FORZE ARMATE

Di uranio si muore

L’Italia è stato il Paese più colpito dall’uranio impoverito, perché è quello che ha adottato con maggiore ritardo le misure di sicurezza.
Falco Accame

Sono forse 200 o più i militari colpiti da varie patologie derivate da contaminazione chimica o radiologica creata dall’uranio impoverito (UI). La pericolosità dell’uranio impoverito è stata resa nota all’Italia, come agli altri Paesi, dalla NATO, fin dal 1984, in una lettera diretta a tutti i Paesi dell’Alleanza. Tale lettera credo abbia tratto origine da un incendio di dimensioni assolutamente anormali che si verificò su un aereo in Giappone. Emerse che la causa era dovuta all’incendio di barre di uranio impoverito (un metallo altamente piroforo), usate negli alettoni di alcuni aerei e anche in alcuni missili da crociera. Tutti i Paesi della NATO furono allora messi in guardia dal pericolo del maneggio del metallo allo stato inerte.
(c) Olympia Precauzioni (guanti, maschere, tute) che sono rese ancor più necessarie quando si tratta con i residui di esplosioni in cui si è prodotta un’altissima temperatura (circa 3.000 gradi) e si sono sviluppate polveri di ossido di uranio. Tale polvere può essere pericolosa dopo molto tempo dall’esplosione che può venire risollevata dal vento o da spostamenti d’aria in prossimità della zona interessata. Dunque è almeno dal 1984 che la NATO ha segnalato il pericolo dell’uranio e non solo con riferimento all’ossido di uranio generato da esplosioni, ma anche al semplice maneggio di prodotti costituiti con questo metallo.

Pericoli e norme
Forse può essere utile rileggere quanto dichiara il col. Osvaldo Bizzari, specializzato NBC (Nucleare Batteriologico Chimico), nelle disposizioni di sicurezza per le forze della KFOR operanti nei Balcani in data 22 novembre 1999, che recano la sua firma: “Evitate ogni mezzo che sospettate essere colpito da munizionamento UI o missili da crociera Tomahawk. Non raccogliere o collezionare munizionamento UI trovato sul terreno, informate immediatamente il vostro comando circa le aree che voi ritenete contaminate da munizionamento UI [...].
La contaminazione con la polvere UI inquina cibo e acqua. Non mangiate assolutamente cibo non controllato. Particelle che fossero state inalate possono causare danni ai tessuti interni nel lungo termine. Se pensate di essere esposti alla polvere UI fate immediatamente un test delle urine nelle successive 24 ore per analizzare la presenza U 238, U 235, U 234 e creatina. Il personale risultato positivo al test dovrebbe assumere agenti specifici per rimuovere il più possibile le particelle contaminate presenti nel corpo [...].
I veicoli e i materiali dell’Esercito Serbo in Kossovo possono costituire una minaccia alla salute dei militari e dei civili che dovessero venire a contatto con gli stessi. I veicoli e gli equipaggiamenti trovati distrutti, danneggiati o abbandonati devono essere ispezionati e maneggiati solamente da personale qualificato [...]. L’UI emette radiazioni Alfa a bassi livelli di radiazioni Beta e Gamma. Le normali uniformi da combattimento sono sufficienti per prevenire l’assorbimento attraverso la cute. Tuttavia la reale minaccia è rappresentata dalla possibile inalazione di UI[…]
L’UI provoca un avvelenamento da metallo pesante e il personale deve assolutamente evitare i mezzi sospettati di essere stati colpiti da UI. La minima distanza di sicurezza non deve essere inferiore ai 50 mt. Se ci si deve avvicinare ulteriormente è necessario indossare maschera e guanti per evitare di assorbire la polvere radioattiva [...].
L’UI è un metallo pesante chimicamente tossico e radioattivo con un peso specifico quasi doppio rispetto al piombo [...].
L’UI emette radiazioni Alfa, Beta e Gamma con un tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi di anni.
Le norme di sicurezza si concludono con le seguenti Regole d’oro, che parlano da sole:
“Rimani lontano da carri-mezzi bruciati e da edifici colpiti da missili da crociera. Se lavori entro 500 metri di raggio da un veicolo o costruzione distrutti indossa protezioni per le vie respiratorie. Inalazioni di polvere insolubile UI sono associate nel tempo con effetti negativi sulla salute quali il tumore e disfunzioni nei neonati. Questi potrebbero non verificarsi fino a qualche anno dopo l’esposizione”.
Tutti i rischi correlati all’uso dell’uranio impoverito sono confermati dalle affermazioni del col. Fernando Guarnieri contenute nelle disposizioni emanate l’8 maggio 2000 alla Brigata Folgore Nembo col Moschin ove si legge: “La pericolosità dell’uranio si esplica sia per via chimica, che rappresenta la forma più alta di rischio nel breve termine, sia per via radiologica, che può causare seri problemi nel lungo periodo. La maggiore pericolosità per il tipo di radiazione emessa si sviluppa nei casi di irraggiamento interno (contaminazione interna)”.
Il col. Ferdinando Guarnieri formula anche con precisione il criterio per stabilire chi può essere definito soggetto a rischio di contaminazione interna da uranio e cioè chi deve far parte del numero dei militari potenzialmente a rischio: “In relazione alla partecipazione del contingente italiano alle attività di supporto alla pace in Kossovo, può essere definito soggetto a rischio di contaminazione interna da uranio colui che abbia soggiornato e operato in prossimità di un obiettivo colpito da munizionamento a uranio impoverito o in aree ove siano stati individuati proiettili o un frammento di essi”. In questa formulazione del criterio del soggetto a rischio dovrebbe essere peraltro incluso (in base alla disposizione NATO in atto succitata del 1984) anche colui che semplicemente maneggia delle armi a uranio impoverito. Potremmo aggiungere a queste testimonianze circa la pericolosità dell’uranio quella del ministro dell’ambiente della scorsa legislatura (cfr. relazione della Commissione Tecnico-Scientifica per il contributo italiano al monitoraggio dell’inquinamento chimico-fisico-radioattivo nei Paesi dell’area balcanica, maggio 2000) il quale ha scritto: “L’UD (uranio depleto) è radioattivo e chimicamente tossico e quindi pericoloso soprattutto per inalazione e ingestione di particolato (polvere nerastra) derivante ad esempio dalla collisione del proiettile con un blindato o altra superficie resistente”.

