L'altra America
Sfide comuni che Trump non può ignorare.
Il mondo è interconnesso e i diritti umani sono una priorità.
Ha vinto il Presidente Trump le elezioni – e sappiamo come si vincono le elezioni negli USA – e, nello stesso tempo, ha perso il consenso di larga parte della stessa opinione pubblica americana.
Ha preso delle decisioni contro gli stessi valori costituzionali americani, motivo per cui i giudici lo hanno bloccato. Con la speranza che rifletta sulle sue posizioni, che non possono continuare come se fosse ancora in campagna elettorale.
Una di queste decisioni è stata quella di bloccare l’arrivo di immigrati regolari da sette Paesi musulmani. Decisioni contro i più deboli che sono persone che scappano da guerre nelle quali, in diverse occasioni, l’America stessa, quella dei suoi predecessori, ha grandi responsabilità: le guerre in Afghanistan contro i Talebani che hanno portato proprio questi ultimi al potere, le guerre contro Saddam con l’alibi delle armi di distruzione di massa che poi non c’erano, la guerra in Siria e la consegna di questo Paese martoriato, insieme all’Iraq, al regime degli Ayatullah persiani. Guerre che hanno “prodotto” e continuano a “produrre” profughi che sopravvivono in situazioni estreme di fame e distruzione.
Diverse culture
L’America del meticcio e del melting post non può continuare a far guerra contro se stessa e contro i suoi simili, alzando muri e alimentando l’odio nei confronti del suo stesso grande Paese, appunto l’America.
La civiltà e il progresso che abbiamo oggi è il prodotto e il risultato di una realtà di incontro e di incrocio, dove migliaia di cervelli abbandonano i loro Paesi di origine, per vari motivi, e si insediano in altri contribuendo alla realizzazione del progresso scientifico, tecnologico e anche umano delle loro nuove patrie.
E gli USA sono un tipico esempio di questa realtà: del resto, lo stesso Trump deve cercare le proprie origini fuori da quel territorio.
L’America non è islamofobia, xenofobia, estremismo e odio contro gli indifesi.
L’America non è Trump, l’imprenditore di successo che fa i suoi calcoli come se l’intero Paese fosse una sua azienda.
Abbiamo visto un’altra America nelle massicce manifestazioni in quasi tutti gli Stati Uniti contro le decisioni del Presidente. Lo abbiamo visto nella forte presenza di volontari e avvocati americani negli aeroporti per difendere le persone bloccate e poi regolarmente sbarcate negli Usa.
Chi conosce quello che sta accadendo in Siria, l’enorme tragedia umana che si sta consumando in quella terra, sa benissimo che quei siriani rifiutati non sono andati negli USA per trascorrere le vacanze o un periodo di relax, ma portano con sé ferite che sanguinano, ferite nei loro cuori e nelle loro anime, essendo vittime e non terroristi.
La Siria nel cuore
Chi scrive queste righe è originario di quella terra e ne sa qualcosa, con familiari dei quali qualcuno è stato ucciso perché portava il pane ad altre famiglie, qualcun’altro è fuggito alla ricerca di un rifugio e di sopravvivenza in diverse parti del mondo. Come hanno dovuto fare tantissimi altri siriani. Si parla di almeno 12 milioni di profughi dentro e fuori la Siria, circa mezzo milione di vittime e tanti di loro sono donne e bambini. Quartieri e città sono rase al suolo, scuole e ospedali sono distrutti. Vittime e distruzioni – dicono per errore – compiute in nome e per mano di chi dichiara di far guerra contro il terrorismo (peraltro nell’era di un’alta tecnologia, capace di individuare persino le formiche nei loro rifugi!).
Ha vinto Trump le elezioni americane e hanno perso i valori umani, quelli della solidarietà e della fratellanza, valori applicati anche da larga parte della popolazione comune in tanti Paesi del mondo occidentale: nel volontariato, nelle Chiese e nella gente comune, anche quando la politica purtroppo non vuol dare delle risposte concrete ai drammi nei confronti dei quali è proprio difficile voltarsi dall’altra parte chiudendo gli occhi, per non vedere le immagini terribili che arrivano in tempo reale; proprio come quelle che giungono dalla Siria, per esempio, immagini che riportano spesso le conseguenze dell’effetto devastante dell’uso reiterato di armi chimiche contro la popolazione civile… Non si può facilmente far finta di non sentire l’assordante rumore dei barili di esplosivi che il regime lancia in continuazione contro ospedali, scuole, quartieri e mercati popolari.
Il pericolo non lo portano con sé i rifugiati che scappano dalla morte – anche se bisogna essere sempre molto vigili – il pericolo nasce dal senso di superiorità e di disprezzo del diverso, emerso anche quando Trump ha “sbattuto il telefono in faccia” al premier australiano a causa delle divergenze sulle quote di profughi che gli USA devono accogliere nel rispetto di accordi precedenti!
