La paura non fa politica
Nel dicembre scorso si è svolto a Firenze un convegno sull’immigrazione in cui è emerso che lo straniero non sembra più essere percepito dall’opinione pubblica come colui che viene a togliere il lavoro all’italiano: il lavoro degli immigrati è generalmente assunto come complementare a quello degli italiani. Il secondo dato che si rilevava è che le politiche restrittive agevolano l’irregolarità non permettendo un progetto migratorio di ampio respiro. Le politiche che invece favoriscono la lunga durata riducono l’irregolarità. Infine, il fenomeno immigrazione, per gli studiosi, nel prossimo futuro aumenterà secondo i ritmi di quest’ultimo decennio. Nel 2020 in Italia dovrebbero esserci circa 6,5 milioni di immigrati di prima e seconda generazione. Attualmente in Italia sono 2.500.000 gli immigrati regolari, con una incidenza del 4,2% sulla popolazione italiana.
Inversione a 180°
Questi tre dati evidenziano che il sentire comune di questi ultimi anni, grazie anche a iniziative tese all’inclusione degli immigrati, almeno in parte viene rimosso. Ciò non toglie però che il sistema Italia deve fare ancora grandi passi per riuscire a fare propria la portata di questo fenomeno sociale.
In questi ultimi tempi sono andati infatti peggiorando le prospettive degli immigrati: se è pur vero che stanno cambiando in meglio le modalità di accesso nei luoghi dove i cittadini immigrati devono presentare o rinnovare i propri documenti (in particolare presso le Questure – si vedano le ultime situazioni dovute al Decreto Flussi; ma si tenga anche in considerazione la prossima nascita dello Sportello Unico presso la Prefettura che diverrà per l’immigrato l’unico punto di riferimento territoriale per tutta la sua documentazione) abbiamo però una norma che tende più a precarizzare la condizione dell’immigrato che a renderla stabile.
La nascita del “contratto di soggiorno” lega indissolubilmente il permesso di soggiorno al contratto di lavoro: in una società che è sempre più portata alla flessibilità del sistema lavoro, il contratto di soggiorno non potrà che essere controproducente per la stabilità dell’immigrato. Così, per esempio, anche il ricongiungimento familiare, tipico istituto della stabilità di una scelta, della stabilità sociale e garanzia, quindi, di maggiore sicurezza sociale, viene precarizzato.
Un ulteriore dato: la legge 189/2002 (la legge Bossi-Fini) annulla quanto già previsto dalla legge. 40/1998 (la Turco-Napolitano) in materia di diritti agli immigrati su lavoro e previdenza. Quest'ultima infatti riconosceva, ai cittadini immigrati extra UE che avevano in Italia un contratto di lavoro, il diritto, in alternativa al mantenimento dei diritti previdenziali in Italia, di poter ottenere, al momento del rimpatrio, il rimborso dei contributi versati durante la permanenza in Italia, maggiorati del 5%. Questa opportunità è stata annullata dalla L. 189/02 perché considerata un privilegio nei confronti di questi lavoratori. A ciò si aggiunge il fatto che viene negato loro, in caso di rientro nel proprio Paese, ogni diritto a qualsiasi prestazione prima del 65° anno.
Da tempo in Italia non si parla più di integrazione. L’attuale Governo non ha più rinnovato la Commissione Nazionale per le politiche di integrazione, prevista dal Testo Unico sull’Immigrazione. Commissione che approfondiva le varie sfaccettature dell’integrazione, interpellando studiosi, gli stessi cittadini italiani e gli immigrati, per elaborare suggerimenti e orientamenti per delineare politiche di integrazione. Esisteva, per legge, la Consulta nazionale per i problemi degli immigrati e delle loro famiglie in cui erano rappresentate le diverse realtà della società civile (dai Sindacati alle Associazioni di volontariato che si impegnano per e con gli immigrati, alle Associazioni di immigrati: da due anni questa Consulta non è stata né ricomposta né più convocata.
E pure era un luogo di discussione, di elaborazione, di proposta che serviva soprattutto al Governo e agli Enti locali per rifocalizzare le loro scelte politiche in funzione degli immigrati. Così come la Commissione Intercultura che era presso il Ministero della Pubblica Istruzione e che funzionava ottimamente da anni, dal 13 maggio 2001 non viene più convocata.
Il nodo CPT
La questione “richiedenti asilo” diventa oggi più che mai urgente e l’approccio governativo è sempre più negativo. Sta per essere varato il Regolamento attuativo degli articoli riguardanti tra gli altri anche l’asilo (sulla base della L. 189/02). Ma la legge organica sull’asilo continua a giacere in Parlamento senza essere presa in considerazione.
La situazione dei CPT (Centri di Permanenza Temporanea) sta divenendo sempre più drammatica: la mancanza di tutela dei diritti, di accesso all’informazione, all’orientamento e accompagnamento legale (prima che le decisioni vengano prese e non dopo), stanno confermando i dubbi e le forti perplessità espresse, già dalla loro ideazione, da parte del mondo dell’associazionismo e delle stesse comunità di immigrati. Da tempo non si parla più di cittadinanza, come di incentivazione all’associazionismo degli immigrati, di intercultura.
