A quando un bando universale?
La terza Conferenza di revisione della Convenzione di Ottawa si è svolta a Maputo in Mozambico il 23-27 giugno u.s. ed è servita a valutare, a 15 anni dalla sua entrata in vigore, i progressi compiuti sino ad oggi nel divieto della produzione e dell’uso del commercio delle mine antipersona, delle attività di bonifica umanitaria di supporto alle vittime e l’universalizzazione del Trattato stesso. All’apertura dei lavori, la Campagna Internazionale (ICBL) ha invitato i Governi dei Paesi parte della Convenzione a raccogliere la sfida al completamento della bonifica dei loro territori e di tutti gli obblighi derivanti dalla loro adesione alla Convenzione entro e non oltre i prossimi 10 anni.
Il Trattato di Ottawa dal suo inizio ha fatto passi da giganti: oggi conta ben 161 Paesi aderenti e una costante riduzione del numero di vittime di mine. Le norme contro l’uso delle mine antipersona accettate sono sempre più condivise a livello globale. Dall’entrata in vigore della Convenzione, ben 27 Stati sono definitivamente liberi dalle mine antipersona. Lo stesso Mozambico, che ha assunto la presidenza della Conferenza durante la settimana di lavori, si è impegnato a cancellare entro la fine dell’anno le sue rimanenti aree minate. A livello globale, nel mondo, nel corso degli ultimi cinque anni quasi 1.000 chilometri quadrati di area contaminata è stata bonificata.
La dichiarazione di Maputo
Maputo è stata l’occasione per ribadire l’impegno della comunità internazionale nella lotta alle mine e alle conseguenze umanitarie. A partecipare alla Conferenza sono stati i rappresentanti di 79 Paesi membri che hanno firmato la Dichiarazione di Maputo, impegnandosi a concludere quanto stabilito dal Trattato – distruzione degli stock negli arsenali, bonifica dei territori contaminati e assistenza alle vittime da mine – entro il 2025. Tra i partecipanti alla Conferenza vi erano quasi 1000 persone; tra questi oltre 150 delegati della società civile provenienti da tutto il mondo, rappresentanti della rete internazionale ICBL (Campagna Internazionale per la messa al bando delle mine), sopravvissuti alle mine, operatori di assistenza alle vittime e ricercatori.
Dopo il processo di “policy review” durato 5 anni, iniziato a Cartagena in Colombia, gli Stati Uniti hanno annunciato, attraverso l’Ambasciatore degli Stati Uniti in Mozambico Douglas Griffiths, la loro intenzione “in futuro” di aderire al Trattato di Ottawa, e hanno affermato che non produrranno né acquisteranno mine antipersona del tipo vietato dalle Convenzione. L’annuncio, accolto come un segnale positivo – così come la presenza alla Conferenza di ben 12 Paesi non ancora parte della Convenzione, tra cui Cina e Libia, oltre agli USA – è stato ridimensionato per il mancato annuncio di un termine per l’adesione alla Convenzione stessa. Di fatto, non aderendo formalmente al Trattato, gli Stati Uniti si sono riservati, potenzialmente, la possibilità di usare i 10 milioni di mine antipersona in loro possesso, anche se, pare, non ne utilizzino dal 1997. Una posizione, insomma, quantomeno ambigua questa degli Stati Uniti, pur se si riconosce al Paese a stelle e strisce l’impegno nel campo della cooperazione tesa a lenire il problema umanitario causato dagli ordigni inesplosi. Una posizione che rivela l’incapacità del presidente Obama di impegnare il suo Paese almeno in quei campi nei quali, in veste di Senatore precedentemente alla sua elezione, si dichiarava favorevole come, appunto, l’adesione formale alla Convenzione di Ottawa. Un’adesione richiesta dal basso anche per il pregio indiscutibile di un percorso internazionale che è divenuto – malgrado lo scetticismo – un faro per molte iniziative dedicate al disarmo. Probabilmente, l’aver creato un precedente in cui la società civile riesca a promuovere la messa al bando di un’arma inumana e indiscriminata apre, nelle fantasie apocalittiche di strateghi militari, scenari disastrosi per coloro che sulle armi e sulla guerra hanno costruito l’economia di un benessere di cui il riflesso è la disperazione e la morte di molti innocenti. Smentiti dalla storia continuano a vestire i panni di prefiche iettatrici di cui le più profonde motivazioni sono per gli stessi “l’obolo del pianto”. Non esiste nessuna dignità nelle motivazioni sventolate per la non adesione alla Convenzione. Il messaggio alla comunità internazionale è chiaro: il Trattato di Ottawa è l’unica strada credibile da perseguire per debellare definitivamente il problema di questi ordigni senza troppe analisi tardive e poco funzionali.
