Povera Terra
Molte sono le dimensioni della pace, ma certo essa non può darsi senza un profondo ripensamento del nostro rapporto con la Terra. Il mutamento climatico, in particolare, appare sempre più come una grave minaccia per le possibilità di convivenza pacifica sul pianeta e per le generazioni future. Innalzamento del livello del mare, eventi climatici estremi, diffusione di malattie… sono solo alcune delle conseguenze di un fenomeno che già tocca, pur a livelli diversi, gran parte della popolazione mondiale.
Proprio al riscaldamento globale era dedicato il Vertice svoltosi a New York dal 22 al 28 settembre nell’ambito della 69° Assemblea delle Nazioni Unite. Forti le attese della società civile, attestate dalle iniziative svoltesi in numerose città del pianeta, con una partecipazione complessiva di circa un milione di persone – 300000 nella grande marcia tenutasi a New York il 23 settembre. Essa è stata pure preceduta da un importante Summit Interreligioso (www.interfaithclimate.org), promosso da Religions for Peace e dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, in cui ha trovato espressione l’attenzione condivisa delle fedi dell’umanità per il futuro del pianeta.
Al centro la ricerca di prospettive per i prossimi appuntamenti delle Conferenze delle Parti (COP), gli appuntamenti annuali nei quali si cercano coordinate per possibili accordi in vista della mitigation del riscaldamento globale. Alla COP 20 (Lima, dicembre 2014) e soprattutto alla COP 21 (Parigi, dicembre 2015) è affidata, in particolare, la definizione di un quadro impegnativo per la tutela della stabilità climatica per i prossimi decenni. Non è impegno da poco: il V Rapporto che sta pubblicando in questi mesi l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, www.ipcc.ch) segnala che il riscaldamento sta accelerando, ben aldilà di stime precedenti. Abbiamo, quindi, pochi anni per evitare che esso superi i 2 gradi Celsius rispetto ai valori dell’era preindustriale, scatenando conseguenze che solo in parte riusciamo a prevedere (Cosa accade se si sciolgono i ghiacciai della Groenlandia? E se si libera la CO2 intrappolata nel permafrost? Quanti saranno i morti per le ondate di calore? E per i tornados?). I tempi della politica però sono lenti: un consenso sulle forme che potrà assumere la collaborazione internazionale in tale direzione appare ancora drammaticamente lontano.
È in tale contesto che si colloca il forte intervento pronunciato dal Cardinale Piero Parolin all’Assemblea delle NU: nel portare il saluto di papa Francesco, egli ha rivolto parole impegnative, che hanno suscitato interesse e stupore in molti osservatori. Il punto di partenza è chiaro: il mutamento climatico non pone solo problemi “scientifico-ambientali o socio-economici, ma anche e soprattutto etico-morali, visto che incide su tutti, in particolare sui più poveri, che sono più esposti ai suoi effetti”. Si tratta di una posizione che si colloca in piena continuità con il ricco magistero cattolico sulla custodia del creato, quale si è sviluppato negli ultimi decenni a partire da Giovanni Paolo II, ma anche in piena sintonia con le altre Chiese cristiane (lo stesso Patriarca Bartolomeo aveva inviato un Messaggio per l’evento newyorkese), così come con numerose comunità religiose. Non è certo nuovo l’appello alla responsabilità per il futuro del pianeta e per i poveri della terra: “La Santa Sede ha spesso ribadito quell’imperativo morale ad agire che interpella ognuno di noi circa la nostra responsabilità a custodire e valorizzare il creato per il bene della presente generazione, così come di quelle future”. Basti pensare alla Caritas in Veritate, che al n. 50 parlava di un “dovere gravissimo (…) di consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla”.
Nuovo è certo invece il tono, espressione in primo luogo della percezione di un’accelerazione del mutamento e di un aggravarsi degli impatti sull’ecosistema e sulle persone – i poveri in primo luogo: papa Francesco sa bene che di clima già si muore in molte aree e che il cambiamento va mitigato, il più possibile. Più in profondità, poi, nuova è anche la definitiva assunzione dell’interpretazione – proveniente da un mondo scientifico sostanzialmente compatto – che vede un’importante componente antropogenica nel mutamento stesso: “Vi è ormai un consenso scientifico piuttosto consistente sul fatto che il riscaldamento del sistema climatico, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, sia inequivocabile”. Nessuno spazio, insomma, per le posizioni negazioniste che – anche in Italia – continuano a sollevare immotivati dubbi circa il portato della ricerca scientifica sul clima.
Su queste basi si fonda il richiamo a una “responsabilità di proteggere” che interessa l’intera famiglia umana, nelle espressioni politiche che essa si è data: occorre custodire la vivibilità del pianeta per le generazioni future, evitando che i comportamenti da free-riders di alcuni vanifichino la possibilità di accordi efficaci. È interessante notare come si richiami qui un’espressione che è stata usata - in senso assai meno condivisibile - per giustificare interventi militari con supposti scopi umanitari; Mons. Parolin, però, la riporta al suo senso originario, facendone una categoria etica impegnativa per un’etica socio-ambientale. Così egli può richiamare anche la natura onerosa di tale responsabilità: i mutamenti richiesti non possono essere superficiali, né bastano azioni meramente puntuali. Occorre invece un profondo rinnovamento, degli stili di vita personali e comunitari, ma anche dei modelli di produzione e consumo socialmente condivisi.
L’intervento di New York è, insomma, un richiamo di grande importanza indirizzato alla comunità internazionale. È anche un impegnativo programma di lavoro per le comunità cattoliche, chiamate ad essere formatrici alla custodia del creato, radicando in profondità – nella fede nel Creatore – efficaci pratiche di sostenibilità; in tale direzione guardava, del resto, anche il Messaggio della CEI per la Giornata del creato 2014. È, infine, un’indicazione forte per gli operatori di pace, cui segnala che essa può camminare solo assieme alla giustizia tra le generazioni, in un rapporto sostenibile con la Terra.