Il voto agli immigrati: il voto agli immigrati può essere davvero motivo di incentivazione delle politiche di integrazione se, però, queste esistono, se sono già attive. Questa proposta comunque va accolta per tutta la sua positività, condivisa e sostenuta. Proposta però che lascia aperti numerosi quesiti. Il vicepresidente Fini, come sappiamo, è uno dei due firmatari della legge che ha modificato il Testo Unico sull’immigrazione (vigente dal 1998) e che ha posto ulteriori difficoltà alla vita degli immigrati in Italia e a quanti vorrebbero raggiungerla regolarmente.
A un anno dalla entrata in vigore della legge, non si possono non ribadire le perplessità descritte durante una recente Conferenza del CNEL sull’Immigrazione in Europa (“Occorre una correzione dei più recenti orientamenti nazionali e comunitari, che, assumendo le inquietudini dell’opinione pubblica, non tengono conto dei caratteri strutturali del fenomeno immigrazione, anzi presuppongono una ‘immigrazione corta’, cioè a tempo limitato, in pieno contrasto con la domanda del mondo dell’impresa e con le aspettative e i comportamenti di stabilizzazione degli immigrati. La conseguenza è che le norme ispirate da questi orientamenti, subordinano rigidamente lo status dell’immigrato al rapporto di lavoro e negando, ad esempio, il permesso per la ricerca del lavoro,…: tendono ad affermare una concezione mercantile dell’immigrato; indeboliscono il principio dell’equo trattamento; restringono e rendono più difficili le vie legali dell’immigrazione; precarizzano la permanenza, nonché le condizioni di vita, anche della dimensione familiare” (dalla relazione introduttiva di G. Alessandrini). Ci si chiede come possa stare questa proposta del voto dentro un quadro di politica dell’immigrazione assai restrittivo.
Se la povertà non si ferma
L’immigrazione richiama alla esigenza di essere stimolo, pungolo costante sia verso il Governo nazionale sia verso l’Unione Europea, di una politica internazionale più oculata. Molti immigrati giungono da Paesi in cui la situazione è fortemente precaria a causa di lotte interne che spesso divengono vere e proprie guerre civili (vedi Somalia o altri conflitti dimenticati). Non si può credere che solo
1990 – 222.000 persone sanate (Martelli)
1995 – 219.000 persone sanate (Dini)
1998 – 251.000 persone sanate (Turco-Napolitano)
2002 – 620.000 persone regolarizzate (Bossi-Fini)
Queste date e questi dati potrebbero rappresentare, in sintesi, la legislazione italiana sull’immigrazione: una legislazione fatta sulla difensiva e, direi, sulla paura. Queste sanatorie e regolarizzazione sono una presa d’atto, una incapacità di avere e di dare prospettive sul fenomeno, anche all’interno dell’Europa.
Dal 1998, inoltre è stata adottata la politica dei flussi a seguito della quale sono entrati in Italia, comprendendo anche i ricongiungimenti, circa 500.000 persone. Praticamente la politica italiana in circa venti anni è stata capace di far entrare solo questo mezzo milione di persone. Tutte le altre sono state “sanate”.
E di fronte a questo quadro abbiamo, invece, l’immigrato che ha fatto una scelta di vita. Scelta che necessita di risposte vere e rispondenti alle esigenze di una vita decorosa.
A tal proposito sarebbe da fare una seria verifica sulla Cooperazione internazionale e sugli aiuti allo Sviluppo da parte del nostro Paese. Anche qui un dato significativo è quello relativo alle rimesse degli immigrati nei loro Paesi: in Italia nel 2002 sono state 790 milioni di Euro tramite vie riconoscibili (dati Ufficio Cambi). Questo significa che a fronte di una Cooperazione praticamente inesistente i poveri si stanno sostenendo da soli.
Una proposta: formare un tavolo tecnico di cui facciano parte giuristi ma anche rappresentanti di Enti locali e operatori che in questi anni hanno posto mano e riflettuto sulla realtà dell’immigrazione. Il compito del tavolo dovrebbe essere di ripensare con realismo la legge a partire dal Testo Unico sull’Immigrazione. In questo modo si perverrebbe ad alcune proposte concrete da formulare ai partiti in vista della formulazione dei loro programmi per le elezioni del 2006. Bisognerà prevedere un ruolo centrale del Ministero degli Esteri ma anche delle Regioni perché siano messe in grado di operare alla luce di una politica lungimirante che tenga presente anche delle direttive europee. In questo senso l’amministrazione comunale di Brescia rappresenta un esempio in cui, a partire dall’assistenza concreta, si è giunti a definire un progetto a lungo termine che prevede una vera e propria politica dell’accoglienza.