In nome delle armi
E l’appoggio all’export delle armi è trasversale a tutti gli schieramenti politici.
Intervista a Jürgen Grässlin.
Jürgen Grässlin è forse l’uomo più temuto e detestato da fabbricanti e piazzisti d’armi. Il settimanale Die Zeit lo ha definito così: “Il più famoso oppositore tedesco all’industria armata”. In Germania le hanno tentate tutte per tappargli la bocca. Ma i suoi scritti sono di fuoco e le denunce fanno tremare i palazzi. Nessun dato è campato per aria. Ogni pubblicazione porta con sé le fonti: documenti segreti, cifre, atti sigillati dalle varie commesse militari, accordi commerciali delicatissimi, delibere governative, cronache, resoconti, testimonianze dirette. Il suo impegno pacifista e nonviolento si intreccia con la vocazione professionale dell’insegnante e del pedagogo: dire al mondo l’enorme contraddizione della democrazia occidentale, da una parte evocare la pace, dall’altra praticare la guerra. E la Germania, guida corazzata dell’Europa, è il paese dove la contraddizione ha una storia lunga e trasversale. Ogni coalizione di governo, fosse di destra, di centro o di sinistra, ha avuto il suo bel da fare per far schizzare il business delle armi e garantirsi, con l’export, l’approvvigionamento alle materie prime nel Sud. Terzo Paese al mondo per traffico d’armi (la Heckler & Koch è la prima fabbrica europea per costruzione e esportazione di armi leggere), la Germania non si ferma davanti a nulla, nemmeno quando le richieste di forniture d’armi provengono da Paesi che non rispettano i diritti umani o da dittature spietate: “In Germania il mercato delle armi – afferma risoluto Grässlin – non contempla la democrazia”.
L’ultimo lavoro di Grässlin, Schwarzbuch Waffenhandel. Wie Deutschland am Krieg verdient (Libro nero sul commercio delle armi. Come la Germania fa affari con la guerra, Wilhelm Heyne Verlag, Monaco 2013, 625 pagine) è forse il libro più completo e approfondito sul tema dell’export armato che sia uscito in Germania. Oltre che saggista, Grässlin è uno dei punti di riferimento del movimento pacifista tedesco, portavoce nazionale della Dfg-Vg (Deutsche Friedensgesellschaft – Vereinigte KriegsdienstgegnerInnen), referente della Campagna “Aktion Aufschrei: Stoppt den Waffenhandel!” e direttore degli uffici di informazione sulle armi (RüstungsinformationsBüros)
Jürgen Grässlin, il suo libro nero sul commercio delle armi sta creando un notevole imbarazzo negli ambienti dediti al commercio e alla fornitura delle armi. Ha avuto problemi personali?
Forse vi sembrerà strano. Fino ad oggi non ci sono state minacce o azioni giudiziarie contro questo libro. È la prima volta che accade. In passato l’industria delle armi ha sempre cercato di ostacolare o impedire le mie pubblicazioni con richieste di censura o con veri e propri procedimenti giudiziari sempre falliti ma con conseguenze pesanti per la mia vita. Come quando il gruppo Daimler AG, produttore di veicoli civili e militari, ha intrapreso due distinti procedimenti nei miei confronti. Sono durati oltre quattro anni fino a che la Corte costituzionale di Karlsruhe ha emesso una sentenza di innocenza nei miei confronti appellandosi all’articolo 5 della Costituzione che prevede la libertà di stampa e imponendo alla Daimler il pagamento delle spese processuali. Dopo l’uscita di questo libro, che contiene accuse dettagliate, sia il potere politico che l’industria delle armi non hanno voluto reagire. Forse ritengono che sia strategicamente meglio essere messi pubblicamente alla gogna piuttosto che perdere in sede processuale perché tutti i fatti che riporto sono comprovati e verificati. In Germania, grazie al cielo, disponiamo di un’eccezionale banca dati che abbiamo costruito con pazienza e tenacia elaborando riviste specializzare del settore militare nazionale e internazionale o sulla base di collegamenti interni al settore industriale compresi i livelli manageriali.
Dal libro emerge un dato chiaro: l’export delle armi passa trasversalmente e abbraccia tutti i partiti e tutti gli schieramenti politici. Nessuno escluso.