Stiamo vivendo una fase troppo importante della storia umana perché il mondo è diventato sempre più interdipendente e deve affrontare sfide di enorme importanza a tutti i livelli: non solo economico, ma anche sul piano della sicurezza, sul piano morale, dei valori e dei diritti umani. Ecco perché c’è bisogno di essere sempre più uniti, malgrado le differenze e le divergenze che ci sono tra i vari Paesi a livello politico, culturale o religioso, differenze che rimarranno sempre perché è normale che sia così. È necessario che prevalga su tutto il senso di responsabilità per non fare il gioco degli estremisti e dei terroristi di qualunque parte essi siano.
Violenze e religione
La violenza non ha religione, anche se la religione può essere strumentalizzata a tal fine. È la cultura e la politica del rifiuto del diverso, il non rispetto della sua dignità, il senso di superiorità e disprezzo che genera violenza e spesso questo viene strumentalizzato dai terroristi per avere più adepti. In Siria e in Iraq le vittime del terrorismo per la stragrande maggioranza sono di religione islamica. È chiaro che quelle guerre sono tali per procura e per imporre certe egemonie piuttosto che altre, contro gli interessi della popolazione degli stessi Paesi e per dividere la “torta” tra i più potenti della terra!
Più islamofobia produrrà più terroristi. Più collaborazione e rispetto reciproco, riconoscendo nel diverso una ricchezza, è l’“arma” più efficace per sconfiggere tutte le forme di estremismo e di terrorismo.
Rifiutare di ricevere immigrati da sette Paesi musulmani alimenta un clima già incandescente in corso in tante parti del mondo mediorientale. È quello che vogliono gli estremisti e i terroristi che Trump dice di voler combattere!
Massimo Campanini, uno dei maggiori esperti di Islam in Italia, dice: “…Non si può considerare tale fenomeno (il terrorismo) come fine a sé stesso e svincolato dal contesto storico culturale dell’area arabo-islamica, ‘dal colonialismo, con l’espropriazione violenta della libertà e della cultura dei popoli afro-asiatici (e musulmani) in seguito all’espansione imperialistica’ sino ‘ai disastri provocati dalle aggressioni militari americane in Afghanistan e Iraq tra il 2001 e il 2003 con la liberazione di schegge impazzite che si sono riciclate nell’ISIS e hanno costituito il nerbo di un esercito che però ha dovuto avere altri finanziatori’ [...]”.
È su queste basi che attecchisce la propaganda e il richiamo al Jihad, strumentalmente interpretato come conquista di territori al di fuori del concetto (che ormai dovrebbe esser superato) di Dar al-Islam, mal inteso come costruzione di uno Stato sovrano governato da una distorta e deviata interpretazione della sharì’ah, il cui unico scopo si inquadra in un discorso esclusivamente egemonico ed economico e ben poco religioso”.
La violenza non ha religione, è una malattia che tutti dobbiamo affrontare con decisione sì, ma insieme. Tanto che papa Francesco stesso dichiara: “Non è giusto né vero parlare di Islam violento e di terrorismo islamico, allora dovrei parlare anche di cattolici violenti”.
Anders Behring Breivik che ha ucciso 100 ragazzi innocenti, suoi concittadini in Norvegia, non era musulmano, e di sicuro non è uno squilibrato. E quante azioni terroristiche in Occidente sono fatte da singoli o gruppi che con l’Islam non hanno nulla a che fare?
E quante forme di violenza si compiono tra le mura di casa di tante famiglie italiane e nel mondo?
Basta leggere le statistiche.
Anche in Italia, purtroppo, il fenomeno di islamofobia sta crescendo: siamo ora ai primissimi posti in Europa in merito a episodi chiaramente islamofobi, malgrado l’ottimo lavoro che svolgono le tante realtà della stessa società italiana. Anche se il problema è comune a tutta l’Europa.
Uno studio pubblicato cinque anni fa dall’Agenzia per i diritti fondamentali della UE (FRA) ha documentato che i giovani musulmani in Francia e Spagna sono oggetto di molte più discriminazioni dei loro coetanei di un’altra fede. Anche nel Regno Unito e nei Paesi Bassi la situazione è grave. A fine ottobre il Consiglio musulmano della Gran Bretagna ha espresso preoccupazione per i livelli di islamofobia nel Paese; in un anno, nella sola città di Londra, le aggressioni anti-musulmane sono aumentate del 70 per cento.
Sono segnali che ci invitano a riflettere. Tutti quanti. Per l’interesse comune ma in particolare delle prossime generazioni che, come evidenziano le previsioni, dovranno affrontare tante sfide. E il loro futuro dipende anche da quello che seminiamo noi oggi.