DIRITTI

Sotto Tortura

Con la pubblicazione del dossier 2016, Amnesty Italia rilancia la Campagna per una legge sulla tortura. Intervista esclusiva a Riccardo Noury.
Intervista a cura di Cristina Mattiello

Il 2016 è stato l’anno in cui il cinico uso della narrativa del ‘noi contro loro’, basata su demonizzazione, odio e paura, ha raggiunto livelli che non si vedevano dagli anni Trenta dello scorso secolo. Un numero elevato di politici sta rispondendo ai legittimi timori nel campo economico e della sicurezza con una pericolosa e divisiva manipolazione delle politiche identitarie allo scopo di ottenere consenso”. È un grido allarmato la dichiarazione  di Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International, in occasione dell’uscita del dossier 2016, un’analisi politica  senza mediazioni: “La fabbrica che produce divisione e paura ha assunto una forza pericolosa nelle questioni mondiali. Da Trump a Orbán, da Erdoğan a Duterte, sempre più politici che si definiscono anti-sistema stanno brandendo un’agenda deleteria che perseguita, usa come capri espiatori e disumanizza interi gruppi di persone. (…)  Così si rischia di dare via libera ai lati più oscuri della natura umana”. La deriva non riguarda, infatti, solo alcuni leader. È tutto l’Occidente, che un tempo aveva il rispetto dei diritti umani come base della sua identità, ad essere tornato indietro in modo preoccupante, sul piano teorico e pratico. 

Spaventosi crimini di guerra passati sotto silenzio, accordi scandalosi che pregiudicano il diritto a chiedere asilo, espulsioni illegittime verso Paesi non sicuri, leggi che violano la libertà di espressione e autorizzano la sorveglianza di massa, estensione di già massicci poteri di polizia, tortura hanno, in misura diversa, interessato tutto il globo. I più esposti all’arbitrio appaiono i gruppi vulnerabili: i migranti, le donne, le persone LGBT, le minoranze etniche, soprattutto indigeni e rom, gli oppositori politici. E si riscontra un aumento impressionante di vittime tra attivisti nel campo dei diritti umani e giornalisti indipendenti. Ma tutti, sembrano dire i dati dettagliati su ogni area e Paese, siamo in pericolo: sono perdute o a rischio tutte le conquiste di sessanta anni di impegno. Solo la diffusione della consapevolezza e la mobilitazione dal basso possono salvarci dall’abisso.

In Europa, tra le misure più gravi, oltre agli accordi illegali sui migranti con la Turchia, il Rapporto individua il “prolungato stato d’emergenza in Francia”, che comporta migliaia di perquisizioni, divieti di viaggio e arresti, e la nuova legge sulla sorveglianza in Gran Bretagna, che consente estesissime violazioni della privacy. Per l’Italia, oltre a ribadire la gravità dei problemi per migranti e rom, viene sottolineata l’urgenza dell’introduzione del reato di tortura come priorità. Su questo abbiamo intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia

Riccardo Noury, parliamo di tortura. O meglio, di legge sulla tortura. In Italia ancora non è stata approvata. Cosa mi dice in proposito? 

Il ritardo, già inaccettabile qualche anno fa, è arrivato a un quarto di secolo: la soglia della vergogna è stata ampiamente superata. Amnesty ha trovato un nuovo spunto nelle parole del ministro Orlando che improvvisamente, dopo un anno in cui il tema era stato opportunamente dimenticato, ha detto che anche dal suo punto di vista una legge sulla tortura dovrebbe essere adottata e approvata in tempi brevi. Noi gli abbiamo dato credito e abbiamo lanciato di nuovo la Campagna per l’introduzione rapida del reato di tortura. Non sappiamo come andrà a finire, perché potrebbero esserci degli ostacoli, legati soprattutto al fattore tecnico degli emendamenti presentati al testo che attualmente si trova al Senato: se approvati, comporterebbero un ritorno alla Camera, e lì il testo potrebbe fermarsi ancora.