Noi accusiamo tutti i partiti che hanno governato in Germania (Cdu, Csu, Fdp, Fpd e Bündnis 80/Die Grünen) di aver ceduto al potere lobbistico delle armi. La più grande delusione è stata il governo rosso-verde del 1998-2005 a cui il movimento pacifista e quello dei diritti umani guardava con speranza in vista di un cambio di marcia. Dopo una iniziale illusione, c’è stata la delusione più graffiante. Con l’11 settembre 2001 il governo federale guidato da Schröder e Fischer ha cambiato linea dichiarando solidarietà totale con il governo Usa e la conseguente partecipazione attiva della Germania alla guerra contro il terrore in Afghanistan per cui l’esportazione delle armi dal 2002 al 2005 è quintuplicata. Un tale aumento dell’export non era mai stato registrato prima e non si è neppure mai ripetuto dopo. È un triste primato del governo Schröder.
Quali sono i canali aperti dall’export delle armi tedesche verso i Paesi africani?
C’è una continuità temporale nel commercio di armi mobili con i Paesi africani, però, per l’industria germanica il mercato africano non è centrale. Il mercato strategico è quello del Sudest-asiatico. La fine dell’embargo libico nel 2004 è stato salutata con grande piacere dall’industria bellica tedesca e il governo rosso-verde ha immediatamente aperto il canale commerciale. Tradizionalmente solidi sono i rapporti con il Sudafrica dove si può documentare un continuo aumento nella fornitura di armi. Purtroppo dobbiamo mettere in conto che, per decenni, sono stati forniti legalmente armi nel conflitto sudanese, in particolare armi leggere (fucili) della ditta Haeckler & Koch. Sempre potente è, per la Germania, il mercato con l’Arabia Saudita.
E il governo della Merkel?
La linea politica della Merkel è caratterizzata dall’interesse economico con Paesi fornitori di materie prime secondo questa logica: “In cambio di armi vogliamo le vostre materie prime”, come il petrolio o i diamanti angolani. Il tema della nonviolenza e dei diritti umani rimane fuori o del tutto marginale. Fu così nel 2008 quando la Merkel strinse accordi commerciali in tema di armi con l’Algeria di Bouteflika per un valore di circa dieci miliardi di euro.
C’è una cooperazione nell’export militare tedesco con l’Italia?
Noi abbiamo un impresa leader europea per le armi leggere (Heckler & Koch) che ha la sua sede vicino a Stoccarda. La H&K non si fa alcuno scrupolo a produrre e commerciare armi in tutti i Paesi del mondo (il fucile G3 è il più diffuso dopo il Kalashnikov nel continente nero). Non abbiamo informazioni su rapporti con altre ditte italiane come la Beretta, che è una concorrente della H&K. Si può constatare una cooperazione per quanto riguarda i grandi sistemi d’arma, ma non per le armi leggere.
Quanto è forte la pressione delle lobby armate sulla politica tedesca e quali paraventi etici e giuridici sono stati posti per regolamentare la materia?
Prendiamo la Heckler & Koch. Pur essendo il più grande esportatore europeo di armi leggere, si tratta concretamente di una piccola-media impresa (150 dipendenti). Di fatto io la considero l’impresa più “mortale” della Germania. Da una ricerca condotta dalla Croce rossa internazionale sappiamo che il 63 per cento dei morti in conflitti armati è causato dall’uso di armi leggere. In Germania esiste un organismo (Bundessicherheitsrat) che si riunisce con vincolo di segretezza nel palazzo della cancelleria ed è presieduto dalla stessa cancelliera a cui prendono parte alcuni ministri. Lì si decide verso quali Paesi è possibile esportare armi.
Come si è sviluppato sino ad oggi l’export delle armi in Germania?
Fino al 2010 era salito a 2,1 miliardi di euro non tenendo conto delle forniture di beni a uso combinato civile/militare o di beni come, per esempio, i carri armati in riuso, (“Einzelausfuhren und Sammelausfuhren”) il cui dato, riferito al 2012 è pari a 8 miliardi di euro. Temiamo che nei prossimi anni l’export aumenterà drammaticamente in conseguenza della pubblicazione dei dati sugli affari attualmente in corso.
Come sta reagendo la cosiddetta società civile?
Non siamo più disponibili a tollerare questa situazione. Nel 2011 su mia iniziativa si è costituita la più grande alleanza mai vista finora in Germania: “Aktion Aufschrei” (Grido d’azione). Sono oltre cento le organizzazioni che vi hanno aderito, dal movimento per la pace e i diritti umani alle Chiese evangelica e cattolica, dal movimento contro la globalizzazione, a iniziative di solidarietà come la “Brot für die Welt” o “Misereor”. Siamo un’alleanza ampia e possiamo esercitare una forte pressione sulla politica.
L’intervista è stata pubblicata anche nel numero di aprile 2014 di Nigrizia.