CHIESA

Della famiglie

Note a margine del Sinodo appena concluso. Per delinearne le finalità, per capire, per potersi confrontare sui problemi delle famiglie. E per poter parlare di amore.
Mons. Luigi Bettazzi

Il Sinodo sulla famiglia, svoltosi  in Vaticano dal 5 al 19 ottobre, ha destato molte reazioni. I più tradizionalisti – come vengono indicati quelli che vorrebbero che nulla si mutasse di quanto s’è stabilito un tempo, che costituirebbe la tradizione – contestano la stessa istituzione di un Sinodo in cui, accanto ai vescovi, siedono e parlano anche non vescovi, addirittura laici e coppie familiari. Altri son chiamati progressisti, perché indicano la tradizione come una trasmissione (“tradere” in latino vuol dire “trasmettere”) da una generazione all’altra, con la possibilità di nuove comprensioni dei dati rivelati, più dunque che mutazioni sarebbero migliori interpretazioni.

L’ultima parola

È da premettere comunque che il Sinodo di quest’anno è l’introduzione di un anno sinodale, in cui la Chiesa intera, dispersa nel mondo, analizzerà e commenterà quanto s’è detto in questa prima assemblea, per giungere nell’autunno prossimo al vero Sinodo, che concluderà il cammino della Chiesa intera. Quanto al fatto di una discussione ampia sui temi della fede, che coinvolga tutti i membri della Chiesa, questo esprime un principio che banalmente esprimo come il compito che nella Chiesa la gerarchia ha, quello dell’“ultima parola “, che è necessaria e indispensabile, ma che è l’“ultima” se prima ce ne sono state altre.

Nella storia della Chiesa si nota, infatti, che tutte le iniziative (dagli Ordini religiosi ai Movimenti) nascono normalmente all’interno del popolo di Dio, e verranno poi valutati e istituzionalizzati dalla gerarchia, ma dopo essersi formati e consolidati, per così dire, alla base. Ciò manifesta la libertà d’azione dello Spirito Santo, che lavora come vuole e di solito fa partire dalle persone e dalle realtà più piccole anche le iniziative più grandi e più fruttuose.  Un dato significativo che mi sembra utile rilevare è che la stessa infallibilità papale, definita nel Concilio Vaticano I, lo è – come viene affermato nella stessa definizione – perché esprime l’infallibilità della Chiesa, cioè del popolo di Dio nel suo insieme. Tant’è vero che Pio XII definì l’Assunzione in cielo di Maria SS. dopo aver consultato tutta la Chiesa ed essersi reso conto che è creduta da tutti i cristiani, ma non poté precisare se essa avvenne prima o dopo la morte della Madonna perché su di questo vi erano solo opinioni, anche se con maggioranze, e dovette limitarsi a dire che Maria, “giunta al termine della sua vita”, era stata assunta in cielo.

In spirito di comunione

La seconda osservazione che vorrei fare è che alle volte, più che di vere mutazioni, si tratta appunto di nuove comprensioni. Penso ai giudizi drastici dati dai Papi dell’Ottocento circa la democrazia o la libertà religiosa (definita “satanica”), poi esaltata dai Papi del Novecento (es. Pio XII per la democrazia) o dal Concilio (sulla libertà religiosa). Analisi e valutazioni possono portare a giudizi che sono, più che di contrasto, di sviluppo. Mi viene da rilevare che accanto alle definizioni dogmatiche, irreformabili, vi sono indicazioni, anche autorevoli, che sono al sevizio del cammino del popolo di Dio, e che quindi in situazioni diverse e per mentalità in evoluzione possono venire vissute in modo diverso. L’importante è che si mantenga lo spirito di comunione (così S. Paolo esorta i “forti nella fede” a tener conto dei “deboli della fede” nella vita della comunità – I° Cor. 8,7-13 – e gli antichi ammonivano: “unità nei temi fondamentali, libertà nelle opinabili, ma sempre carità: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas). Una più ponderata e serena riflessione può quindi portare a posizioni più mature. Ricordo in Concilio come un alto prelato dell’allora “Santo Uffizio” (oggi Congregazione per la Dottrina della fede), fortemente contrario alla collegialità (in Vaticano giudicata come un attentato al Primato del Papa), ne divenne poi un propugnatore dopo averne considerato le radici nella Bibbia e nella vita della Chiesa primitiva e il suo vero volto di aiuto per un migliore esercizio del compito pontificio. 

La famiglia

Così penso come può cambiare l’impatto con i problemi della famiglia se, dalla “tradizionale” valutazione del sesso fondamentalmente negativa, influenzata da un certo platonismo che esaltava lo spirito e deprimeva la materia, si passa a una valutazione positiva di integralità dei vari aspetti dell’umanità (che viene confermata dall’Incarnazione, che divinizza, con l’umanità, tutto il mondo creato, il quale deriva da Cristo ed è a Lui finalizzato, come dice S. Paolo in Col. 1,16), e ci fa vedere il sesso come costitutivo dell’essere umano, anche nella diversità dei generi (l’essere umano è immagine e somiglianza di Dio nel suo essere maschio e femmina, come dice Gen.1,27), come espressione e strumento dell’amore essenziale dell’essere umano. 

È così che il Concilio stesso ci dice che il primo fine del matrimonio è l’amore (GS 49), e che la generazione è una sua conseguenza specifica, sollecitandoci a riflettere se il fine primario alle volte non possa condizionare una finalità che è solo conseguente. Le antiche (forse un po’ troppo approssimative) rimembranze filosofiche, mi fanno anche dubitare sulla nozione di “natura”, che condizionano tante nostre affermazioni. Il dubbio è che il termine di “natura” derivi dall’idealismo tedesco (direi soprattutto da Schelling), che contrapponeva la natura allo spirito. A pensarci bene (direi tanto più per noi cristiani, discepoli di Gesù Cristo, che ha assunto una vera “natura umana” che include ovviamente anche lo spirito), se la natura non è soltanto quella materiale o fisiologica ma include anche lo spirito, ovviamente questa dimensione dovrà divenire predominante. Non è vero che per lo sviluppo dello spirito si mortificava (oggi un po’ meno) la carne? Non è vero che per la salvaguardia dello spirito e delle sue finalità si può rinunciare totalmente anche alla natura fisiologica, alla vita materiale? Non ha fatto così la nobilissima ragazza iraniana, che, avendo ucciso il suo violentatore, ha preferito poi morire per una sentenza faziosa piuttosto che mentire sulla verità del fatto?

V’è dunque una serie di riflessioni, tutte da discutere, che non solo giustificano lo stile di questo inizio di Sinodo, con le sue diverse anche contrapposte posizioni, ma richiamano la coscienza dei vescovi e di tutti i membri del Sinodo, e anche di ogni battezzato adulto, perché sentano la responsabilità di fronte al progresso della fede, di quella che gli antichi chiamavano “la fede con cui si crede” (fides qua creditur) per giungere con più chiarezza alla “fede che si crede” (fides quae creditur). È una conferma della prospettiva di Chiesa offerta dal Concilio e motivo di speranza per le famiglie e per tutti gli uomini di buona volontà.


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