COOPERAZIONE

Cooperazione, figlia della politica estera?

In Italia come in Europa la cooperazione internazionale è ridotta a strumento delle relazioni economiche verso i Paesi poveri.
Rosario Lembo

Sin dalla fine della seconda guerra mondiale, il processo di sviluppo che è stato portato avanti in Europa dai Governi è stato ancorato alla politica estera dei singoli Stati-nazione. La politica estera è stata per tutti questi anni il “filo rosso” di ispirazione e di riferimento delle politiche nazionali in tema di difesa della pace, di distensione internazionale e della stessa cooperazione internazionale. Benché finalizzata a promuovere processi di sviluppo sostenibile, ispirandosi al principio della pari opportunità rispetto all’accesso ai diritti umani universali, la (c) Olympia stessa cooperazione internazionale è stata praticata e gestita come parte integrante della politica estera dei Paesi donatori.
Le alleanze fra gli Stati sono stati costruiti su affinità a livello di “politica estera”, hanno condizionato le principali decisioni delle Nazioni Unite e anche le “decadi per lo sviluppo”. Le stesse priorità a livello di politiche di cooperazione, fino al crollo del muro di Berlino, sono state pesantemente influenzate dal bipolarismo Est-Ovest (Usa-URSS) che ha costituito il punto di riferimento delle politica estera dei singoli Paesi.
La subalternità della cooperazione internazionale alla politica estera italiana, ha costituito un “dogma” irrinunciabile, una convinzione comune ai principali partiti italiani. Lo stesso iter parlamentare che, nel febbraio del 1987, portò al varo in Italia della prima legge di cooperazione internazionale per lo sviluppo, fu

La cooperazione secondo il Ministero
La cooperazione allo sviluppo si fonda su due basi prioritarie. La prima è l’esigenza solidaristica di garantire a tutti gli abitanti del pianeta la tutela della vita e della dignità umana. La seconda vede nella cooperazione il metodo per instaurare, migliorare e consolidare l’interdipendenza economica globale che, mediante l’allargamento dei mercati e il miglioramento della circolazione dei fattori produttivi, assicurerà la crescita economica a tutti i popoli.

dal sito del Ministero Affari Esteri: http://www.esteri.it
condizionato dalla convergenza fra i due poli allora esistenti (Democrazia Cristiana e Partito Comunista italiano) di esplicitare nell’art. 1 l’identità di una cooperazione internazionale parte integrante della politica estera del nostro Paese.
Tale dipendenza viene contestata ormai da dieci anni a questa parte, sin dalla crisi di tangentopoli e del crollo verticale dei finanziamenti alla cooperazione internazionale. A sostenere l’opportunità di rompere la subalternità della cooperazione internazionale dalla politica estera nazionale ed europea, sono proprio quegli operatori che hanno pensato e proposto la cooperazione internazionale come volano per costruire la pace e prevenire i conflitti, alcune componenti della società civile legate al mondo missionario ed al movimento per la pace.
Questa richiesta è stata per anni snobbata, mentre in parallelo, i dissensi proprio sugli indirizzi di politica estera, hanno portato a conflitti di vedute fra i partiti sia delle maggioranze di governo che delle stesse opposizioni, determinando l’impossibilità di far decollare le varie proposte di legge di riforma presentate nel corso di differenti legislature.

Qualcosa sembra cambiare. In peggio
Ma l’11 settembre, la fine del diritto internazionale e la messa in crisi del sistema delle Nazioni Unite, hanno profondamente condizionato la politica e lentamente qualcosa sembra cambiare. Le posizioni emerse nell’ambito del dibattito parlamentare sul rinnovo della presenza militare in Iraq, la discussione in atto sull’identità della politica estera e il ruolo dell’Europa inducono a sperare che si siano aperti alcuni spiragli sul fronte della politica.
Se questi impegni alla riflessione e al confronto saranno mantenuti dalle attuali forze politiche dell’opposizione, se sarà forse possibile avviare, nel nostro Paese, un serio percorso progettuale che consenta di fare dei valori della solidarietà internazionale, della pace e della difesa dei diritti, i temi portanti dei programmi della coalizione dell’Ulivo, allora forse sarà possibile rilanciare un nuovo modello di “politica estera” fondato su relazioni internazionali fra cittadini.
Ma quali sono le condizioni di fattibilità perché si possa seriamente portare a conclusione questa riflessione sulla “rifondazione di un nuovo modello di cooperazione internazionale per lo sviluppo”?
In primo luogo che le forze politiche e la stessa società civile (espressioni organizzate e impegnate sui temi della pace e della solidarietà internazionale) accettino di mettere in discussione due elementi portanti: l’attuale modello di sviluppo e i vincoli a cui finora è stata associata la cooperazione (cioè i vincoli con lo sviluppo solo come crescita economica e subalternità alla politica estera).
Rispetto all’identità del concetto di cooperazione, è opportuno prendere atto, con realismo e determinazione, che siamo passati da un concetto di cooperazione