La Cina
Nei medesimi lavori e solo ufficiosamente, la Cina ha indicato che è in stato di distruzione quella che è considerata la più grande riserva di mine antipersona a livello mondiale. Il Landmine Monitor ha stimato in circa 100 milioni di mine il numero di riserve possedute dalla Cina. Ma non sono forniti dalla delegazione cinese dati esatti sul quantitativo delle scorte a disposizione. Il numero è indicato come inferiore a cinque milioni di euro. Se confermato, ciò rappresenterebbe una massiccia riduzione del numero di scorte di mine conosciuto a livello mondiale. Sull’attendibilità delle informali comunicazioni rimangono, però, zone d’ombra e poca trasparenza per cui, pur volendo cogliere la positività di timidi segnali di apertura, non si può nello stesso tempo non coglierne i limiti.
L’Italia
Passato da uno dei primi Paesi produttori all’impegno costante sul fronte delle bonifiche umanitarie e sui progetti di cooperazione a sostegno delle vittime delle mine antipersona, l’Italia – attraverso l’intervento alla Conferenza dell’Ambasciatore in Mozambico Roberto Vellano – ha rinnovato il proprio impegno antimine. L’ambasciatore ha chiaramente sottolineato come, “l’Italia ritiene che le preoccupazioni umanitarie meritano ancora rinnovati sforzi. I bisogni delle vittime, il cui numero purtroppo aumenta continuamente di giorno in giorno, sono ben lungi dall’essere pienamente soddisfatti”. L’Ambasciatore ha, inoltre, evidenziato che, essendo “l’Italia parte della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, apprezza molto il piano d’azione di Maputo per il suo specifico riferimento all’obbligo di assistenza alle vittime delle mine come parte di più ampie politiche nazionali, piani e quadri giuridici relativi ai diritti delle persone con disabilità e relative altresì alla salute, l’istruzione, l’occupazione, lo sviluppo e la riduzione della povertà”. L’Italia si è dotata dal 2001, con la legge 58, di un fondo ad hoc specificatamente indirizzato al sostegno delle attività di bonifica umanitaria e al supporto dei progetti di assistenza alle vittime, di educazione al rischio causato dagli ordigni inesplosi. Purtroppo questo fondo, attualmente finanziato per una parte dalla legge di stabilità e per un’altra quota parte dal “decreto missioni”, è spesso soggetto a tagli o tentativi di azzeramento evitati dal costante impegno della società civile nel segnalarne le ingiustificate riduzioni.
Papa Francesco
Attraverso il card. Segretario di Stato è stato indirizzato un messaggio al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cui senso è ricordare che “il ricorso alle armi è la sconfitta di tutti”. Come i Suoi predecessori (che hanno fatto molto per sostenere il cammino della Convenzione di Ottawa e della messa al bando delle cluster bombs), papa Francesco nel suo breve e significativo messaggio ha “esortato tutti gli attori di questa splendida impresa umanitaria a preservare l’integrità della Convenzione, a svilupparla e a metterla in atto il più fedelmente e rapidamente possibile”. Papa Francesco – dichiarava il Cardinale – “esorta tutti i Paesi a impegnarsi nell’ambito della Convenzione affinché non ci siano più vittime di mine! Affinché non ci siano più zone colpite dalle mine e, nel mondo, nessun bambino debba vivere nella paura delle mine! Possa questa Convenzione, in ciò che essa ha di esemplare e di profetico nella sua intuizione originale, essere un modello per altri processi, in particolare per le armi nucleari e per altre armi che non dovrebbero esistere”.