Fuori i bambini dalla guerra
Non si nasce violenti, lo si diventa. È tanto facile far diventare soldato un bambino, quanto è difficile fargli recuperare l’umanità perduta. Però è possibile farlo.
Ishmael Beah, ex bambino soldato della Sierra Leone
Era l’8 febbraio 2007: per la prima volta cinquantotto Paesi di tutto il mondo si impegnavano ad adottare misure per porre fine alle guerre combattute dai bambini strappati alle loro famiglie, drogati e armati da regimi e movimenti ribelli senza scrupoli.
Il documento, siglato al termine della Conferenza dal titolo “Liberiamo i bambini dalla guerra”, promossa da Unicef e governo francese, afferma che “per la prima volta” “gli Stati firmatari si sono impegnati solennemente ad applicare e rispettare i principi della lotta contro il reclutamento e l’impiego dei minori nei conflitti armati”.
I bambini che imbracciano le armi non sono solo nelle mani di gruppi ribelli, milizie e bande criminali, ma anche di eserciti paramilitari che spesso agiscono a fianco di truppe regolari.
Tra gli impegni sottoscritti, quello di lottare contro l’impunità, indagare e perseguire reclutatori e comandanti dei minori inseriti in gruppi armati o eserciti regolari. Per tutti questi reati non è ammessa alcuna amnistia.
Sono passati 10 anni: la Conferenza internazionale “Proteggiamo i bambini dalla guerra”, organizzata a Parigi su iniziativa dell’Unicef e del governo francese, realizzata il 7 febbraio 2017, ne traccia un bilancio. Nell’ultimo decennio, secondo le stime dell’Unicef, circa 65 mila bambini sono stati sottratti dai ranghi di eserciti statali e di gruppi armati non governativi. In tutto sono circa 250 milioni i minori esposti al pericolo di reclutamento, vivendo in Paesi o aree segnati da conflitti.
14 marzo 2012: la Corte Penale Internazionale condanna per crimini di guerra Thomas Lubanga, ex leader di una milizia armata della Repubblica democratica del Congo, per aver arruolato bambini soldato, durante i cinque anni di guerra che hanno insanguinato la Repubblica democratica del Congo fino al 2003.
12 marzo 2015: il Parlamento europeo ha preso posizione contro il sanguinoso conflitto interno e il sequestro di bambini in Sud Sudan: “Chiediamo all’Unione Europea di prestare speciale attenzione a questa drammatica realtà di bambini soldato e di prendere seriamente in considerazione un embargo sugli armamenti e sanzioni contro coloro che alimentano gli scontri”.
2 agosto 2016: il Consiglio di Sicurezza ha aperto il dibattito sul 14° report annuale rilasciato dal Segretario Generale Ban Ki-moon sul preoccupante coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati. Il Segretario Generale si è dichiarato particolarmente preoccupato per l’aumentare dei casi di abusi sui diritti dei bambini, frequenti soprattutto in Afghanistan, Iraq, Somalia, Sud Sudan, Siria e Yemen.
6 dicembre 2016: Dominic Ongwen, l’ex bambino soldato diventato uno dei comandanti dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra) – il gruppo ribelle ugandese guidato da Joseph Kony – è sotto processo alla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja. Ongwen, oggi poco più che quarantenne, deve rispondere di settanta capi d’accusa per crimini di guerra e contro l’umanità per il ruolo svolto nell’Lra (Esercito di resistenza del Signore - Lord’s Resistance Army) fondato nel 1987 dal fondamentalista cristiano Joseph Kony per rovesciare il governo ugandese del presidente Museveni, e attivo anche in Sud Sudan e in Repubblica democratica del Congo. Il gruppo è responsabile di almeno 100 mila morti e 60 mila sequestri di minori. I giudici hanno respinto la richiesta dei suoi legali di sospendere il processo in quanto, a loro dire, Ongwen soffrirebbe di sindrome da stress post-traumatico sviluppata quando era un bambino-soldato. Ma il passato traumatico dell’imputato “non è sufficiente ad assolverlo dalle sue responsabilità”, come ha detto Isabelle Guitard, direttrice dell’ong Child Soldiers International. “Molti criminali sono stati vittime. Non possiamo soprassedere ai loro reati sulla base di questo fatto. Il suo status di bambino-soldato potrà essere preso in considerazione nel momento in cui, se giudicato colpevole, si dovrà determinare la pena”.