La cooperazione in Italia
La cooperazione allo sviluppo dell’Italia si realizza “sia sul piano bilaterale, sia su quello multilaterale come apporto all’azione che in questo campo svolge l’Unione europea e come partecipazione ai programmi delle agenzie delle Nazioni Unite e delle istituzioni finanziarie internazionali (Banca mondiale e banche regionali di sviluppo)” (Relazione previsionale e programmatica sull'attività di cooperazione allo sviluppo per l'anno 2000 art. 2 comma 2 della legge n. 49/87)
La legge finanziaria 2000 ha assegnato, al Ministero degli Esteri, per l’Aiuto allo Sviluppo 672 miliardi di lire per ciascuno degli esercizi finanziari 2000, 2001 e 2002. Questi 672 miliardi si ripartiscono tra i 617 miliardi destinati agli interventi di cooperazione e i 55 miliardi per le spese di funzionamento della Dgcs. La legge di bilancio assegna poi al Ministero degli Esteri altri 51 miliardi per il versamento dei contributi obbligatori a una serie di organismi internazionali (Ifad, Unicef, Unido, Oil, Unicri, Ciheam, Icgeb) e nazionali (Istituto Agronomico per l’Oltremare, Ipalmo) impegnati sul terreno dell’aiuto allo sviluppo e 13 miliardi per il trattamento economico del personale di ruolo in servizio presso la Dgcs. La somma stanziata per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo per il 2003 è stata di 657 milioni di euro, mentre ha registrato un decremento pari al 15% nella legge finanziaria 2004: è pari, infatti, a 546 milioni di euro.

Fonte: Sbilanciamoci
strumento di politica estera e di alleanze bipolari, a modelli di cooperazione che dopo il crollo del Muro di Berlino sono diventate strumento di promozione di imprese, di mercati e politica di investimento a basso costo, per favorire l’esportazione di prodotti, il controllo dei mercati, lo smaltimento delle eccedenze. Infine sul versante delle ONG stiamo assistendo a una sorta di trasformazione silenziosa: pur di accedere ai finanziamenti passano da soggetti autonomi ad agenti di operazioni di cooperazione umanitaria, spacciate spesso come peacekeeping e prevenzione dei conflitti, ma in realtà attivate a copertura degli interventi militari. Occorre assumere la consapevolezza che la cooperazione italiana per lo sviluppo, quella che è descritta e sancita nell’art. 1 della stessa legge 49 del 1987, oggi è morta.
È morta sul piano degli strumenti perché l’aiuto pubblico per lo sviluppo non cresce né in Italia né a livello dei principali Paesi donatori.
È morta sul piano della identità perché figlia di una politica estera che si è gradualmente trasformata in politica di promozione dei mercati. Le politiche di sviluppo non sempre possono essere coordinate a questo obiettivo, specie se i mercati da promuovere sono quelli nostri!
È morta sul piano della politica perché la cooperazione non è più concepita e praticata come strumento di prevenzione dei conflitti, di ridistribuzione della ricchezza e di lotta contro la povertà.
Le priorità delle opzioni politiche dei principali Governi, e in particolare di quello italiano, sono rivolte infatti a privilegiare l’impegno – sul piano finanziario e delle risorse umane – nella lotta al terrorismo e quindi ad affidare a operazioni di intervento militari la prevenzione dei conflitti e la stessa sicurezza internazionale. Da parte della politica scompare la volontà di progettare e costruire “l'umanità solidale”, fondata sui valori della giustizia, della solidarietà, del vivere pacificamente insieme.
Le disuguaglianze economiche, espresse a livello globale dal trionfo del capitalismo mondiale, dell'economia di mercato e della mondializzazione, generano nuove violenze e conflitti. Ma la maggioranza dei partiti non hanno il coraggio di accettare questa analisi e imputano al terrorismo e alle appartenenze etniche o religiose che non si lasciano omologare dal “mercato” e dall’attuale modello di modernizzazione/ globalizzazione, la responsabilità della violenza, del disordine, del terrorismo. L’altro, il diverso diventa il “nemico”, il pericolo da cui difendersi.

