Il convivio dei più ricchi
E chi si dovrebbe ritrovare insieme dovrebbero essere governi di nazioni non allineate alla logica predatoria delle oligarchie e del mercato.
Esiste oggi una speranza per il pianeta e per l’umanità? Chi è disponibile a mettersi al suo servizio? Ricordo di aver ascoltato, molti anni fa, Danilo Dolci che, dialogando con un gruppo di studenti, chiedeva loro: qual è la vostra speranza per la terra? Per interpretare con lucidità gli avvenimenti internazionali e i processi globali occorre partire da questa speranza per assumerla come criterio di discernimento. Intendo la speranza nella nascita di una società comunitaria, dove nessuno nel mondo sarà degradato, escluso, perseguitato, eliminato. Nessuno, neppure il mondo naturale.
A fine maggio, a Taormina, ci sarà l’incontro tra i ministri dell’economia di Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia e Italia per il G7, il vertice dei Paesi occidentali (o occidentalizzati) più ricchi nel mondo.
Questo ristretto club di governi – sorto nel 1975 e dunque coetaneo dei processi di globalizzazione a guida finanziaria – rappresenta di per sé un’entità oligarchica, miope e già segnata da antagonismi interni.
Il fatto che siano i più ricchi a ritrovarsi (e non una rappresentanza dei Paesi riuniti nell’ONU) e il fatto che lo facciano per elaborare strategie economiche vantaggiose per loro stessi (e non un progetto di rilancio della condizioni per una convivenza internazionale democratica) dice già che a Taormina non ci sarà alcun frutto per la speranza umana. Considerando le pesanti responsabilità e l’insipienza dei governi del G7 nel caos mondiale attuale – segnato da iniquità, lutti, violenze e disperazione di massa – è già tanto se i loro esponenti riuniti a Taormina riusciranno a non fare danni ulteriori.
La tendenza della politica internazionale a risolversi nei giochi di potere delle oligarchie dominanti non è un destino. Prevale solo finché tutte le comunità nazionali non si risvegliano al loro dovere di costruire un ordinamento collettivo umanizzato. I protagonisti di questa svolta sono i movimenti che interpretano la vita e la dignità dei popoli. Persone, gruppi, comunità, associazioni, reti, istituzioni di prossimità (come le municipalità, le regioni, le scuole) stanno già dando luogo a un movimento di reale democratizzazione mondiale che, come un seme piccolo ma straordinariamente fertile, può portare frutti ora impensabili. Si tratta di quello che papa Francesco, nel suo incontro del 5 novembre 2016 con i movimenti popolari, ha indicato come “un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia”. Egli ha riassunto con precisione profetica le tre azioni che svolgono la speranza per la terra: “Mettere l’economia al servizio dei popoli, costruire la pace e la giustizia, difendere la Madre Terra”. È su questi obiettivi che dobbiamo convergere.
Se smetto di credere che la mia casa sia il mio appartamento, riconoscendo piuttosto che è il mondo, e se supero l’idea che la mia vita sia una proprietà privata, sentendo invece che essa è radicata nella vita comune e universale, allora comprendo quanto la preminenza dei potenti sia lo specchio della mia e della nostra inerzia. Già Eraclito diceva che “solo i desti hanno un mondo comune”. In una prospettiva praticabile ed efficace questo significa che un autentico ordinamento del mondo non dipende mai dal vertice, dipende dall’elemento mediatore, dal tessuto connettivo, che sta nelle società nazionali e nelle unioni politiche continentali. Se una democrazia coltivata come cura politica per il bene comune e per i diritti di ciascuno si afferma, Paese per Paese, diventa probabile che sorgano unioni continentali di Stati capaci di consolidare un più ampio spazio pubblico costituzionale dove la tutela sia dei diritti umani che degli equilibri naturali sono al centro dell’agenda dei governi, dell’opinione pubblica e dei cittadini organizzati. La stessa Europa unita non va ripudiata ma rigenerata. La formazione di una costellazione di Paesi in cammino verso una democrazia intera e solidale a ogni latitudine rappresenta l’unica alternativa valida alla falsa contrapposizione tra globalizzazione liberista e sovranismo nazionalista.
Da questo punto di vista hanno un ruolo essenziale anche tutti quei governi che sono guidati da uno spirito realmente democratico. Per focalizzare questo lato della questione, bisogna chiedersi: quali sono in verità i Paesi “più sviluppati” del mondo? Non i più ricchi, bensì quelli che, in ogni continente, hanno un più alto grado di giustizia sociale, di impegno per la pace, di rispetto per la natura. A trovarsi insieme devono essere i governi di queste nazioni. Non per rivendicare un primato né per tentare di “esportare la democrazia”, ma per costituire un nuovo movimento di Paesi non allineati. Essi sono tali in quanto non sono affatto allineati rispetto alla logica predatoria delle oligarchie e al nichilismo della società di mercato. Questo movimento, che deve costituirsi quanto prima con coraggio e lungimiranza, ha il compito di promuovere regole eque per la società mondiale e per l’economia, rapporti di leale cooperazione e di pacificazione tra le nazioni, nonché processi di liberazione endogena da ogni forma di colonialismo e di dittatura.
Eppure anche l’emersione di questo tessuto mediatore e connettivo su scala internazionale sembra impossibile. Tale eventualità però può avverarsi a condizione che le comunità di cittadini organizzati, in ogni Paese, si attivino sistematicamente per democratizzare il proprio stato, così che esso possa contribuire alla nascita di un vero ordine continentale e mondiale. Come si vede, si tratta di un processo a cerchi concentrici, che non dipende decisivamente dal cerchio più esterno (i poteri globali), ma sorge e cresce dal cerchio più interno (le comunità civili), quello dove noi agiamo politicamente non come individui in lotta per il potere, ma come persone disponibili a interpretare la speranza per la terra. Come ha scritto Jorge Luis Borges in una lirica, “tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo”.