Definizione di “tortura”

nella “Convenzione ONU contro la tortura e altre pene e maltrattamenti inumani e degradanti” (10/12/1984)

Ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti a una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate. 

Gli emendamenti non vanno in una direzione condivisa da Amnesty…

No, questo è l’altro motivo per cui abbiamo chiesto al governo di “metterci la faccia”, nel rispetto delle procedure: certo spetta al Parlamento approvare la legge, ma il governo dovrebbe dare un’indicazione politica. Il testo che è stato approvato alla Camera, se pur non perfetto, “appena sufficiente”, potremmo dire, che non sia toccato al Senato! Gli emendamenti che son stati discussi in Commissione peggiorano quel testo, lo portano sotto la soglia dell’accettabilità. È un testo che piace alle forze di polizia, che vede un annacquamento delle definizioni, in particolare dell’aspetto della tortura psicologica. E riporta in ballo la questione della reiterazione dell’atto della tortura (ndr. solo se ripetuti i maltrattamenti potrebbero rientrare nella definizione di “tortura”). E c’è ancora il problema, che da solo sarebbe anche superabile, che la tortura è definita reato comune e non proprio, ossia attribuibile solo a pubblici ufficiali. Il testo prevede che chiunque possa compiere tortura e che nel caso in cui il reato sia commesso da un pubblico ufficiale, vi sia un aggravamento della pena.

A livello istituzionale è stato detto più volte che in Italia la tortura non esiste. Come risponde Amnesty?

Questa è un’affermazione apodittica: per principio, siccome siamo in Italia, è inimmaginabile che ci sia la tortura. Purtroppo è un’affermazione che cade alla prima immediata verifica. Noi abbiamo i corpi delle persone morte o ferite gravemente dalla tortura che ci raccontano cosa essa è e che c’è stata anche in Italia; abbiamo condanne degli organi di giustizia europei; abbiamo sentenze nelle quali è evidente che l’estensore si lamenta che non possa prendere dal Codice Penale quella parola adeguata a descrivere fatti che ha constatato. Pensiamo a Bolzaneto, al carcere di Asti: sono sentenze nelle quali è evidente che si va alla ricerca di quella parola, non la si trova e si è costretti a trovare altre fattispecie di reati che prevedono  prescrizione e punizioni più blande.

C’è coscienza di questo problema nell’opinione pubblica, secondo voi? Quali sarebbero le reazioni a una legge sulla tortura?

È una situazione abbastanza strana, perché i casi di tortura riguardanti cittadini italiani o stranieri in Italia o italiani all’estero sono noti. Se si chiede a un campione di persone se conosce la storia di Stefano Cucchi o di Federico Aldrovandi, o di Giulio Regeni, la maggioranza dirà di sì. Dall’altra parte c’è questo stato d’animo di paura, questo senso di minaccia, di insicurezza che porta a pensare – a torto, ma porta a pensarlo – che l’introduzione del reato di tortura sarebbe negativa per la sicurezza. È stato anche detto che penalizzerebbe le indagini, soprattutto nei casi di terrorismo, mentre è dimostrato che ciò non si verifica nei Paesi in cui una legge del genere è vigente. Ma non c’è una ”eccezione Italia”: c’è una minoranza di Paesi che ancora sono nella nostra situazione. Eppure l’Italia aveva dato un grande contributo all’approvazione della Convenzione ONU sulla tortura nel 1984. Poi però non è stata recepita nell’ordinamento nazionale, non c’è automatismo legislativo nella cultura giuridica, mentre la ratifica di una Convenzione ONU sarebbe un obbligo. Invece, sono passati  27 anni... E diventa sempre più urgente… Come si fa ancora a non supporre che, se possono subire maltrattamenti cittadini italiani, sarà ancora peggio per soggetti più deboli, come gli immigrati negli hotspot?

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