Storie drammatiche
Non credo che i militari italiani abbiano ricevuto e ricevano tuttora l’assistenza dovuta e in particolare che essi siano stati sottoposti a rigorosi controlli non solo prima, e dopo la missione, ma anche negli anni successivi (perché gli effetti del DU si verificherebbero dopo 10-20 anni). La quasi totalità dei militari colpiti da patologie gravissime si è dovuta curare a proprie spese perché non è stata riconosciuta loro la causa di servizio. Alcuni genitori di questi soldati hanno speso delle somme anche superiori ai cento milioni per curare i loro figli e nei casi più drammatici di morte si sono addossate le spese dei funerali. Ricordo che il ministro della difesa pro tempore On. Mattarella negò che l’uranio era stato impiegato in Bosnia e che di conseguenza non potevano attribuirsi cause di servizio per contaminazione da uranio ai reduci dalla Bosnia.
Il ministro dichiarò ciò in relazione al primo caso in Italia (Salvatore Vacca), che mi venne segnalato da un esponente di Pax Christi (Antonello Repetto); si trattava per me del secondo caso dopo quello relativo alla morte del maresciallo Mandolini al suo rientro nel 1994 dalla Somalia (morte, appunto, forse dovuta a contaminazione da uranio impoverito; un caso comunque mai chiarito). Sempre per quanto riguarda l’assistenza dello Stato ai nostri militari, potrei ricordare la vicenda del maresciallo Sergio D’Angelo, sminatore nei Balcani, che ha passato anni a contatto con le armi distrutte al suolo, morto recentemente al Pio Albergo Trivulzio di Milano.
Cito ancora, tra le tante drammatiche questioni, i casi di quei militari a cui al rientro dalle missioni è nato un figlio con gravissime malformazioni. All’estero vi sono preoccupazioni ben più gravi delle nostre sulla questione dell’uranio impoverito, anche se il fenomeno è stato particolarmente rilevante in Italia che è stato il Paese più colpito perché ha adottato con maggiore ritardo le misure di sicurezza nei riguardi dell’uranio impoverito. Non dimentichiamo che le prime norme sono state emanate dall’Italia (e il rischio era noto fin dal 1984, come sopra citato) il 22 novembre 1999.
Per le forze militari Usa le norme di protezione dall’uranio, ad esempio, furono adottate il 14 ottobre 1993, cioè sei anni prima rispetto all’Italia, durante l’operazione ‘Restore Hope’ in Somalia a cui partecipò anche l’Italia, pur in assenza di adeguate norme di sicurezza. Inoltre, l’Italia ha – a differenza di molti altri Paesi – un doppio problema. E ciò in quanto dispone di grandi poligoni di tiro che vengono usati oltre che dalle forze armate italiane e da ditte italiane, anche da forze armate e ditte di molti Paesi stranieri NATO e anche non NATO. Peraltro, e viene di solito dimenticato, anche le forze italiane devono usare armi all’uranio impoverito nei poligoni per testare se le corazze dei nostri carri armati sono in grado di proteggere da tali armi.
Anche il più importante ente di ricerca inglese, la Royal Accademy, ha espresso ripetutamente le sue forti preoccupazioni per la pericolosità di queste armi. Pericolosità, tra l’altro, che era già emersa sin dal lontano 1953: non stupisca la data perché le prime armi all’uranio naturale furono usate già in Germania nel 1943 su proposta dell’Ammiraglio Speer, ministro della Difesa di
Hitler.

Note

Ex ufficiale superiore della Marina Militare ed ex deputato, attualmente presidente ANAVAFAF (Associazione Nazionale Assistenza Vittime Arruolate nelle Forze Armate e Famiglie dei Caduti)

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