Il caso congolese, evocato anche da papa Francesco, è uno dei più sconcertanti, con forti segnali di speranza, considerando che negli ultimi 10 anni sono stati liberati circa 20 mila bambini. Nella vicina Repubblica Centrafricana, gli spiragli di una nuova vita lontana dalle armi si sono aperti per 9 mila ragazzi. Fra i focolai in corso figura anche il Sud Sudan: dal 2013 sono stati reclutati 17 mila bambini. E il flagello distrugge l’infanzia anche in Nigeria o nel Medio Oriente, soprattutto in Siria e Yemen. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani, sono più di un migliaio i bambini nei ranghi di Daesh.
A Parigi, alla Conferenza di febbraio, due ex bambini soldato si raccontano: il colombiano Alberto Ortiz e il sierraleonese Alhaji Babah Sawaheh.
Il primo, a soli 12 anni, dopo aver subìto violenze nella propria famiglia poverissima, si è lasciato sedurre dalle promesse delle Farc. È rimasto arruolato per oltre tre anni, prima di raccogliere le forze per fuggire, trovando, poi, accoglienza grazie al programma del governo colombiano per le vittime di guerra. Oggi conduce studi universitari commerciali.
A 11 anni, Alhaji è stato rapito durante un blitz di miliziani nel suo villaggio. Dopo la liberazione, ha ricevuto sostegni per ricostruirsi. E adesso, il giovane è impegnato in prima persona in programmi di prevenzione e di lotta contro la piaga.
È Giulio Albanese a spiegare come avviene il reclutamento dei movimenti jihadisti: “In alcune zone africane, l’arruolamento dei bambini avviene in modo coercitivo, attraverso raid perpetrati da bande armate. Sia in Sierra Leone che in Nord Uganda, interi villaggi sono attaccati violentemente e spesso i minori assistono all’uccisione dei propri genitori e parenti. L’ingresso, però, dei movimenti jihadisti, come quello di Boko Haran in Nigeria, ha impresso un’ulteriore evoluzione: il reclutamento, infatti, avviene anche con indottrinamento dei giovani, spesso analfabeti, compiuto nei villaggi rurali. In Camerun, alcuni missionari stanno organizzando programmi preventivi di educazione alla pace che possano contrastare il proselitismo dei ribelli. Occorre fermare l’arruolamento dei minori e consegnare ai ragazzi, penne e quaderni”.
In Colombia
Sono tanti i baby killer in Colombia. Dopo 52 anni di conflitto armato, le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie) hanno firmato gli accordi di pace con il governo, ma non hanno ancora liberato le centinaia di adolescenti reclutati forzatamente. “Il reclutamento di bambini, bambine e adolescenti, da parte di Farc, Eln e paramilitari, è una pratica di massa, sistematica, intenzionale, sproporzionata, che fa parte della politica di queste organizzazioni per il raggiungimento dei loro fini strategici”: così Natalia Springer ha commentato il grave caso dei bambini soldato in Colombia, un esercito silente e dimenticato, età media di dodici anni. Un fenomeno che cresce in modo esponenziale con povertà e ignoranza, nell’indifferenza dello Stato.
Il settanta per cento dei minori reclutati da guerriglia e paracos scelgono le armi per le precarie condizioni di vita. Costretti dalla fame e dalla miseria, vedono quale unica alternativa di riscatto irse al monte: darsi alla macchia entrando nelle fila dei gruppi combattenti che popolano la regione dove vivono (cfr. rapporto Prisoneros Combatientes, Fondazione Maya Nasa).
Secondo la studiosa Springer, la maggioranza dei minori reclutati ha subito violenza domestica o ha assistito a episodi di violenza sulla famiglia. Tutti appartengono a quella fascia di persone “invisibili” che “non votano, non sanno né leggere né scrivere, non consumano, non hanno conti bancari”.
Luz sente ancora il grido di Mayra. Ogni notte, le risuona nelle orecchie. Eppure ormai sono passati oltre 10 anni da quella notte in cui le due 13enni si trovarono in mezzo alla giungla. Avevano approfittato del buio per lasciare l’accampamento. I miliziani si erano accorti e le avevano inseguite. Mayra era stata raggiunta. Luz aveva udito il suo urlo disperato mentre la riportavano indietro, ma non aveva potuto fermarsi. Aveva continuato a correre verso la libertà.
Liberiamoli.