”.