I compiti che ci aspettano
Abbiamo bisogno di promuovere una nuova politica di solidarietà internazionale capace di generare pace, una nuova politica di sviluppo fondata sul “vivere e condividere insieme” e nuove pari opportunità che consentano a tutti l’accesso e la gestione delle risorse del pianeta terra. Ma come raggiungere tali obiettivi? Dobbiamo trovare il coraggio di ammettere che l’attuale modello di cooperazione non è stato capace di ridurre la povertà e promuovere lo sviluppo degli altri. Ciò che chiamiamo cooperazione serve solo a sostenere il nostro modello di sviluppo economico e cioè l’attuale modello di libero mercato. È necessario

La globalizzazione a favore dei poveri?
Siamo decisi a far sì che la globalizzazione lavori a favore di tutti i nostri cittadini e specialmente per i poveri del mondo. Includere i Paesi più poveri nell’economia globale è il modo più sicuro per rispondere alle loro aspirazioni fondamentali. Abbiamo concentrato le nostre discussioni sulla strategia per riuscire in questo intento.

Dal documento finale della riunione dei G8 – Genova, 22 Luglio 2001
abbandonare il concetto di cooperazione che resta una modalità di relazioni fra Stati-Nazioni, cioè fra soggetti portatori e difensori di interessi precostituiti, per progettare un nuovo modello di solidarietà internazionale ovvero un “welfare internazionale” fondato su un modello di “relazioni” fra cittadini, fra componenti della società civile ed espressioni organizzate a livello di territorio. Questo nuova strada del fare “solidarietà internazionale” deve essere improntata ai valori della giustizia, della difesa/promozione dei diritti umani e della garanzia dei beni comuni.
Questa nuova modalità del fare cooperazione deve essere fondata su relazioni di partenariato, cioè di relazioni dirette fra comunità, enti locali e singoli cittadini.
Infine la politica deve avere il coraggio di portare a compimento la riflessione avviata circa lo sganciamento delle connessioni fra cooperazione internazionale e le stesse politiche di pace, dalla politica estera nazionale o europea.

Ci sono prospettive in Europa?
Vanno tenuti presenti infatti alcuni importanti cambiamenti che stanno caratterizzando il rafforzamento della soggettività politica dell’Europa, dopo quella monetaria. L’Unione Europea ha infatti trasformato la Commissione per lo sviluppo, che ha costituito un importante organismo autonomo delle politiche di cooperazione e di solidarietà internazionale nella “Commissione per i rapporti con i Paesi terzi”. I Paesi poveri dell’Africa, dell’America Latina o dell’Asia sono quindi da oggi in poi considerati dall’Europa come “Paesi terzi”, cioè come non concorrenti o non parte integrante del “mercato interno europeo” con cui relazionarsi sul piano commerciale e in termini di relazioni fra “ mercato”.
(c) Olympia La Costituzione Europea prevede inoltre un Commissario unico per la “Politica estera”, e la politica estera, così come la politica della sicurezza e quella della cooperazione, sono ricondotte sotto la REC, cioè le Relazioni “esterne”. L’approccio della REC e dell’Europa resta però orientato alla promozione del libero mercato europeo, quindi a sostegno delle politiche di liberalizzazione dei servizi, di trasformazione dei diritti in merce e servizi, gestiti dal mercato e non più dallo stato, alla promozione e difesa degli interessi delle imprese europee. Una politica di “relazioni con il resto del mondo” che sarà quindi anch’essa di tipo commerciale e finanziario. Le poche risorse disponibili a livello europeo per la cooperazione sono, già oggi, da parte di molti degli stessi Paesi membri, decentralizzati a livello di gestione verso le Delegazioni o Ambasciate locali… oppure canalizzate verso le Agenzie internazionali.
Ecco allora l’impegno prioritario per inserire nella Carta Costituzionale europea alcune pietre miliari, cioè dei principi cardini come: il ripudio della guerra, la promozione della pace e della solidarietà internazionale, il riconoscimento e la difesa di alcuni fondamentali diritti umani, come l’accesso all’acqua, all’istruzione, alla salute.

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